Il filosofo di campagna, libretto, Cremona, Ricchini, [1760]

 Sì finch’è sposata.
 DON TRITEMIO
 Questa è una mala azion che voi mi fate.
 NARDO
1365No, caro amico, non vi riscaldate.
 DON TRITEMIO
 Mi riscaldo, perché
 si poteva con me meglio trattare.
 Se l’aveva promessa,
 lo sposo aveva le ragioni sue.
 NARDO
1370I sposi erano due;
 v’erano dei contrasti, onde per questo
 quel che aveva più amor fatto ha più presto.
 DON TRITEMIO
 Io l’ho promessa a voi.
 NARDO
 Ma lei voleva il suo Rinaldo amato.
 DON TRITEMIO
1375Ma questo...
 NARDO
                          Orsù quello ch’è stato è stato.
 DON TRITEMIO
 È ver; non vuo’ impazzire;
 l’ho trovata alla fine e ciò mi basta.
 Dopo il fatto si convenga,
 chi l’ha avuta ed avuta se la tenga.
 
1380   Se io avessi anche un tesoro
 non do niente alla figliuola;
 ah mi manca la parola
 dalla bile ch’ho nel cor.
 
    Dei contanti non ce n’è
1385e l’entrate son per me;
 e così la contessina
 si è sposata poverina
 ma la dote non avrà;
 oh che rabbia che mi fa.
 
1390   Stia pur certo il sapientissimo
 signor Nardo stimatissimo
 non do niente in verità. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi LA LENA e CAPOCCHIO notaro
 
 NARDO
 A Rinaldo per ora
 basterà la consorte;
1395poi dopo la sua morte il padre avaro
 a suo dispetto lascierà il denaro.
 LENA
 Venite a stipulare
 delle nozze il contratto. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
 Eccolo qui, l’avevo mezzo fatto.
 NARDO
1400Andate in casa mia,
 l’opera terminate.
 L’ordine seguitate
 di due sponsali in un contratto espressi
 colle stesse notizie e i nomi stessi.
 CAPOCCHIO
1405Sì signor, si farà.
 Ma poi chi pagherà?
 NARDO
                                        Bella domanda!
 Pagherà chi è servito e chi comanda.
 LENA
 Sentite, se si fanno
 scritture in casa mia,
1410voglio la senseria.
 CAPOCCHIO
                                   Come?
 LENA
                                                   Dirò,
 se mi mariterò,
 come spero di farlo prestamente,
 la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
 
 SCENA VIII
 
 NARDO e CAPOCCHIO
 
 CAPOCCHIO
 Vostra nipote è avara, come va.
 NARDO
1415Credetemi, lo fa senza malizia;
 delle donne il costume è l’avarizia.
 CAPOCCHIO
 Son lente nello spendere,
 egli è vero, ma son leste nel prendere.
 
    Voi che filosofo
1420chiamato siete,
 dirmi saprete
 come si dia
 di simpatia
 forza e virtù.
 
1425   La calamita
 tira l’acciaro,
 tira l’avaro
 l’oro ancor più. (Entra in casa)
 
 SCENA IX
 
 NARDO, poi LESBINA
 
 NARDO
 Nato son contadino,
1430non ho studiato niente.
 Ma però colla mente
 talor filosofando a discrezione
 trovo di molte cose la ragione.
 LESBINA
 Ma capperi! Si vede,
1435affé, che mi volete poco bene.
 Nel giardino v’aspetto e non si viene.
 NARDO
 Un affar di premura
 m’ha trattenuto un poco.
 Concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
1440Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
 e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Ma s’Eugenia fuggì...
 NARDO
                                         Fu ritrovata.
 Là dentro è ricovrata.
1445E si fa con Rinaldo l’instrumento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
 Dunque, quand’è così, facciamo presto.
 Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
1450(Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate;
 prima che mia voi siate,
 a voi vuo’ render note
 alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
 Ho inteso il genio vostro.
1455Non vi sarà pericolo
 che vi voglia spiacer né men in piccolo.
 NARDO
 Quand’è così mia cara,
 porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
1460invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
 deh testimon voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
1465   Alberi, piante e fiori
 i vostri ardori ascosi
 insegnino a due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
1470«Ama la sposa ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama lo sposo ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella
 vezzosa e bella
1475solo il compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
 due piante unite
 ai sposi insegnano
1480la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
1485   Rondone fido
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto,
 vite amorosa,
1490diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor.
 
