Il filosofo di campagna, libretto, Livorno, Coltellini, 1768

 LENA
 Per mezzo di Capocchio, in men d’un giorno,
 Certo; la commission non è [illeggibile]
 secondo il genio mio spero un marito,
 ma mi farò pagar. Io son Capocchio;
 perché se troppo in casa me ne resto
 io le ho parlato chiaro;
980col zio, che poco pensa alla nipote,
 io son pronto a servirvi, ma... denaro.
 perdo e consumo invan la miglior dote.
 Questo vuol dire aver molto studiato
 
    Ogni anno passa un anno,
 e saper ragionar da letterato.
 l’età non torna più;
    Io sono un libro aperto,
 passar la gioventù
 di tutto so parlar.
985io non vorrei così,
 Un logico più esperto
 ci penso notte e dì.
 non v’è nel disputar.
 
    Vorrei un giovinetto
    So dir nego maiorem,
 civile, graziosetto,
 so dir probo minorem,
 che non dicesse un no,
 retorqueo, distinguo, concedo;
990quando io gli chiedo un sì. (Entra in casa)
 e a forza d’argomenti
 io voglio aver ragion.
 
 SCENA VI
 
 DON TRITEMIO infuriato, poi NARDO di casa
 
 TRITEMIO
 Figlia, figlia sgraziata,
 dove sei? Non ti trovo. Ah, se la perfida
 mi capita alle mani,
 la vo’ sbranar, come fa l’orso i cani.
995Son fuor di me; son pieno
 di dispetto, di rabbia e di veleno.
 NARDO
 Signor, che cosa avete
 che sulle furie siete?
 TRITEMIO
 Ah, sono assassinato.
1000M’han la figlia involato;
 non la trovo, non so dov’ella sia.
 NARDO
 E non v’è altro?
 TRITEMIO
                                Una minchioneria!
 NARDO
 Eugenia, vostra figlia,
 è in sicuro, signor, ve lo prometto,
1005e allegra collo sposo nel mio tetto.
 TRITEMIO
 Là dentro?
 NARDO
                       Signorsì.
 TRITEMIO
 Eh, burlate!
 NARDO
                         È così.
 TRITEMIO
 Rapirmela mi pare
 una bella insolenza.
 NARDO
1010La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
 TRITEMIO
 Dov’è? La vo’ veder.
 NARDO
                                        Per ora no.
 TRITEMIO
 Eh, lasciatemi andar.
 NARDO
                                          Ma non si può.
 TRITEMIO
 La volete tener sempre serrata?
 NARDO
 Sì, finch’è sposata.
 TRITEMIO
1015Questa è una mala azion che voi mi fate.
 NARDO
 No, caro amico, non vi riscaldate.
 TRITEMIO
 Non m’ho da riscaldare?
 E vi par questo un modo di trattare?
 
    Corpo del diavolo,
1020questo è un po’ troppo.
 Che? Sono un cavolo?
 Sono irritato,
 sono arrabbiato.
 La vo’ finire,
1025non vo’ sentire,
 non ho pietà.
 
    Vo’ rovinarvi,
 vo’ vendicarmi
 ed in giudizio
1030un precipizio
 ne nascerà.
 
    Come? Che dite?
 Eh, Nardo mio,
 mi maraviglio,
1035basta così.
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi LENA e LESBINA che escono di casa
 
 NARDO
 Io crepo dalle risa. Oh bell’equivoco!
 Il buon padre non sa che la figliuola
 [illeggibile]
 sposa è già di Rinaldo;
 ma creda quel che vuol, non mi confondo.
1040Una gabbia di matti è questo mondo.
 LESBINA
 Caro sposino mio, vi riverisco.
 LENA
 Ed io di star così m’infastidisco.
 NARDO
 Cosa da me volete?
 LESBINA
 Rinaldo con Eugenia, già saprete,
1045ritorna alla città
 e vorrebbe condurre ancor noi là.
 NARDO
 Oibò; non voglio correre il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Io per me ci anderò;
1050e a un cittadino mi mariterò.
 NARDO
 Oh, matta! I cittadini
 hanno pochi quattrini e molte voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 LESBINA
 Andiam, diletto sposo, ve ne prego.
 NARDO
1055Io vi rispondo un bel solenne nego.
 LESBINA
 Ma riflettete un poco, o mio Nardino,
 amoroso, bellino.
 Non vi par bella cosa
 veder la vostra sposa
1060in cerchio o in negligé,
 in sacco o in andriè,
 il viso imbellettato e un gran touppè;
 e con caricatura,
 affettando una nobile figura,
1065fare un inchino qua
 e un’occhiatina e un baciamano là?
 Dirò di più. Forse stimate un niente
 quel dire francamente:
 «La mia Lesbina bella
1070innamora ciascun quando favella?»
 Infin, meco ridendo, mi direte:
 «Di tua beltà son fatti schiavi, è vero,
 ma io sol del tuo cuor tengo l’impero».
 LENA
 Adunque, caro zio, che male c’è
1075se alla città passiamo tutti tre?
 NARDO
 E ben; l’accordo. Già corre la moda
 che il galantuom lasci godere e goda.
 LESBINA
 Grazie; sarò fedele come l’oro;
 torto non vi farò per un tesoro;
1080e intanto vederete i ganimedi
 spasimare d’amor tutti a’ miei piedi.
 
