Il filosofo di campagna, libretto, Venezia, Fenzo, 1754

                                         Brutta figura. (Viene madama vestita da veneziana)
 MADAMA
 Ola, ola, fermeve,
 cossa diavolo feu;
 dixé, cossa gh’aveu?
475Se ve dixé più robba,
 la stizza ve farà crescer la gobba.
 PARPAGNACCO
 Veneziana gentil, chi siete voi?
 IL CONTE
 Cercate voi di me?
 MADAMA
 Domando tutti do. Son vegnua qua
480per parte de madama mia parona
 a farve riverenza
 e a dirve do parole in confidenza.
 PARPAGNACCO
 Dite, dite.
 IL CONTE
                      Parlate.
 PARPAGNACCO
 V’ascolto con diletto.
 IL CONTE
485Mi balza il cor per l’allegria nel petto.
 MADAMA
 La sa che tutti do sé innamorai,
 per ela spasemai.
 Anca ela la dixe
 che sé le so raixe,
490la ve vuol tutti do per so morosi;
 ma ghe despiase assè che sié zelosi.
 Savé che zelusia
 dal mondo xe bandia.
 No la se usa più. Nualtre donne
495savé che la volemo a nostro modo.
 Chi ne sa segondar
 qualcossa puol sperar.
 Ma chi troppo pretende e xe ustinà
 lo mandemo ben ben de là da Stra.
500Donca penseghe ben,
 o amarla in compagnia, se la ve preme,
 o andarve a far squartar tutti do insieme.
 PARPAGNACCO
 (Il dilemma va stretto).
 IL CONTE
 (Non v’è la via di mezzo).
 PARPAGNACCO
505(O star cheto o lasciarla).
 IL CONTE
 (O soffrire un compagno o non amarla).
 MADAMA
 (Son due pazzi a consiglio).
 PARPAGNACCO
 (Che faccio?)
 IL CONTE
                            (A che m’appiglio?)
 PARPAGNACCO
 Conte.
 IL CONTE
                Marchese.
 PARPAGNACCO
                                     Che facciamo noi?
 IL CONTE
510Cosa pensate voi?
 PARPAGNACCO
 Penso che si può amare in compagnia.
 IL CONTE
 Penso al diavol mandar la gelosia.
 MADAMA
 (Eccoli già cangiati.
 Affé ci son cascati).
 PARPAGNACCO
515Andate da madama.
 IL CONTE
 E ditele in mio nome...
 PARPAGNACCO
 Che d’amarla con altri io mi contento.
 IL CONTE
 Pur che non lasci me, n’ami anche cento.
 MADAMA
 Bravi, così me piaxe,
520star da buoni compagni. Za la donna
 gh’ha el cor come i meloni;
 un tocchetto per un contenta tutti.
 Cari i miei cari putti,
 chi crede d’esser solo se ne mente,
525che le donne d’un sol no xe contente.
 PARPAGNACCO
 Dunque andiam da madama.
 MADAMA
 No no, aspettela qua,
 che za la vegnirà. Lassé che vaga
 mi dalla mia parona
530a portarghe sta niova così buona.
 
    Scieu tanto benedetti,
 o cari sti gobbetti.
 Staremo allegramente
 in paxe tra de nu.
 
535   Caro quel muso,
 caro colù!
 
    Via che la vaga;
 di chi è sti mondi,
 tutti i xe nostri,
540tutto è per nu.
 
    Caro quel gobbo,
 caro colù. (Parte)
 
 PARPAGNACCO
 Dunque sarem d’accordo,
 dunque anderemo insieme
545alla conversazion?
 IL CONTE
                                    Sì, non mi preme.
 Venite da madama,
 venga il terzo ed il quarto ed anco il quinto,
 so che il merito mio sarà distinto.
 PARPAGNACCO
 Sapete, signor conte,
550perché una tal risposta
 diedi alla cameriera?
 Perché la mia maniera,
 il mio garbo, il mio tratto
 darà a voi, darà a tutti scaccomatto.
 IL CONTE
555Veramente voi siete un bel Narciso!
 PARPAGNACCO
 Oh che leggiadro viso!
 Che grazia avete voi?
 Lo giuro da marchese,
 siete una figurina alla chinese.
 
