Il filosofo di campagna, libretto, Münster, Kördinck, 1764

 scritture in casa,
 voglio la senseria.
 CAPOCCHIO
                                   Come?
 LA LENA
                                                   Dirò,
 se mi mariterò,
1390come spero di farlo prestamente,
 la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
 
 SCENA VIII
 
 NARDO e CAPOCCHIO
 
 CAPOCCHIO
 Vostra nipote è avara, come va.
 NARDO
 Credetemi lo fa senza malizia,
 delle donne un costume è l’avarizia.
 CAPOCCHIO
1395Son lente nello spendere,
 egli è vero, ma son leste nel prendere.
 
    Voi che filosofo
 chiamato siete,
 dirmi saprete
1400come si dia
 di simpatia
 forza e virtù.
 
    La calamita
 tira l’acciaro.
1405Tira l’avaro
 l’oro ancor più. (Entra in casa)
 
 SCENA IX
 
 NARDO, poi LESBINA
 
 NARDO
 Nato son contadino,
 non ho studiato niente
 ma però colla mente
1410talor filosofando a discrezione
 trovo di molte cose la ragione;
 e vedo chiaramente
 che interesse, superbia, invidia e amore
 hanno la fonte lor nel nostro cuore.
 LESBINA
1415Ma capperi! Si vede,
 affé, che mi volete poco bene,
 nel giardino v’aspetto e non si viene.
 NARDO
 Un affar di premura
 m’ha trattenuto un poco.
1420Concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
 Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
 e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Ma se Eugenia fuggì...
 NARDO
                                           Fu ritrovata.
1425Là dentro è ricovrata;
 e si fa con Rinaldo l’istromento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
 Dunque quand’è così, facciamo presto,
 andiam, caro sposino.
 NARDO
1430Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
 (Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate.
 Prima che mia voi siate,
 a voi vuo’ render note
 alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
1435Qual dote dar vi possa
 voi l’intendeste già.
 Affetto ed onestà,
 modestia, ritrosia
 ed un poco di buona ecconomia.
 NARDO
1440Così mi basta e appunto
 di questo capital, che apprezzo molto,
 intendo ragionar.
 LESBINA
                                   Dunque vi ascolto.
 NARDO
 In primis che l’affetto
 non sia troppo né poco,
1445perché il poco non basta e il troppo annoia
 e la mediocrità sempr’è una gioia.
 LESBINA
 Com’ho da regolarmi,
 per star lontana dagli estremi?
 NARDO
                                                          Udite.
 Per fuggir ogni lite,
1450siate amorosa, se il marito è in vena;
 non lo state a seccar, se ha qualche pena.
 LESBINA
 Così farò.
 NARDO
                     Sul punto
 della bella onestà
 non v’è mediocrità. Sia bella o brutta,
1455la sposa di un sol uom dev’esser tutta.
 Circa l’economia potrete qui
 regolarvi così.
 Del marito il voler seguire ognora
 e non far la padrona e la dottora.
 LESBINA
1460Così farò, son della pace amica;
 obbedirvi sarà minor fatica.
 NARDO
 Or mi sovvien che un altro capitale
 m’offeriste di lingua.
 LESBINA
                                         È ver.
 NARDO
                                                       Se questo
 mi riuscirà molesto,
1465in un più necessario il cambierò.
 LESBINA
 Ho inteso il genio vostro,
 non vi sarà pericolo
 che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
 NARDO
 Quand’è così, mia cara,
1470porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
 invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
1475deh testimon voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
    Alberi, piante e fiori
 i vostri ardori ascosi
 insegnino a due sposi
1480il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
 «Ama la sposa ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama lo sposo ancor».
 
 LESBINA
 
1485   La rondinella
 vezzosa e bella
 solo il compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
1490due piante unite
 ai sposi insegnano
 la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
1495Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
    Rondone fido
 esci dal nido,
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
1500Meco t’allaccia,
 vite amorosa,
 diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
1505alma del mondo,
 vita del cor.
 
    No, non si trova,
 no non si prova
 più bella unione
1510del nostro amor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito?
 Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
1515colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
 Quel che pensar non so;
 all’uscio picchierò. Verrano fuori;
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA ULTIMA
 
 LA LENA e detto
 
 LA LENA
1520Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
 cosa si fa là dentro?
 LA LENA
 Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni.
 Tra gl’altri testimoni,
1525che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LA LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LA LENA
1530E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina; oimè! No, non lo credo.
 LA LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ahi! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah, genitor perdono...
 
