Il filosofo di campagna, libretto, Ferrara, Gardi, 1760

 SCENA XI
 
 LENA e detto
 
 LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
1495cosa si fa là dentro?
 LENA
 Si fan degl’istrumenti,
 si fan de’ matrimoni cinque o sei;
 se vorrà potrà farlo ancora lei.
 Ecco i notari appunto, (Escono i notari e Lesbina, portando fuori tavolino, sedie e calamaro)
1500ecco Lesbina ancora;
 un uomo come voi non sta ben solo,
 maritatevi pur, ch’io mi consolo. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 NARDO e CAPOCCHIO da notari. LESBINA e detto
 
 NARDO
 (Fortuna se potessi
 ingannare costui l’avrei pur caro).
 DON TRITEMIO
1505Padroni favorischino
 vorrei, se si contentano,
 scrivessero ambidue
 e da me avranno le mercedi sue.
 NARDO
 Contentissimo son...
 CAPOCCHIO
                                        Ma non vorrei...
 DON TRITEMIO
1510Se si contenta lui, taccia ancor lei.
 LESBINA
 (Qualche scena graziosa ora m’aspetto).
 DON TRITEMIO
 D’accordo tutti due scrivino, io detto.
 
    Colla presente scrittura privata,
 resta accordata la bella Lesbina.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
1515Lesbina.
 
 DON TRITEMIO
 
                   In matrimonio.
 
 CAPOCCHIO
 
                                                  In ma...
 
 NARDO
 
                                                                   ...trimonio.
 
 DON TRITEMIO
 
 Con il signore.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                              Signore.
 
 DON TRITEMIO
 
                                                Tritemio.
 
 NARDO
 
 Nardino.
 
 CAPOCCHIO
 
                    Cappocchino.
 
 DON TRITEMIO
 
                                               Tritemio.
 Scrivino bene.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                              ...emio.
 
 DON TRITEMIO
 
 Lei promette di sposarlo.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                                ...arlo.
 
 DON TRITEMIO
 
1520E con tal promissione.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                           ...one.
 
 DON TRITEMIO
 
 I suoi beni gli donò.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                       ...no.
 
 DON TRITEMIO
 
    Come no? Signori sì.
 La sua dote viene a me.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
                                              ...a me.
 
 DON TRITEMIO
 
    Ella stessa me l’ha detto.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
1525Maledetto.
 
 DON TRITEMIO
 
 Siete sordi? Siete pazzi?
 Che maniera è questa qui!
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 (La non vuol finir così).
 
 DON TRITEMIO
 
    Terminate.
 
 CAPOCCHIO
 
                           Aspettate.
1530La ragazza cosa dice.
 Ella pur sentir conviene.
 
 NARDO
 
 Il collega dice bene.
 
 A DUE
 
 Senza questo non si può.
 
 DON TRITEMIO
 
 Via parlate. (A Lesbina)
 
 LESBINA
 
                          Parlerò
1535ma risolto ancor non ho.
 
    Sarà il mio core
 del mio padrone.
 
 DON TRITEMIO
 
 Sino alla morte.
 
 NARDO, CAPOCCHIO
 
 Morte.
 
 DON TRITEMIO
 
                Come?
 
 LESBINA
 
1540Giuro d’amarlo.
 
 DON TRITEMIO
 
 Volerli bene.
 
 NARDO
 
                           ...arlo.
 
 CAPOCCHIO
 
                                         ...bene.
 
 A DUE
 
 Basta così.
 Si sottoscrivino.
 
 LESBINA, DON TRITEMIO
 
 Eccomi qui.
 
 LESBINA
 
1545   Voglio rileggere.
 
 CAPOCCHIO
 
 E non s’incomodi.
 
 DON TRITEMIO
 
 Voglio riflettere.
 
 NARDO
 
 Già va benissimo.
 
 LESBINA, DON TRITEMIO
 
 Prima di scrivere
1550vogliamo leggere.
 Vogliam veder. (Don Tritemio prende la carta a Capocchio e Lesbina a Nardo, che leggano)
 
 DON TRITEMIO
 
    Colla presente...
 
 LESBINA
 
                                   Scrittura privata...
 
 DON TRITEMIO
 
 Resta accordata...
 
 LESBINA
 
                                   La bella...
 
 DON TRITEMIO
 
                                                       Lesbina...
 
 A DUE
 
 Ora ci sono.
1555Or vien il bono.
 
 LESBINA
 
 In matrimonio.
 
 DON TRITEMIO
 
 Con il signore.
 
 LESBINA
 
 Nardino!
 
 DON TRITEMIO
 
                    Capocchino!
 
 LESBINA
 
 Come?
 
 DON TRITEMIO
 
                 Cos’è?
 
 CAPOCCHIO, NARDO A DUE
 
1560Quello è un notaro
 simile a me.
 
 DON TRITEMIO
 
    Come tai nomi.
 
 LESBINA
 
 Non la capisco.
 
 NARDO
 
 Signor notaro.
 
 CAPOCCHIO
 
1565La riverisco.
 
 CAPOCCHIO
 
 Quello è Nardino.
 
 NARDO
 
 Quello è Capocchino. (Osservandosi fra loro)
 
 DON TRITEMIO
 
 Ah traditori.
 Ah scellerati.
 