1495   No non si trova,
 no non si prova
 più bella pace,
 più caro ardor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito?
1500Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia,
 che la filosofia
 colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
1505Quel che pensar non so;
 all’uscio picchierò. Verranno fuori;
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA XI
 
 LENA e detto
 
 LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto;
 cosa si fa là dentro?
 LENA
1510Si fan degli istrumenti.
 Si fan dei matrimoni cinque e sei.
 Se vorrà potrà farlo ancora lei.
 Ecco i notari appunto. (Escano i notari e Lesbina. Portano fuori il tavolino, sedie e calamaro)
 Ecco Lesbina ancora;
1515un uomo come voi non sta ben solo,
 maritatevi pur, ch’io mi consolo. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 NARDO e CAPOCCHIO da notari. LESBINA e detto
 
 NARDO
 (Fortuna, se potessi
 ingannare costui, l’avrei pur caro).
 DON TRITEMIO
 Padroni favorischino.
1520Vorrei, se si contentano,
 scrivessero ambidue.
 E avranno entrambi le mercedi sue.
 NARDO
 Contentissimo son.
 CAPOCCHIO
                                      Ma non vorrei...
 DON TRITEMIO
 Se si contenta lui, taccia ancor lei.
 LESBINA
1525(Qualche scena graziosa ora m’aspetto).
 DON TRITEMIO
 D’accordo tutti due scrivino, io detto.
 
    Colla presente scrittura privata,
 resta accordata la bella Lesbina.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 Lesbina.
 
 DON TRITEMIO
 
                   Il matrimonio.
 
 NARDO
 
                                                Il ma...
 
 CAPOCCHIO
 
                                                                ...trimonio.
1530Con il signore.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                              Signore.
 
 DON TRITEMIO
 
                                                Tritemio.
 
 NARDO
 
 Nardino.
 
 CAPOCCHIO
 
                    Capocchio.
 
 DON TRITEMIO
 
                                          Tritemio.
 Scrivino bene.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                              ...emio.
 
 DON TRITEMIO
 
 Lei promette di sposarlo.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                                ...arlo.
 
 DON TRITEMIO
 
 E con tale promissione.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                             ...one.
 
 DON TRITEMIO
 
1535I suoi beni gli donò.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                       ...no.
 
 DON TRITEMIO
 
    Come no? Signorsì.
 La sua dote viene a me.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                              ...a me.
 
 DON TRITEMIO
 
 Ella stessa me l’ha detto.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 Maledetto.
 
 DON TRITEMIO
 
1540Siete sordi? Siete pazzi?
 Che maniera è questa qui!
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 (La non vuol finir così).
 
 DON TRITEMIO
 
    Terminate.
 
 NARDO
 
                           Aspettate.
 
 CAPOCCHIO
 
 La ragazza cosa dice?
1545Ella pur sentir conviene.
 
 NARDO
 
 Il collega dice bene.
 
 A DUE
 
 Senza questo non si può.
 
 DON TRITEMIO
 
 Via parlate.
 
 LESBINA
 
                         Parlerò;
 (ma risolto ancor non ho).
 
1550   Sarà il mio core
 del mio padrone.
 
 DON TRITEMIO
 
 Sino alla morte.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 La morte.
 
 DON TRITEMIO
 
                     Come?
 
 LESBINA
 
 Giuro d’amarlo.
 
 DON TRITEMIO
 
1555Volerli bene.
 
 NARDO
 
                           ...arlo.
 
 CAPOCCHIO
 
                                         ...bene.
 
 A DUE
 
 Basta così.
 Si sottoscrivino.
 
 LESBINA, DON TRITEMIO
 
 Eccomi qui.
 
 LESBINA
 
    Voglio rileggere.
 
 NARDO
 
1560E non s’incomodi.
 
 DON TRITEMIO
 
 Voglio riflettere.
 
 CAPOCCHIO
 
 Già va benissimo.
 
 LESBINA, DON TRITEMIO
 
 Prima di scrivere
 vogliamo leggere,
1565vogliam veder. (Don Tritemio prende la carta a Capocchio e Lesbina a Nardo che leggono)
 
 DON TRITEMIO
 
    Colla presente...
 
 LESBINA
 
                                   Scrittura privata...
 
 DON TRITEMIO
 
 Resta accordata...
 
 LESBINA
 
                                   La bella...
 
 DON TRITEMIO
 
                                                       Lesbina...
 
 NARDO
 
 (Ora ci sono).
 
 CAPOCCHIO
 
 (Or viene il buono).
 
 LESBINA
 
1570Il matrimonio.
 
 DON TRITEMIO
 
 Con il signore.
 
 LESBINA
 
 Lesbina Nardino...
 
 DON TRITEMIO
 
                                     Capocchio...
 
 LESBINA
 
 Come?
 
 DON TRITEMIO
 
                 Cos’è?
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 Quello è un notaro
1575simile a me.
 
 NARDO
 
    Quello è Capocchio. (Osservandosi fra loro)
 
 CAPOCCHIO
 
 Quello è Nardino.
 
