Il filosofo di campagna, libretto, Londra, Griffin, 1769

 Ah, mi sento morir.
 DON TRITEMIO
                                       Per cortesia,
165non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  Di beni
170ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei feudi,
 le parentele mie vi mostrerò...
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
175dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vuo’ saperne...
 DON TRITEMIO
                                                    Volentieri.
 
    La mia ragione è questa,
 mi par ragione onesta;
 la figlia mi chiedeste
180e la ragion vorreste;
 la mia ragion sta qui;
 non posso dir di sì,
 perché vuo’ dir di no;
 
    se non vi basta ancora,
185un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no.
 Perché la vuo’ così»
 e son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui.
 
 RINALDO
190Sciocca ragion indegna
 d’anima vil! Dell’onestà nemica!
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffro un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
195O Eugenia sarà mia
 o tu padre inumano
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci amor nel seno mio,
 finché parla il giusto sdegno;
200o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar.
 
 SCENA IV
 
 NARDO e villani
 
 Campagna con ordegni villaneschi per coltivar le terre.
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
205   Oh che pane delicato!
 se da noi fu coltivato.
 Presto, presto a lavorare,
 a putare, a seminare,
 e da poi si mangierà
210e del vin si beverà. (Partono i villani)
 
 Vanga mia benedetta, mio diletto,
 mio conforto felice e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
215l’avolo, il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e ’l cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia in stato;
 se il padre ha accumulato
220con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non li tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gli uomini ognor sempre l’istessi.
225Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA V
 
 LENA e detto
 
 LENA
 (Eccolo qui, la vanga
 è tutto il suo diletto).
230Se foste un poveretto,
 compatir vi vorrei; ma siete ricco;
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
235piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi.
 Voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
240Sì, volentieri, presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Viene Mingone)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì?
 Eccolo, io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
245Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada. (Mingone ride)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella!
250Tu sposaresti un conte ed un marchese
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LENA
 Io non voglio un signor né contadino.
255Mi basta un cittadino
 che stia bene.
 NARDO
                            Di che?
 LENA
                                             Ch’abbia un’entrata,
 qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai,
260se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quatrini e troppe voglie
 e non curano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
265nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, e pur
 così non usa.
 NARDO
                           È vero,
270ma... in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso e diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’ha proposto le nozze, io ben lo so.
 NARDO
275Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
280Ieri solo è venuta,
 oggi la rivedrò.
 LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà?
 NARDO
                                 Basta non abbia
 visibili magagne,
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
285Ammogliatevi presto signor zio;
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io sono un’orfanella
290che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio,
 vedete, caro zio,
 ch’io sono nell’età.
 
    La vostra nipotina
295vorrebbe poverina...
 Sapete?... M’intendete...
 Muovetevi a pietà. (Via)
 
 SCENA VI
 
 NARDO, EURILLA
 
 NARDO
 Sì signora, non dubbiti,
 che contenta sarà.
300La si mariterà la poverina
 ma la vuo’ maritar da contadina.
 EURILLA
 Padron mio.
 NARDO
                          Che volete?
 EURILLA
 Vedeste voi la padroncina mia?
 NARDO
 Adesso è stata qua ad annoiarmi.
 EURILLA
305Discorsi vi facea forse sciapiti?
 NARDO
 Stucchevoli, senza sale,
 senz’alcuna ragione;
 solo parlar si sente
 dal labro suo in dolce mormorio:
310«Maritatemi presto, signor zio».
 EURILLA
 Affé la compatisco,
 anch’io quel mal patisco;
 e se non ci pensate, signor mio,
 quello che lei farà farò anch’io.
 NARDO
315Quello che lei farà farete voi?
 EURILLA
 Sì signore.
 NARDO
 Ciò non sarà.
 EURILLA
                           Ve lo giuro di cuore.
 NARDO
 Fantesca impertinente!
 Stanco son di soffrirvi,
320se non volete ubbidir, saprò punirvi.
 Andate a casa vostra;
 fate il vostro dovere
 e dite alla nipote
 ch’io ci penso al marito ed alla dote.
325A voi pur penserò, non mi seccate;
 quando dico: «Tacete», non parlate.
 EURILLA
 Signor, me n’entro in casa
 e son già persuasa
 che voi senza riserva
330alla nipote pensate ed alla serva.
 
    Parto, signor padrone,
 giacché così comanda;
 sapete la domanda,
 da replicar non c’è.
 
335   Ma se ho da collocarmi,
 vi prego maritarmi
 con un da più di me;
 se no, ve lo assicuro,
 io non lo prendo affé.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
340Ecco il mondo è così, niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.