560   Se vi guardo ben bene nel volto,
 voi mi fate di risa crepar.
 Quel visino così disinvolto
 è una cosa che fa innamorar.
 Che ti venga la rabbia nel dorso;
565guarda l’orso, mi vuole graffiar.
 
 IL CONTE
 Cotanta impertinenza
 io soffrire non voglio.
 PARPAGNACCO
                                          Siate buono,
 che, s’io caccio la spada,
 griderete pietà, soccorso invano.
 IL CONTE
570Misero voi, s’io torno a metter mano.
 PARPAGNACCO
 Ma vien madama.
 IL CONTE
                                    Non ci vegga irati.
 PARPAGNACCO
 Lo sdegno sospendiam.
 IL CONTE
                                             Cessino l’onte.
 PARPAGNACCO
 V’abbraccio, amico.
 IL CONTE
                                       Ed io vi bacio in fronte. (Viene madama servita da Macacco)
 MADAMA
 Bravi, così mi piace,
575amici in buona pace.
 PARPAGNACCO
 Madama, son per voi.
 IL CONTE
 Son qui, son tutto vostro.
 MADAMA
 Aggradisco d’ognun le grazie sue;
 ma vi voglio d’accordo tutti due.
 PARPAGNACCO
580Io per me son contento.
 IL CONTE
 Di farlo io non mi pento.
 MACACCO
 Ed io non sche... sche... scherzo,
 se se se siete due, fa... farò il terzo.
 MADAMA
 Caro il mio Parpagnacco,
585contin grazioso, amabile Macacco,
 venite tutti tre,
 che male già non v’è.
 Mentre c’insegna l’odierna moda
 che il galantuom lasci goder e goda.
 PARPAGNACCO
590Io per vostro riguardo il tutto accordo.
 IL CONTE
 Io sarò, se il volete, e il cieco e il sordo.
 MACACCO
 Ed io per fa... farvi piacere
 vi farò da ca... ca... ca... candeliere.
 MADAMA
 Andiamo dunque uniti
595a cantare e a ballare
 e per divertimento
 venga ognuno a suonar qualche istromento. (Parte)
 PARPAGNACCO
 Sì, vengo e suonerò
 con madama gentil quanto potrò. (Parte)
 IL CONTE
600Corpo di Bacco, anch’io
 voglio suonar coll’istrumento mio. (Parte)
 MACACCO
 Ed io pur, che che che non son merlotto,
 voglio suo... suo... suonar il ciffoletto. (Parte. Esce il conte colla chitarra)
 IL CONTE
 
    Oh bella cosa ch’è
605l’amar e non temer.
 Che amabile goder
 in buona società! (Esce Parpagnacco col violoncello al collo)
 
 PARPAGNACCO
 
    Che bell’amar così
 senza tormento al cor!
610Oh che felice amor,
 che gusto ognor mi dà. (Esce Macacco col flauto)
 
 MACACCO
 
    Ca... ca... ca... caro amor,
 be... bella libertà!
 Do... donne di bon cor
615fa... fate carità. (Esce madama con un cembolo)
 
 MADAMA
 
    Chi vuol amar con me
 content’ognor sarà;
 ma pensi ognun per sé,
 ch’io voglio libertà.
 
 A QUATTRO
 
620   Viva l’amore, viva il bon core,
 viva l’amarsi con libertà.
 
 PARPAGNACCO
 
    Senti, senti il violoncello,
 dice: «Evviva il viso bello».
 
 IL CONTE
 
 Senti, senti il chitarrino,
625dice: «Evviva il dio bambino».
 
