Il filosofo di campagna, libretto, Mannheim, Stamperia Elettorale, 1756

150le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
155vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo.
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
160per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
165mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
170le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
175   La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste.
 E la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
180Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
185perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
190Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente innulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
195ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Scherzo del mar turbato
 palpita il passagiero
 che al ciel turbato e nero
 teme di naufragar.
 
200   Ma cessa in lui l’affanno
 e oppressa meno ha l’alma,
 se un raggio sol di calma
 comincia a scintillar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
205poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
210a potare, a seminare,
 e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
215mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
220Nelle città famose
 ogni generazione cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
225Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
230zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA ed il sudetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
235avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
240Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accena un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
245Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano il quale parte ridendo)
250Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strappazzata la dote e la fanciulla,
255la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata
 qual a mediocre stato si conviene.
260Che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie
265e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
270è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero;
 ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
275Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
280gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vederò.
 LA LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
285visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio.
 Ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
290abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio,
 vedete caro zio
295ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
300Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina?
 Ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
305del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
310ed il nobile ancor vorebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
315   Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
320salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
325vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
330Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
335Ah se il mio cuor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor; ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
340Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
345Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
350forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
355Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
360Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
365Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attacava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
370ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
375Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
380la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla cera mi par...
 LESBINA
                                   Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
385Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
 conosciuto a drittura.
390Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Nardino
 bello?
 LESBINA
               Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
395Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
400Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
405Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
 Saprete cos’è.
410Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
    Vuo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegar mi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
415che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
420compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
 vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
425Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’esser amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                Oh il ciel sia ringraziato. (Da sé)
430Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
435concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
440Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo.
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
445Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
450ha messo i nostri cori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LA LENA
 
455   Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
460per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LA LENA
 
465Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino.
 Felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore.
 
 NARDO
 
470Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fugì.
 
 LA LENA
 
475   Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in sen io provo!
480Dove diavolo sarà?
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
485Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin addesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accena ov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
490   Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
 Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
495il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
500Ecco, ecco, ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
 Dallo sposo non fugite.
 
 LESBINA
 
505Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO, LA LENA
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
 ha rossor del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO, LA LENA
 
                              Ah ah ah. (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
510Voi ridete?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?...
 
 NARDO, LA LENA
 
                          Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
515   Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
 alla fin si cangierà;
 e l’amore nel suo core
520con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera di don Tritemio.
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 LESBINA
 Venite qui, signora padroncina;
 tenete questo anello;
 ponetevelo in dito.
 Fate che il genitore ve lo veda,
525lasciate che la sposa egli vi creda.
 EUGENIA
 Tu m’imbrogli Lesbina e non vorrei...
 LESBINA
 Se de’ consigli miei
 vi volete servir, per voi qui sono.
 Quando no, vel protesto, io v’abbandono.
 EUGENIA
530Deh non mi abbandonare, ordina, imponi;
 senza cercar ragioni
 lo farò ciecamente;
 ti sarò, non temer, tutta obbediente.
 LESBINA
 Quest’anello tenete.
535Quel che seguì sapete;
 e quel che seguirà
 regola in avvenir ci porgerà.
 EUGENIA
 Ecco mio padre.
 LESBINA
                                 Presto;
 ponetevelo in dito.
 EUGENIA
540Una sposa son io senza marito. (Si mette l’anello)
 
 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 A che gioco giochiamo? (Ad Eugenia)
 Corro, ti cerco e chiamo;
 mi fugi e non rispondi?
 Quando vengo da te, perché ti ascondi?
 EUGENIA
545Perdonate, signor...
 LESBINA
                                      La poveretta
 è un pochin ritrosetta.
 DON TRITEMIO
                                           Oh bella! Affé,
 si vergogna di me, poi collo sposo
 il suo cuore non è più vergognoso.
 LESBINA
 Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
550cotali meraviglie.
 Soglion tutte le figlie,
 ch’ardono in sen d’amore,
 la modestia affettar col genitore.
 DON TRITEMIO
 Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
555dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
 LESBINA
                                        Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Parlo teco? Rispondi. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                          Eccolo qui. (Mostra l’annello a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
 Capperi! È bello assai.
 Non mi credevo mai
 che Nardo avesse di tai gioie in dito.
560Vedi se t’ho trovato un buon marito?
 EUGENIA
 (Misera me, se tal mi fosse!) (Da sé)
 DON TRITEMIO
                                                        Oh via,
 codesta ritrosia scaccia dal petto;
 queste smorfie oramai mi fan dispetto.
 LESBINA
 Amabile sposina,
565mostrate la bocchina un po’ ridente.
 EUGENIA
 (Qualche volta Lesbina è impertinente). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Fu picchiato, mi par.
 LESBINA
                                         Vedrò chi sia.
 (Ehi, badate non far qualche pazzia). (Piano a Eugenia e parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, EUGENIA, poi LESBINA che torna
 
