Il filosofo di campagna, libretto, Parma, Stamperia Reale, 1772

    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
1235Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 Fine del drama giocoso
 
 Siegue il ballo.
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Feggeio, pastor arcade, da rappresentarsi nel teatro.
    À Bruxelles, chez Jean Joseph Boucherie, imprimeur libraire, rue de l’Hôpital, MDCCLXVI, avec approbation et privilège.
 
 
 PERSONAGGI
 
 RINALDO cavaliere, amante d’Eugenia, figlia di don Tritemio promessa sposa a
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 LESBINA cameriera di casa di
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 CAPOCCIO notario della villa
 
    La musica è del celebre maestro signor Baldassare Galuppi detto Buranello. La poesia è del signor dottore Goldoni, pastor arcade.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna!
 Poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    O che pane delicato,
5se da noi fu coltivato!
 Presto presto a lavorare,
 a podare, a seminare,
 e dappoi si mangerà,
 del buon vin si beverà
10ed allegri si starà. (Partono i contadini restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
15l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato,
 se il padre ha accumulato
20con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
25Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi
 d’un gradino alla volta.
30Qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto;
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
 Aria
 
    Suponiam che questa sia
 la fortuna che vogl’io,
35che quella sia quell’altra
 che poi vuole il padron mio.
 Voglio un po’ filosofar.
 
    Me lo metto ben in testa
 che nel mondo le fortune
40paian bionde e pur son brune
 poiché quella non è questa,
 perché questa non è quella
 e la bruta con la bella
 non si deve mai cangiar.
 
45   A che serve, il conto è chiaro
 che lo vede ogni somaro.
 Voglio quello che mi par.
 
 SCENA II
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO
 
 RINALDO
 Ecco della mia bella
 il genitor felice.
 DON TRITEMIO
50(Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato).
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
55le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare,
 son cavaliere e sono i beni miei
60vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ella ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo
 ma mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                              Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque signor?...
 DON TRITEMIO
                                    Dunque signor mio caro,
65per venire alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
70mi toliete alla prima ogni speranza.
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
75le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vuo’ saper.
 DON TRITEMIO
                                              Sì, volontieri.
 
80   La mia ragione è questa,
 mi par ragione onesta;
 la figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
85Non posso dir di sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no.
90Perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo.
 La mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA III
 
 RINALDO
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna,
 d’anima vil dell’onestà nemica;
95ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu padre inumano
100ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Ah non lasciarmi o cara,
 ritorna al primo affetto,
 amami ancor ben mio,
 serba nel petto oh dio
105fido e constante il cor.
 
 SCENA IV
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno.
 Tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
110Per ora vi son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra pocco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò,
115voi chi siete signora?
 LESBINA
                                         Io non lo so.
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
120Mi piacete da ver.
 LESBINA
                                    Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il cuore?
 LESBINA
 Il cuor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
125Eh furbetta, furbetta! Voi mi avete
 conosciuto a drittura.
 Ciò sempre si conosce per natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
130quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
135ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
140   Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua;
145saprete cos’è.
 Voltatevi in là,
 lontano da me.
 
    Vuo’ partire, mi sento languire,
 ah! Col tempo spiegar mi saprò. (Parte)
 
 SCENA V
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO, LESBINA
 
 NARDO
150Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
155Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
 vi saluto di cuore.
 NARDO
                                   Ed io v’abbraccio.
 DON TRITEMIO
 E verrà la figliuola?
 NARDO
                                       È già venuta.
 DON TRITEMIO
160La vedeste?
 NARDO
                         Signorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’essere amato.
 DON TRITEMIO
165È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato).
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     Eh viva! Eh viva!
170Eugenia dove sei? Facciamo presto,
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 NARDO
 Si vede
175da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
 A pena ci siam visti,
 un incognito amor di sempatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
180   Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LESBINA
 
    Il vostro giubilo (Esce da una camera)
185nelle mie viscere
 risveglia ed agita
 novello ardor.
 
    Sposino amabile
 per voi son misera,
190mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno
 sposina mia.
 
 LESBINA
 
 Al sen vi stringo
195caro sposino,
 dolce destino!
 Felice amor!
 
    Parto, parto; il genitore...
 
 NARDO
 
 Perché partir?
 
 LESBINA
 
                              Il mio rossore
200non mi lascia restar qui. (Entra donde è venuta)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fuggì.
 
    Se fossi in lei
205non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in seno io provo;
 dove diavolo sarà?
 
 NARDO
 
210Ah! Ah! Ah!
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 NARDO
 
                             È andata là.
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
215e con me la condurrò. (Entra nella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà bene il suo rossore.
 Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
220Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò. (Torna)
 
 NARDO
 
225Questa cosa far si può.
 Ecco, ecco, io ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre; vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 NARDO
 
230Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Torna nella camera)
 
 NARDO
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’annello
 ha rossor del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
235   Non la trovo.
 