 RINALDO
 
1535Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi scellerati,
 vi siete accomodati?
1540Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto,
 che bella carità!
 
 LA LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
1545ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
1550sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Il fine
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica del celebre signor dottor Carlo Goldoni da rappresentarsi nel teatro dell’Accademia Vecchia nell’autunno dell’anno MDCCLX, dedicato alle nobilissime e gentilissime signore dame di Verona.
    In Verona, MDCCLX, per Dionigi Ramanzini libraio a San Tomio, con licenza de’ superiori.
 
 Nobilissime signore,
    gli ammirabili tratti di singolare bontà, nobilissime e gentilissime dame, che fra gli preggi eccelsi del magnanimo vostro cuore con istupore risplende, sono quelli che a noi pure somministrano il corraggio di consecrarvi il presente giocoso dramma, non perché al singolare merito vostro corrispondente ma in attestato della doverosa nostra servitù e divozione. Degnatevi pertanto nobilissime signore ricevere questo, quantunque tenuissimo, dono, con quell’aggradimento con cui sogliono l’anime grandi dimostrarsi paghe d’ogni picciola cosa che offerita le venga, onde, qualificando le fatiche e premure nostre con generoso compatimento ed impartendoci il sospirato dono della benigna vostra prottezione, concedeteci il preggiato onore di rassegnarci col più profondo ossequio di voi nobilissime e gentilissime dame umilissimi devotissimi ed obbligatissimi servidori.
 
    Gli assocciati attori
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia nobile di Tritemio
 (la signora Cecilia Maublanc)
 RINALDO gentiluomo amante di Eugenia
 (il signor Giuseppe Bernardi)
 
 PARTI BUFFE
 
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Gaetano Baldi)
 LESBINA cameriera in casa di Tritemio
 (la signora Teresa Crespi)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Domenico Occhiluppo)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Maria Conclin Costantini)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (il signor Giuseppe Andreoli)
 
    La musica è del signor Baldasar Galuppi detto il Buranello.
 
 
 MUTAZIONE DI SCENE
 
    Nell’atto primo: giardino; bosco con casa rustica; camera con porte.
    Nell’atto secondo: camera; bosco con casa rustica; camera suddetta.
    Nell’atto terzo: bosco con casa rustica.
 
 BALLERINI
 
    La signora Geltrude Coradini, il signor Mauro Buzacarini, la signora Teresa Simonetti, il signor Pietro Zampieri, la signora Elisabetta Socchi, il signor Antonio Busida.
    Fuori de’ concerti la signora Giacomina Bonomi, il signor Giuseppe Forti.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega.
 Si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Vedi amor nel mio sembiante
 dolce amor per me felice
55ma non lice a me sperar.
 
    Sai perché?...
 Il mio core... Ah chiedi a lui
 la cagion de’ dubbi sui;
 io non deggio, oh dio, parlar. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
60Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
65Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
70mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’averanno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
75si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir!
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 Qualche stroffetta canterò a proposito. (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Oh ragazza!... Farei uno sproposito. (Da sé)
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
80la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
85   Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
90Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca, son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
 coglietemi su.
 
95   Se resto nel prato,
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia,
100questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
105Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
 or ch’è un frutto maturo e saporito,
110non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
115erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogn’erba si contenti
 d’aver qualche governo,
120purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
125per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
130   Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 Eppure io mi lusingo
135che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
140Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
145che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
150Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
155Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
160M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza.
 DON TRITEMIO
165Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
170Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
175Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion vorreste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
180perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
185E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
190ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
195   Speri invan col tuo rigore
 far che scema in me l’amore,
 ah già sento il cor che freme!
 Son vicino a delirar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
200poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
205a podare, a seminare,
 e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
210mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
215Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
220Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
225zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA ed il suddetto
 
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
230avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LENA
235Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
240Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
245qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
250strappazzata la dote, e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
255qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
260hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
265Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
 ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
270d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
275con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vedrò.
 LENA
                            Dunque chi sa
280s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
285   Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
290Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
295Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
300Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
305cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
310ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Chiascheduno ognor sospira
 la sua sorte migliorar,
 pensa, suda e ancor delira
 né si può mai satollar;
 
315   chi gli onori, chi il contante
 chi il marito e chi l’amante
 ma poi quando lo possiede
 brama solo di variar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
320ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il sovverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
325non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cuor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
330il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (A Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
335né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur site curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
340adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
345se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
350a me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
355Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
360Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
365Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.