 MACACCO
 
 Se... se... senti il ciffoletto,
 dice: «Evviva un bel visetto».
 
 MADAMA
 
 Ed il cembol, senti senti,
 dice: «Evviva i tre contenti».
 
 A QUATTRO
 
630   Viva, viva l’allegria,
 bell’amar in compagnia.
 Che piacere al cor ci dà
 questa cara libertà.
 
 Il fine
 
 
 
 LI DUE GOBBI RIVALI
 
    Farsetta per musica a tre voci che serve per intermezzo nel teatro della Pallacorda di Firenze in Roma nel carnevale dell’anno 1752, dedicata alla curia romana.
    In Roma, MDCCLII, per Ottavio Puccinelli, con licenza de’ superiori, si vendono dal Vaccari libraro incontro il palazzo di Venezia.
 
 
 Eccellentissima curia,
    non potea toccar miglior sorte a questa farsetta in musica intitolata Li due gobbi rivali che il comparir su questo picciol teatro nel carnevale di quest’anno, ornata dell’illustre nome vostro, per cui somma gloria se gli è accresciuta; mi persuado che debba incontrare il piacere degl’ascoltanti e sopra tutto il vostro gradimento, portando in fronte la generosità e la grandezza del vostro animo, in accettare e mirare, con occhio cortese e magnanimo, e l’umiltà del dono e la proferta del donante; ed avvegnaché con quelli io vorrei tramezzare insieme innumerabili ed eterne lodi dovute al vostro merito, mi taccio non pertanto, lasciandone a lingue più terse e a più sollevati ingegni l’assunto; solo però mi basta che luminosa si appresenti con il vostro chiaro nome e con la vostra benignissima protezione e possa essere pienamente felice nella pubblica rappresentanza; e con inchinarmi profondamente, mi rassegno umilissimo e devotissimo servitore.
 
    Alessandro Abinante
 
 
 ATTORI
 
 MADAMA VEZZOSA
 (il signor Lorenzo Maruzzi romano, virtuoso di sua eccellenza il signor principe Santacroce)
 MACACCO baron delle Frappe
 (il signor Francesco Cecconi romano)
 CONTE CAPO BELLAVITA
 (il signor Francesco de Sousa romano)
 
    Musica del signor Engelberto Rendeux liegese. La scena si finge in casa di madama Vezzosa.
 
 
 PROTESTA
 
    Le parole fato, deità e simili, eccetera, sono scherzi poetici e non sentimenti dell’autore cattolico.
 
 
 INTERMEZZO PRIMO
 
 Camera.
 
 Madama VEZZOSA
 
 MADAMA
 
    Tra le vaghe e le vezzose
 la più bella son d’ognuna,
 ho del brio e non son bruna
 e dagl’occhi spiro amor.
 
5Per tutte le botteghe
 di mia beltà si parla. In ogni strada
 si raggiona di me. Son io l’oggetto
 degli sguardi di tutti. Un passo solo
 non posso far che mille zerbinotti
10non mi tenghino dietro,
 qui l’abbatino, là mi saluta un vago
 nobile cavalier. S’inchina ognuno,
 ognun... Oh che miseria.
 Già la porta è bussata.
15Quanto richiama il mio gentil sembiante.
 Predo ogni dì qualche novello amante.
 Basta... non voglio indarno
 perder la gioventù. Pria che divenga
 la mia fronte rugosa,
20quanti merlotti penso
 di ridur senza penne? Lo fa la sposa,
 la zitella lo fa. Giovani e vecchie
 molte campan così. De’ tempi nostri
 l’usanza è questa e lo sa ben chi geme
25servo d’amor. E come
 si può viver del pari. Il lusso cresce,
 sceman l’entrate... Ma giunge Macacco.
 Arte ci vuol.
 