    Se io ritorno cittadina,
 con due nei sopra il mostaccio
 e con due che mi dian braccio,
1085un da destra e un da mancina,
 anderò per la città;
 
    e con sguardi vezzosetti,
 con sospiri sdegnosetti,
 farò tutti innamorare,
1090senza aver di lor pietà. (Parte con Nardo)
 
 SCENA ULTIMA
 
 LENA, poi DON TRITEMIO infuriato, dopo tutti gli attori
 
 LENA
 Mi sa mille anni. Certo; ho un gran prurito
 d’avere un cittadino per marito.
 TRITEMIO
 (La rabbia mi divora). Olà, ragazza,
 cosa si fa là dentro?
 LENA
1095Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni.
 Fra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà ancor lei.
 TRITEMIO
1100Questi sposi quai son?
 LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LENA
 E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 TRITEMIO
1105Come! Lesbina? Ohimè! Io non lo credo.
 LENA
 Eccogli tutti quattro.
 TRITEMIO
                                        Ahi! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah genitor perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
1110Questa è la verità.
 
 TRITEMIO
 
    Perfidi, scellerati,
 vi siete accomodati?
 Senza la sposa mesto,
 senza la figlia resto;
1115che bella carità!
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
1120per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
1125piacer darà.
 
 
 Fine
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegeio, pastor arcade, da rappresentarsi nel nuovo Regio teatro di Praga la primavera dell’anno 1762, presentato all’illustrissime ed eccellentissime dame e cavalieri di detta regia città in ringraziamento dell’universale compatimento hanno dato al primo dramma.
    Praga, nella stamperia di Ignazio Pruscha.
 
 Nobilissime dame e cavalieri ornatissimi,
    la bella ed invidiabil sorte dell’universale compatimento riportato dal mio primo dramma giocoso, soltanto per avere in fronte il pregiabilissimo e rispettabilissimo nome dell’eccellenze vostre, mi ha riempiuto di tale e tanta allegrezza e contento che, non sapendo come meglio i sentimenti dell’animo mio rimostrarle, ho creduto cosa ben giusta e doverosa, in ringraziamento almeno di tanta bontà e clemenza, offerirle e presentarle anche il secondo giocoso dramma, sicurissimo che essendo anche questo riguardato come cosa propria dell’eccellenze vostre riporterà la stessa bella sorte del primo. In appreso adunque e sempre, come umilmente supplico l’eccellenze vostre, sia impegno di vostra clemenza proteggere con li miei drammi anche me stesso, perché io sempre più possa gloriarmi di essere dell’eccellenze vostre umilissimo, devotissimo, obligatissimo servitore.
 
    L’impressario
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (la signora Luigia Amalia Raniera)
 RINALDO gentiluomo amante d’Eugenia
 (il signor Nicola Bencini)
 
 PARTI BUFFE
 
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Leopardo Tonarelli)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (la signora Anna Zanini)
 DON TRITEMIO cittadino abbitante in villa
 (il signor Giuseppe Buffelli)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Laura Oddi)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (il signor Giuseppe Ferrini)
 DUE LAVORATORI di Nardo che non parlano
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: giardino; casa rustica in campagna; salotto con diverse porte.
    Nell’atto secondo: camera; casa rustica sudetta; camera sudetta.
    Nell’atto terzo: casa rustica sudetta.
 
    La musica è del celebre maestro signor Baldassarre Galuppi detto Buranello.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini. LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfugir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno,
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Se perde il caro lido
 sopporta il mar che freme.
55Lo scoglio è quel che teme
 il misero nochier.
 
 SCENA II
 
 LESBINA; poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
60Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITTEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
65Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
70di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
 DON TRITEMIO
75(Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
80son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
85col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
90Mangiatemi presto;
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
95raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
100prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
105Or ch’è buona stagione,
 or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
110Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
115che ogn’erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
120per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
125   Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
130m’ha detto che con lei non farò niente.
 Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
135Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
140il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
145S’ella mi permetesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
150Son cavaliere e sono i beni mei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
155Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
160Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
165Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
170La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragione è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
175La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
180rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Che innaspettato, oh dio!
185colpo improviso è questo?
 E sarà dunque ver ch’il mio tesoro
 meco unito non fia?
 Ah! Che il dolor questo mio core opprime!
 Oh Eugenia fedel bell’idol mio,
190se ti perdo mia vita
 tosto lungi da te morir vogl’io.
 
    Quei vezzosi amati rai
 idol mio fedel riserba;
 e quel cor che tanto amai
195anche in morte adorerò.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
200se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a podare, a seminare;
 e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
205ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scetro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
210l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur suditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
215con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
220Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste, dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il sudetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
225Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
230più tosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
235Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
240Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vannarella,
245tu sposaresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
250Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
 qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
255Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pocchi quatrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
260nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero,
265ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
270Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
275Ieri solo è venuta;
 oggi la vederò.
 LA LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
280Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Son zittellina
 son modestina
 non mi dovreste
285se senno aveste
 così trattar.
 
    Sento nel core
 un certo ardore,
 un pizzicore
290non posso dirlo...
 Non so spiegar.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
295ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
300diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
305alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Cosa val la nobiltà
 senza il lustro del contante.
 Il signore ed il mercante
310non si stima se non ha.
 Non ho il capo cincinato,
 non vuo liscio né stuccato
 ma mi faccio rispettar,
 se la quaglia fo cantar.
 
315   Mi fanno ridere
 questi zerbini
 senza quattrini
 quando pretendono
 farsi stimar.
320Non se ne avvedono
 si fan burlar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
325Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono,
 ah se il mio cuor vi dono
330per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
335V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
340Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
345il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto e comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
350di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
355Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altera stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
360Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
365tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
370Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliola di lui, venuta qui?
 LESBINA
375Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
380Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
 conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
385Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
390Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
395(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so,
 son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
400che col labro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua,
 saprete cos’è.
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
405   Voglio partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche pottrebbe, è ver purtroppo.
410Ma è un cattivo animale