 EUGENIA
 (È molto s’io resisto). (Da sé)
 DON TRITEMIO
570Affé non ho mai visto
 una donna di te più scimunita.
 Figlia che si marita
 suol esser lieta, al suo gioir condotta,
 e tu stai lì che pari una marmotta?
 EUGENIA
575Che volete ch’io dica?
 DON TRITEMIO
                                          Parla o taci,
 no me n’importa più.
 Sposati e in avvenir pensaci tu.
 LESBINA
 Signor, c’è un cavaliero
 col notar della villa in compagnia
580che brama riverir vossignoria.
 DON TRITEMIO
 Vengano. (Col notaro? (Da sé)
 Qualchedun che bisogno ha di denaro).
 LESBINA
 (È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
 d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
 EUGENIA
                                        (Andiam Lesbina). (A Lesbina)
585Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                          Va’ pure.
 EUGENIA
                                             (Ahimè meschina!) (Da sé e parte con Lesbina)
 
 SCENA IV
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO e CAPOCCHIO notaro
 
 DON TRITEMIO
 Se denaro vorrà, gliene darò,
 purché sicuro sia con fondamento
 e che almeno mi paghi il sei per cento.
 Ma che vedo? È colui
590che m’ha chiesto la figlia. Or che pretende?
 Col notaro che vuol? Che far intende?
 RINALDO
 Compatite signor...
 DON TRITEMIO
                                      La riverisco.
 RINALDO
 Compatite se ardisco
 replicarvi l’incommodo. Temendo
595che non siate di me ben persuaso,
 ho condotto il notaro,
 il qual patente e chiaro
 di me vi mostrerà
 titoli, parentele e facoltà.
 DON TRITEMIO
600(È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco, signore,
 l’istrumento rogato
 d’un ricco marchesato;
 ecco l’albero suo, da cui si vede
 che per retto camino
605vien l’origine sua dal re Pipino.
 DON TRITEMIO
 Oh caperi! Che vedo?
 Questa è una cosa bella in verità.
 Ma della nobiltà, signor mio caro,
 come andiamo dal par con il denaro?
 RINALDO
610Mostrategli i poderi,
 mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
 Questi sono istrumenti
 di comprede, di censi, di livelli;
 questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’instrumenti antichi)
 
615   Nel Quattrocento
 sei possessioni,
 nel Cinquecento
 quattro valloni.
 Anno millesimo
620una duchea.
 Milletrentesimo
 una contea
 emit etcaetera.
 
    Case e casoni,
625giurisdizioni,
 frutti annuali,
 censi e cambiali.
 Sic etcaetera
 cum etcaetera. (Parte)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO e RINALDO
 
 DON TRITEMIO
630La riveriso etcaetera.
 Vada signor notaro a farsi etcaetera.
 RINALDO
 Ei va per ordin mio
 a prender altri fogli, altri capitoli,
 per provarvi di me lo stato e i titoli.
 DON TRITEMIO
635Sì sì, la vostra casa
 ricca, nobile, grande ognora fu;
 credo quel che mi dite e ancora più.
 RINALDO
 Dunque di vostra figlia
 mi credete voi degno?
 DON TRITEMIO
                                           Anzi degnissimo.
 RINALDO
640Le farò contradote.
 DON TRITEMIO
                                     Obligatissimo.
 RINALDO
 Me l’accordate voi?
 DON TRITEMIO
                                      Per verità
 v’è una difficoltà.
 RINALDO
                                   Da che dipende?
 DON TRITEMIO
 Ho paura che lei...
 RINALDO
                                    Chi?
 DON TRITEMIO
                                                La figliuola...
 RINALDO
 D’Eugenia non pavento.
 DON TRITEMIO
645Quando lei possa farlo, io son contento.
 RINALDO
 Ben, vi prendo in parola.
 DON TRITEMIO
 Chiamerò la figliuola.
 S’ella non fosse in caso,
 del mio buon cor sarete persuaso.
 RINALDO
650Sì; chiamatela pur, contento io sono;
 se da lei son escluso, io vi perdono.
 DON TRITEMIO
 Bravo. Un uom di ragion si loda e stima.
 S’ella non puole, amici come prima.
 