 Baron MACACCO e MADAMA
 
 BARONE
                         Permetta o mia signora
 che il baron delle Frappe
30devoto le rassegni
 gli umili suoi rispetti,
 qual prototipo ver de’ servi suoi.
 MADAMA
 Questo, signor barone,
 effetto è sol del suo bel core e troppo
35i limiti trascende;
 inusitata e nuova
 non m’è però la gentilezza sua.
 Intanto si compiaccia
 ch’io pur mi dica quale
40stata finor gli sono
 umilissima serva.
 BARONE
 Anzi la mia degnissima padrona.
 MADAMA
 S’accommodi.
 BARONE
                             Madama
 prima vorrei...
 MADAMA
                              Che vorrebbe...
 BARONE
                                                            L’onore
45di baciar la sua mano
 per costellarle il mio dovuto ossequio.
 Grand’è l’ardir. Sì, lo conosco, pure...
 MADAMA
 (Voglio prendermi spasso).
 Ecco la mano.
 BARONE
                            O me felice.
 MADAMA
                                                    (Quanto
50t’ha da costar).
 BARONE
                              Fuori di me son io
 di contento e piacer. Il core in porto
 no che più non può star così ristretto.
 Un mongibello io provo
 acceso nel mio sen, ardo, mi struggo
55e resister non posso un sol momento,
 senza ristoro i morir pavento.
 
    Spirate dolci aurette
 a ristorarmi il core,
 a mitigar l’ardore
60che brugia nel mio sen.
 
    Più placidi sospiri
 poi l’amoroso foco
 spieghino al caro ben.
 
 MADAMA
 (Or ch’è nel canestrino
65voglio tentar pian piano
 se posso guadagnar quel bel rubino).
 BARONE
 Che die la mia bella?
 MADAMA
 Che posso dir? Confusa, anzi smarrita
 non ritrovo parole né concetti
70per discoprir l’affanno...
 BARONE
                                               Parli, parli
 con libertà.
 MADAMA
                        Potessi...
 No, mi vergogno.
 BARONE
                                  Ah quanto
 più risponde così. Loquace, o cara,
 il silenzio è talor. Ne’ lumi sui
75il cor favella in mille guise e tutti
 dice dell’alma i moti,
 scuopre l’accesa face
 quantunque il labro tace.
 MADAMA
                                                Che...
 BARONE
                                                             Su via
 lasciamo i complimenti, le ritrosie e le tante
80gentili ceremonie.
 Signora in confidenza
 dica pur se da vero
 ama Macacco.
 MADAMA
                             E come
 può dubitarne ancora?
85E chi potria lo sguardo
 fissar su quel visino e non amarlo?
 BARONE
 Oh dei, sicché son io...
 MADAMA
 La mia face, il mio ben, l’idolo mio.
 BARONE
 Qual gioia inaspettata,
90qual mai piacer m’inonda...
 Dunque la sposa un dì sarà del grande
 valoroso barone
 la signora Vezzosa; ah quest’è troppo.
 No, non resisto certo.
95L’eccesso del contento
 è specie anch’esso di crudel tormento.
 MADAMA
 (Impazzisce senz’altro).
 Sieda... Che bel brillante.
 Se si compiace io di vederlo bramo.
 BARONE
100E chi n’è la padrona.
 MADAMA
 Grazie.
 BARONE
                 Lo provi in dito.
 MADAMA
 (Or or casca il merlotto).
 Veramente mi piace e par che sia
 fatto apposta per me.
 BARONE
                                          Ci sta pur bene.
105Lo lasci pur.
 MADAMA
                          Che, se ne vuol privare?
 BARONE
 Con sommo mio piacer. Servirà quello
 per memoria del suo
 fedelissimo amante.
 MADAMA
 Queste son troppo
110segnalate finezze. Io non saprei...
 (Il merlotto è caduto).
 BARONE
 Mi vuol burlar signora?
 Gemme, carrozze ed oro...
 Un sol cenno mi basta.
 MADAMA
115(Della moda è capace). I suoi favori
 già sperimento e sono
 delle grazie in possesso. (Egli è pur buono).
 