 DON TRITEMIO
 
 Ah traditori.
 
 LESBINA
 
 Ah scellerati.
 
 A TRE
 
1580Viva li sposi.
 
 DON TRITEMIO
 
 Via disgraziati.
 
 A TRE
 
 Viva l’amor.
 
 DON TRITEMIO
 
 Via maledetti.
 
 LESBINA
 
 Ma di buon cor. (Partono tutti e resta don Tritemio)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DON TRITEMIO, poi tutti
 
 DON TRITEMIO
1585Oh disgraziati.
 Chi pensar lo potea?
 Ma voglio vendicarmi
 con Lesbina e con Nardo,
 con la figlia e Rinaldo
1590e la lor pena sia
 nulla mai più sperar da casa mia.
 EUGENIA
 
    Ah genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
1595Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi, scellerati.
 Vi siete accomodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto,
1600che bella carità.
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
1605per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
1610piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
    Aria aggiunta nell’atto secondo
 
    Scena XIII dopo il verso «e per questo crudel mi discacciate»:
 
    Ah crudel! Vuoi tu ch’io pianga,
 singhiozzando piangerò;
 guarda guarda questi occhietti
 come rossi ora gli fo;
 
1615   basta via... Ma cosa aspetti,
 volta il viso, fa un sorriso;
 fatti in qua.
 
    Allegramente
 la pace è fatta;
1620donne col piangere
 tutto si fa.
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegeio, pastor arcade, da rappresentarsi in Pistoia nel teatro degli illustrissimi signori Accademici Risvegliati nell’estate dell’anno MDCCLVIII, dedicato alle nobilissime dame e cavalieri di detta città.
    In Firenze, MDCCLVIII, nella stamperia dell’erede Paperini, con licenza de’ superiori.
 
 Nobilissime dame e cavalieri,
    non è che farvi giustizia nobilissime dame e cavalieri ornatissimi il dire che, essendo voi il fiore ed il decoro fra le più ragguardevoli città d’Italia, siate poi d’animo veramente grande e generoso verso chiunque con confidenza e sommissione a voi ricorre. Questa prima mia giocosa operetta, che esce sotto i vostri benignissimi auspici e che a voi consacro co’ più vivi sentimenti di venerazione ed ossequio, acquisterà pregio e patrocinio dal reputatissimo vostro nome, se non è degna di voi, almeno sarà un testimonio del vivo desiderio che nutro di moltiplicare gli atti del mio ossequio e venerazione, colla quale pieno di rispetto mi umilio umilissimo devotissimo servitore obbligatissimo.
 
    L’impresario
    Pistoia, 20 luglio 1758
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 si abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto di un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore,
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlareste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro core.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non fia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Se perde il caro lido
 sopporta il mar che freme.
55Lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier;
 
    lontan dal caro bene
 soffro costante e peno
 ma questo core almeno
60rimanga in mio poter.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco,
 quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 Qualche strofetta canterò a proposito. (Da sé)
 DON TRITEMIO
 O ragazza! Farei uno sproposito. (Da sé)
 LESBINA
80Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono,
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
90Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria,
 tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella,
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
110or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è codesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca di un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 ch’ogni erba si contenti
120di aver qualche governo,
 purché esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Alegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
140liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 Ecco della mia bella
 il genitor felice. (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
145Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato.
 E da tutti filosofo è chiamato.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
150le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro n’ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
155vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque signor...
 DON TRITEMIO
                                  Dunque signor mio caro,
160per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
165mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi!
 DON TRITEMIO
                                         Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
170le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                Sì volentieri.
 
175   La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui,
180non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
185perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica
190ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
195ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci amor nel seno mio,
 finché parla il giusto sdegno;
 o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
200   Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
205Presto, presto a lavorare,
 a potare, a seminare,
 e doppoi si mangerà,
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partano i contadini, restandone uno impiegato)
 
210Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo
215e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica e con arte e con periglio,
220distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gli uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
225col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
230compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
235fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
240comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposare mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
245a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella;
 povera vanarella,
 tu sposeresti un conte ed un marchese,
250perché in meno di un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
255che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
 qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
260Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
265è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa.
 NARDO
                           È vero,
 ma in villa se ne sta,
270perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
275perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
280oggi la vedrò.
 LA LENA
                            Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signore zio,
285mi voglio poscia maritare anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
290Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
295Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
300ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
305diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
310alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar non posso,
315si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
320   Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo.
 Vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
325Deh se mi amate o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vole oppressa.
330Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cor vi dono
 per or vi basti; e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
335Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale.
 EUGENIA
                                     Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
340col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
345Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
350che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
355Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
360ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attacava
 prestamente al partito.