 NARDO
 
                              Ah ah ah! (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO
 
                        È stata qua.
 Collo sposo ha favellato.
 E l’anello già le ho dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 NARDO
 
                       Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
240Alla sposa?
 
 LESBINA
 
                        Messersì... (Lesbina esce di nuovo)
 
    Quel ch’è fatto sia.
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
 alla fin si cangierà;
245e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fin dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera di don Tritemio.
 
 LESBINA e DON TRITEMIO; poi RINALDO e CAPOCCHIO notaro
 
 LESBINA
 Signor, è un cavaliero
 col notar della villa in compagnia
 che brama riverir vossignoria. (Parte)
 DON TRITEMIO
250Vengano. (Col notaro?
 Qualchedun che bisogno ha di denaro).
 Se denaro vorrà, gliene darò,
 purché sicuro sia con fondamento
 e che almeno mi paghi il sei per cento.
255Ma che vedo? È colui
 che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
 Col notaro che vuol? Che far intende?
 RINALDO
 Compatite signor...
 DON TRITEMIO
                                      La riverisco.
 RINALDO
 Compatite se ardisco
260replicarvi l’incommodo. Temendo
 che non siate di me ben persuaso,
 ho condotto il notaro,
 il qual patente e chiaro
 di me vi mostrerà
265titoli, parentele e facoltà.
 DON TRITEMIO
 (È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco signore
 l’istrumento rogato
 d’un ricco marchesato;
 ecco l’albero suo, da cui si vede
270che per retto cammino
 vien l’origine sua dal re Pipino.
 DON TRITEMIO
 Oh capperi! Che vedo?
 Questa è una cosa bella in verità.
 Ma della nobiltà, signor mio caro,
275come andiamo del par con il denaro?
 RINALDO
 Mostrategli i poderi,
 monstrategli sinceri i fondamenti.
 CAPOCCHIO
 Questi sono istrumenti
 di comprede, di censi, di livelli,
280questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’instrumenti antichi)
 
 Aria
 
    Nel Quattrocento
 sei possessioni,
 nel Cinquecento
 quattro valloni.
285Anno millesimo
 una duchea.
 Milletrentesimo
 una contea.
 Emit etcaetera.
 
290   Case e casoni,
 giurisdizzioni,
 frutti annuali,
 censi e cambiali.
 Sic etcaetera
295cum etcaetera. (Parte)
 
 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 La riverisco etcaetera.
 Vada signor notario a farsi etcaetera.
 RINALDO
 Ei va per ordin mio
 a prender altri fogli, altri capitoli,
300per provarvi di me lo stato e i titoli.
 DON TRITEMIO
 Sì sì, la vostra casa
 ricca, nobile, grande ognora fu.
 Credo quel che mi dite e ancora più.
 RINALDO
 Dunque di vostra figlia
305mi credete voi degno?
 DON TRITEMIO
                                           Anzi degnissimo.
 RINALDO
 Le farò contradote.
 DON TRITEMIO
                                     Obligatissimo.
 RINALDO
 Me l’accordate voi?
 DON TRITEMIO
                                      Per verità
 v’è una difficoltà.
 RINALDO
                                   Da che dipende?
 DON TRITEMIO
 Ho paura che lei...
 RINALDO
                                    Chi?
 DON TRITEMIO
                                                La figliuola.
 RINALDO
310D’Eugenia non pavento.
 DON TRITEMIO
 Quando lei possa farlo, io son contento.
 RINALDO
 Ben, vi prendo in parola.
 DON TRITEMIO
 Parlarò alla figliuola.
 S’ella non fosse in caso,
315del mio buon cuor sarete persuaso.
 RINALDO
 Sì, parlatele pur, contento io sono,
 se da lei son escluso, io vi perdono.
 DON TRITEMIO
 Bravo, un uom di ragion si loda e stima.
 S’ella non puote, amici come prima.
 
320   Io son di tutti amico,
 son vostro servitor.
 Un uomo di buon cor
 conoscerete in me.
 
    La chiamo subito;
325verrà ma dubito,
 sconvolta trovisi
 da un non so che.
 
    Farò il possibile
 pel vostro merito,
330che per i titoli,
 per i capitoli
 anche in preterito
 famoso egli è.
 
 SCENA III
 
 RINALDO, DON TRITEMIO e LESBINA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
335di sua man, del suo cor certo son io.
 LESBINA
 Signor padron, voi siete domandato.
 RINALDO
 (Ci mancava costei).
 DON TRITEMIO
                                        Chi è che mi vuole?