    Nella fronte tua vezzosa
 io ti leggo tutto il core.
120Chi d’un’alma generosa
 la grandezza può celar?
 
    Tuo non è quanto possiedi,
 Doni, spendi ciò che puoi.
 Servi, soffri; e tu non vuoi
125far le donne innamorar.
 
 BARONE
 (Qui non ci voglion ciarle.
 Abbastanza compresi).
 Posso signora mia
 spiegar gl’affetti miei, spiegar gl’affanni
130sicuro del suo amor, della sua fede?
 MADAMA
 Già sa che l’amo.
 BARONE
                                  Dunque?
 MADAMA
 Non serve tanto pigolar.
 BARONE
                                              Ma cara...
 MADAMA
 Noioso, anzi molesto
 si rende alfin chi perde
135in complimenti e ciance
 della visita il tempo; utile e breve
 sia l’incommodo.
 BARONE
                                  E poi?
 MADAMA
 Speri qualche conforto.
 BARONE
 Senza parlar...
 MADAMA
                             E longa...
140Di tenerezze e pianti
 non è più la staggione
 e colle donne non servon canzone.
 BARONE
 Già mi disprezza.
 MADAMA
                                   Taci.
 BARONE
 (Povero anello mio). Poveri affetti,
145come presto cambiate i vostri aspetti.
 
    Lascia ch’io spiri almeno
 bella sugl’occhi tuoi,
 quando spiegar dal seno
 non può gl’affetti suoi
150l’innamorato cor.
 
    Amar un volto, oh dio,
 né poter dir: «Ben mio».
 Se questo non è duolo,
 numi! qual è il dolor?
 
 MADAMA
155E pur mi fa pietà. Nel petto io sento
 un certo non so che... Signor barone
 (non lo voglio sdegnar) perché sì mesto?
 BARONE
 Ha ragion di burlarmi.
 MADAMA
 Eh via. Non si può fare
160del suo amore una prova. Sono la stessa
 e d’esser spero un dì la sua consorte.
 BARONE
 Mi ritorna da morte
 quel dolce favellar. Quelle pupille
 mi dan la vita ed ora
165comincia a respirar il core oppresso.
 O mia dolce speranza.
 MADAMA
 Sarà fedele?
 BARONE
                          E generoso ancora.
 MADAMA
 Non sono interessata
 né vendo l’amor mio.
 BARONE
170Lo so, non è di quelle
 donne moderne che le grazie loro
 a peso danno sol d’argento ed oro.
 MADAMA
 Oimè! Mi par bussato.
 Mai fosse mio fratello, (Un poco sorpresa)
175sarei perduta.
 BARONE
                             Misero me. Ah pensa
 qualche ripiego.
 MADAMA
                                 Come...
 Qui non vi è luogo.
 BARONE
                                     Dunque?
 MADAMA
                                                         Non saprei.
 Una bestia è colui.
 BARONE
 Quel credenzone.
 MADAMA
                                   Appunto
180potrebbe in quello entrar sicuramente.
 BARONE
 Oh questa sì ch’è tonda.
 MADAMA
 Presto che viene.
 BARONE
                                  E non si scordi.
 MADAMA
                                                                Presto...
 Ne lasci a me la cura.
 BARONE
 Qui da vero ci ho dato. (Entra nel credenzone)
 MADAMA
185Ecco il primo merlotto ingabbiato.
 Sin qui va bene. Il signor conte venga, (Nell’entrare il conte Bellavita, gli va incontro madama)
 non bussano la porta i vostri pari.
 (È questa la giornata delli gobbi).
 CONTE
 Illustrissima madama,
190compatitemi dell’impertinenza
 se faccio a voi profonda riverenza.
 MADAMA
 Ed io bramava riverirvi ancora.
 CONTE
 Sì, mia bella... belluccia... anzi bellissima,
 permetta che a’ suoi piedi
195or presenti il tributo ossequioso
 de’ dovuti rispetti.
 MADAMA
 Lei sovente mi onora.
 CONTE
                                          Oh mia signora,
 signora, anzi pur lei
 in soverchio onorandomi
200cangia frase. Madama io sono un vostro
 avventuroso schiavo che strascino
 le soavi catene, a cui m’avvinse
 un aureo fil de’ vostri bei capelli.
 (Che nobil complimento).
 MADAMA
205(Ah ah ah, questo è matto.
 Questo non ha cervello).
 CONTE
                                               Idolo mio,
 alla brillante luce
 de’ vostri vaghi rai mi struggo e sfaccio.
 Ora brugio d’amor, ora m’agghiaccio.
 MADAMA
210Grazie signor contino.
 (Or or però ti tasto il borsellino).
 Tant’oltre non aspiro.
 Conosco il merto mio.
 Dico bene... però...
 CONTE
                                     Siegua signora.
 MADAMA
215Se poi il ciel volesse
 farmi sua sposa, avrebbe gelosia?
 CONTE
 Oibò... Questo difetto
 si trova sol nella gente plebea.
 Vorrei che la mia sposa
220da tutt’i cavalier fosse trattata,
 servita, riverita e corteggiata,
 vorrei che in casa mia
 venisse chi si sia.
 Non chiamerei nessuno,
225nessun ricuserei, secondo l’uso
 della gente più colta.
 MADAMA
 Bravo, così mi piace;
 a quel volto gentil il cor risponde.
 CONTE
 Invero son ben fatto
230quantunque non sia dritto.
 Son bello, son grazioso e son galante.
 Ed in conclusione
 onor grande mi fo nell’occasione.
 
    Mi guardi in volto,
235veda che brio,
 tutto son io
 grazia e beltà.
 
    Con le madame
 piango... sospiro.
240Con chi m’offende
 sbuffo... m’adiro.
 Cangio l’affetto
 in crudeltà.
 
    Se poi fo il rigido,
245son grato a tutti,
 che l’aria nobile
 bene mi sta.
 
 MADAMA
 Veramente il contino... Oh poveretta
 me. A fianco più l’orlogio
250non ho, come ho da fare.
 Se torna il mio german io son smarrita.
 Qualche birbante certo...
 BARONE
 Questa è più bella! (Dal credenzone)
 CONTE
                                      Che voce? Vi fosse
 forse il ladro nascosto.
 MADAMA
255Dove?
 CONTE
                Sotto del letto,
 dentro quel credenzone...
 MADAMA
 Eh stia cheto, in saccoccia (Con rabbia)
 tengo la chiave, almen potessi...
 CONTE
                                                            Via,
 non s’inquieti di più. Penserà il conte...
 MADAMA
260(Ecco che se ne viene l’altro merlotto).
 CONTE
 Prenda queste per ora. (Gli dà l’orologio)
 MADAMA
                                             Oibò. Le pare,
 non voglio se ne privi.
 CONTE
                                           Mi fa torto.
 BARONE
 (Penso vederne il fine). (Dal credenzone)
 CONTE
 Prenda. Miri, il contegno
265consideri, la grazia e la maniera
 sempre usata da me nel far presenti.
 MADAMA
 Io mi... confondo... a tanta gentilezza.
 Se posso mai...
 CONTE
                              Discorri d’altro e lasci
 i complimenti a parte.
 BARONE
270(Femmina scellerata). (Dal credenzone)
 MADAMA
 L’e pur cortese. Ma... (Rimirando l’orlogio)
 CONTE
                                          Che?
 MADAMA
                                                      L’orologio,
 CONTE
 Non le piace?
 MADAMA
                            Che sia
 quello stesso, mi par, che poco prima
 alla cinta tenevo.
 CONTE
275Mi meraviglio... (Si turba)
 MADAMA
                                 Dico sol...
 CONTE
                                                     Che dice, (Con rabbia s’alza)
 che modo di trattar.
 MADAMA
                                       Lei si riscalda. (Con voce alterata un poco s’alza)
 Avermi fatta non potea una burla.
 CONTE
 Li pari miei non sono... (In collera)
 MADAMA
 Che pari sui?
 BARONE
                            (Ah, ah,
280ah questa è più curiosa) (Dal credenzone ridendo)
 MADAMA
 Chi è là, chi è. (Con voce alterata)
 BARONE
                              Zitto... Zitto...
 