    Io son di tutti amico,
655son vostro servitor.
 Un uomo di buon cor
 conoscerete in me.
 
    La chiamo subito;
 verrà ma dubito
660sconvolta trovisi
 da un non so che.
 
    Farò il possibile
 pel vostro merito
 che per i titoli,
665per i capitoli
 anche in preterito
 famoso egli è.
 
 SCENA VI
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO ed EUGENIA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
 di sua man, del suo cor certo son io.
670Veggola che ritorna
 col genitore allato;
 della gioia vicino è il dì beato.
 DON TRITEMIO
 Eccola qui; vedete se son io
 un galantuomo.
 RINALDO
                                Ognor tal vi credei,
675benché foste nemico ai desir miei.
 DON TRITEMIO
 Eugenia, quel signore
 ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
 EUGENIA
 Tra le donne felici
 la più lieta sarò, padre amoroso,
680se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
 DON TRITEMIO
 Brava, figliuola mia,
 il rossor questa volta è andato via.
 RINALDO
 L’udiste? Ah non tardate (A don Tritemio)
 entrambi a consolare.
 DON TRITEMIO
                                          Eppur pavento...
 RINALDO
685Ogni timor è vano.
 In faccia al genitor mi dia la mano.
 DON TRITEMIO
 La mano? In verità
 s’ha da far; s’ha da far... se si potrà.
 Dammi la destra tua. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                           Eccola. (Don Tritemio le prende la mano)
 DON TRITEMIO
                                                          A voi. (Chiede la mano a Rinaldo)
690Prendetela... bel bello,
 che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
 Ora che mi ricordo,
 Nardo con quell’anello la sposò;
 e due volte sposarla non si può.
 RINALDO
695Come!
 DON TRITEMIO
                Non è così? (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                       Sposa non sono.
 DON TRITEMIO
 Ma se l’anello in dono
 prendesti già delle tue nozze in segno,
 non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
 Voi che dite, signor? (A Rinaldo)
 RINALDO
                                         Dico che tutti
700perfidi m’ingannate,
 che di me vi burlate, e che son io
 bersaglio del destin barbaro e rio.
 DON TRITEMIO
 La colpa non è mia.
 EUGENIA
                                      (Tacer non posso);
 udite; io svelar deggio
705l’arcano onde ingannato...
 
 SCENA VII
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 Signor padron, voi siete domandato. (A don Tritemio)
 EUGENIA
 (Ci mancava costei).
 DON TRITEMIO
                                        Chi è che mi vuole? (A Lesbina)
 LESBINA
 Un famiglio di Nardo.
 DON TRITEMIO
 Sente, signor? Del genero un famiglio
710favellarmi desia,
 onde vosignoria,
 s’altra cosa non ha da commandare,
 per cortesia, se ne potrebbe andare.
 RINALDO
 Sì sì, me n’anderò; ma giuro ai numi,
715vendicarmi saprò.
 EUGENIA
                                    (Destin crudele!)
 Rinaldo, questo cor...
 RINALDO
                                         Taci, infedele.
 
    Tutti provar dovrete
 perfidi i sdegni miei;
 ma ingrata sol tu sei
720l’affanno del mio cor.
 
    Pera con morte e scempio
 ogn’empio che m’offese;
 no non avrà difese
 l’amante e il genitor.
 
 SCENA VIII
 
 EUGENIA, DON TRITEMIO e LESBINA
 
 LESBINA
725(Obbligata davver del complimento). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Ho un tantin di paura). (Da sé)
 EUGENIA
                                                (Ahi che tormento!) (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Orsù, signora pazza, (Ad Eugenia)
 ho capito il rossor che cosa sia.
 Quel che voglia colui vado a sentire;
730poi la discorrerem. S’ha da finire. (In atto di partire)
 LESBINA
 Sì signor, dite bene. (A don Tritemio)
 DON TRITEMIO