 A TRE
 
1570Viva li sposi.
 
 DON TRITEMIO
 
 Via disgraziati.
 
 A TRE
 
 Viva l’amor.
 
 DON TRITEMIO
 
 Via maledetti
 ma di buon cuor. (Partono tutti e resta don Tritemio)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DON TRITEMIO e poi tutti
 
 DON TRITEMIO
1575Oh disgraziati;
 chi pensar lo potea!
 Ma voglio vendicarmi
 con Lesbina e con Nardo,
 con la figlia e Rinaldo;
1580e la lor pena sia
 nulla mai più sperar da casa mia.
 EUGENIA
 
    Ah genitor perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
1585Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi scellerati,
 vi siete accomodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
1590Che bella carità!
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
1595per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
1600piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegeio, pastor arcade, da recitarsi nel teatro dell’illustrissima Communità di Forlì la primavera del MDCCLVIII, dedicato agl’illustrissimi magistrati della giustizia e della pace.
    In Forlì, per Antonio Barbiani, stampatore vescovile, con licenza de’ superiori.
 
 Illustrissimi signori,
    dovendosi su questo pubblico teatro per noi esporre in iscena il presente dramma, a nostro sommo vantaggio ascriviamo il poter alle signorie loro illustrissime offerirlo, come umilmente facciamo, e col ragguardevolissimo lor nome crescergli gloria e chiarezza. Siccome quest’atto è un vivo contrassegno dell’ossequio singolare che a loro professiamo così sperare per noi si vuole che ci guadagnerà non solo il più cortese gradimento ma altresì la più valida protezzione, di cui premurosi sempreppiù e supplichevoli ci pregiamo di soscriverci con la più distinta venerazione delle signorie loro illustrissime umilissimi divotissimi obbligatissimi servitori.
 
    Gl’impresari
    Forlì, li 15 aprile 1758
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (la signora Francesca Dondini)
 RINALDO gentiluomo amante d’Eugenia
 (il signor Carlo Vagnoni)
 
 PARTI BUFFE
 
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Anastasio Massa)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (la signora Faustina Tedeschi, virtuosa di camera di sua altezza serenissima elettorale di Colonia)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Pasquale Bondini)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Teresa Zaccarini)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (il signor Francesco Cavalli)
 
    La musica è del celebre maestro signor Baldassarre Galuppi detto Buranello.
 
 BALLERINI
 
    Il signor Vincenzo Monari sarà inventore e direttore de’ balli eseguiti dalli seguenti: la signora Veronica Moretti, il signor Vincenzo Monari, la signora Stella Bicochi, il signor Venanzio Pengo, la signora Antonia Zaccarini, il signor Giuseppe Nanini.
    Il vestiario sarà di ricca e nuova invenzione del signor Angelo Filippini bolognese.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 si abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto di un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore.
 Troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlareste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro core.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non fia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Finché non trova un fonte
 la cerva sitibonda
55cerca la valle e ’l monte,
 va dalla selva al prato
 e riposar non sa.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
60Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
65raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
70canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
75Qualche stroffetta canterò a proposito. (Da sé)
 DON TRITEMIO
 O ragazza!... Farei uno sproposito. (Da sé)
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
80son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
85non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
90cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
95nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
100cicorietta novella,
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
105pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
 or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
110sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
115Eh la prudenza insegna
 ch’ogn’erba si contenti
 di aver qualche governo,
 purché esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
120pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
125sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccolie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
130Alegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
135che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco ricone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
140Ecco della mia bella
 il genitor felice. (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato.
 E da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
145(Sorte non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro n’ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
150Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
155Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque signor...
 DON TRITEMIO
                                  Dunque signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
160non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
165ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
170dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
175e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
180un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
185Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
190O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci amor nel seno mio,
 finché parla il giusto sdegno;
195o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
200   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a podare, a seminare,
 e doppoi si mangerà,
205del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partano i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
210Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavelo e il tritavolo
 e fur sudditti lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
215Se il padre ha accumulato
 con fatica e con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
220sono gli uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Ecolo qui; la vanga
225è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
230Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
235voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
240Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al vilano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
245Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno di un mese,
 strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
250Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
 qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
255Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quatrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
260Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
265così non usa.
 NARDO
                           È vero,
 ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
270v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
275L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vedrò.
 LA LENA
                            Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
280sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio,
 mi voglio poscia maritare anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
285Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
290   La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
295che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
300e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorebbe alzarsi.
305D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
310che ha un pero grosso,
 pigliar non posso,
 si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
315vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo.
 Vado più in su.
320Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
325Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cor vi dono
330per or vi basti; e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale.
 EUGENIA
                                     Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
335V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
340Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
345il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
350di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
355Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
360Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora sono nell’impegno;
365tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
370Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
375Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
380Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
 conosciuto a drittura;
 delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
385Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
390Eh restate carina.
 LESBINA
                                   Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
395(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, se io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
400che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua.
 Saprete così è.
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
405   Vuo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO e poi DON TRITTEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
410ma è un cativo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
415vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
420Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’essere amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato). (Da sé)
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
425il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
430Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
435La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante e graziosa?
 NARDO
 È galante e gentile ed è amorosa.
 LA LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
440che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
445ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
450risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere