Il filosofo di campagna, libretto, Bologna, Sassi, 1770

 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
65Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DONNA ALCEA
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DONNA ALCEA
70Poco va v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DONNA ALCEA
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      O non signora;
75di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DONNA ALCEA
                                     Il crederò!
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DONNA ALCEA
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 Qualche stroffetta canterò a proposito. (Da sé)
 DONNA ALCEA
80(Oh ragazza! Ten vai allo sproposito).
 LESBINA
 Sentite qualche cosa di più bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
85son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
90col pizzicor.
 
 DONNA ALCEA
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
95Mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
100raccogliermi più.
 
 DONNA ALCEA
 Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei giovine e bella,
 cicorietta novella,
105prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora,
 dovreste alla signora
 pensar, cara padrona,
110or ch’è buona stagione,
 or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DONNA ALCEA
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
115Posso saper chi sia?
 DONNA ALCEA
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DONNA ALCEA
 Eh la prudenza insegna
120che ogn’erba si contenta
 d’aver qualche governo,
 perch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così maltratata,
125per la neve lasciar la mia insalata.
 Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DONNA ALCEA e poi RINALDO
 
 DONNA ALCEA
 Allegoricamente
 m’ha detto che son vecchia
135e che i vecchi non sono buoni a niente.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
140Ecco della mia bella
 l’amata genitrice. (Da sé in disparte)
 DONNA ALCEA
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
145(Sorte, non mi tradir). La riverisco.
 DONNA ALCEA
                                                                   Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permetese,
 le direi due parole.
 DONNA ALCEA
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DONNA ALCEA
                                          Non mi pare.
 RINALDO
150Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DONNA ALCEA
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ella ha una figlia.
 DONNA ALCEA
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
155Ma! Mi sprona l’amore...
 DONNA ALCEA
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signora...
 DONNA ALCEA
                                     Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DONNA ALCEA
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DONNA ALCEA
                                        Per cortesia,
160non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza!
 DONNA ALCEA
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DONNA ALCEA
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
165ricco son quanto voi.
 DONNA ALCEA
                                        Son persuasa.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DONNA ALCEA
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DONNA ALCEA
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragion almeno
170dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DONNA ALCEA
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DONNA ALCEA
                                                   Sì, volontieri.
 
    La mia ragion è questa.
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
175e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dir di sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
180un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
185Sciocca ragione indegna
 d’anima vil de l’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
190O Eugenia sarà mia
 o tu, madre inumana,
 ti pentirai del tuo costume, insana.
 
    Ah, non son io che parlo.
 È il barbaro dolore
195che mi divide il core,
 che delirar mi fa.
 
    Non cura il ciel tiranno
 l’affanno in cui mi vedo,
 un fulmine gli chiedo
200e un fulmine non ha.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
205se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a portare, a seminare,
 e dappoi si mangerà,
 del buon vin si beverà
210ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
215l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
220con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
225Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LENA e NARDO
 
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto.
230Se foste un poveretto (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi e de’ contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia
235più tosto che parlar come una sciocca
 faresti meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi potreste pensare a maritarmi.
 NARDO
240Sì volentieri. Presto
 comparisca un marito? Eccolo qui!
 Voi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo. Io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
245Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con perucca e spada.
 Vedi; ride Mingone e ti corbella.
 Tu sposaresti un conte o un marchese
250perché in meno d’un mese
 strapazzata la dote e la fanciulla
 la nobiltà ti riducesse a nulla.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino;
 mi basta un cittadino
255che stia bene.
 NARDO
                            Di che?
 LENA
                                             Ch’abbia un’entrata
 qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto, e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena pretendi assai;
 se lo brami così nol troverai.
260Per lo più i cittadini
 hanno pocchi quadrini e troppe voglie;
 e non usano molto amar la moglie.
 Per prattica commune
 nelle cittadi usata,
265è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LENA
 La signora donna Alcea
 è cittadina, pure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
 ma in villa se ne sta,
270perché nella città vede il pericolo
 d’esser viziosa o diventar ridicola.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
275perché la dote e madre sua mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
280oggi la vederò.
 LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
285ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha,
290voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
295Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà;
 la si mariterà la poverina
300ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiar ognun si prova.
 Vorrebe il contadino
305diventar cittadino, il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
310alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quand’è più alto.
 
    Per vivere in pace
 bisogna soffrire.
 La donna loquace
315lasciatela dire,
 se grida tacete,
 se ride ridete
 e guai se voleste
 a lei contradir.
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di donna Alcea con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
320Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Il padre!
 Temo che ci sorprenda o la mia madre.
 RINALDO
 Dei vostri genitori
 il sovverchio rigor vi vuole oppressa.
325Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono;
 ah se il mio cuor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
330Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete, Lesbina.
 EUGENIA
                                          Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signoria mia. (Ad Eugenia)
 RINALDO
 La genitrice?
 LESBINA
                           Oibò. Sta la padrona
335col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
340Come?
 LESBINA
                 È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo. E vostra madre
 ha detto, ha comandato
345che gli dobbiate far buona accoglianza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di lasciar chi v’adora?
 EUGENIA
                                           È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
350Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
355ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene. (Partono)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente a partito.
360Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
365Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Donna Alcea dov’è?
 LESBINA
                                       Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
370Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
375Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
380Eh furbetta; voi mi avete
 conosciuto a diritura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
385quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
390ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
395   Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
400Saprete cos’è.
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
    Voglio partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DONNA ALCEA
 
 NARDO
405Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DONNA ALCEA
410Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
 vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DONNA ALCEA
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DONNA ALCEA
415La vedeste?