 MADAMA
                                                         Chi è là, dice? (Con voce più alterata)
 CONTE
 Cha imbroglio mai. (Povera gobba mia).
 MADAMA
 Qualche spirito forse? (Spaventata)
 BARONE
 Che spiriti? Che spiriti? (Con impeto uscendo dal credenzone. Cade)
 CONTE
                                                (L’ho detto.
285Qualche grosso pasticcio).
 BARONE
                                                  Empia, perversa, (Tira mano alla spada)
 femmina senza fede,
 non so perché nel petto
 non ti passo quel cor.
 CONTE
                                         (Ohimè che impiccio).
 BARONE
 E tu bel figurino...
 MADAMA
290Caro signor barone... (Tirandolo per l’abbito)
 BARONE
 Che signor, che barone...
 CONTE
 (La cosa cresce).
 MADAMA
                                 Tutto il vicinato...
 BARONE
 Vorresti forse...
 MADAMA
                               No.
 CONTE
 Ah si placasse, o dio,
295così la gobba mia salvar potrei.
 MADAMA
 
    La prego ad ascoltarmi
 e poi mi passi il cor.
 
 BARONE
 
    Perfida lusingarmi
 forse pretendi ancor.
 
 CONTE
 
300   Pria che si venghi all’armi
 vi resto servitor.
 
 MADAMA
 
    Sentimi.
 
 BARONE
 
                       No.
 
 CONTE
 
                                 Che coccia.
 
 MADAMA
 
 Ricordati.
 
 BARONE
 
                      Spergiura.
 
 MADAMA
 
 Ardo di rabbia e sdegno.
 
 CONTE
 
305Mi cresce la paura.
 
 BARONE
 
 Avvampo di furor.
 
 A TRE
 
    Dove s’intese o dei
 perfidia più crudele,
 più sventurato amor.
 
 Fine della prima parte
 
 
 INTERMEZZO SECONDO
 
 Strada e bosco da un lato.
 
 CONTE Bellavita, armato di spadone, cimiero, scudo e pugnalw
 
 CONTE
310Alla guerra, alla guerra,
 un Orlando sembro io.
 Che braccio, che valor, che positura!
 Dove son mille squadre?
 Costui dov’è che tanto...
315Ma... come... non intendo
 la caggion del duello; che ho da spartire
 col baron delle Frappe,
 esso che vuol da me? Che vuol madama?
 Che pretendon costoro? E di qual colpa
320si domanda ragion? L’orlogio mio
 con meditata frode
 pur mi rapì colei. All’improviso
 dal chiuso credenzone
 furibondo si scaglia,
325insulta, strilla e minacciando straggi
 parte Macacco. Questa
 mi manda poi disfida ingiuriosa.
 No, non comprendo. Basta.
 Presto si pentirà. Già nel cimento
330esser mi par, la spada impugna, all’armi,
 non mi chieder pietà. Quel sangue indegno
 si versi tutto. Sì quell’alma rea...
 Misero... con chi parlo... A chi m’adiro.
 Che fo... Dove mi trovo... Ahimè deliro.
 
335   Son pur qui. E dove sto.
 va il cervell’in qui, in là.
 So pur d’esso sì o no.
 
    Ah qual fionda è la mia testa
 che girata e rigirata
340moto più prendendo va.
 
    Non conosco qual mi sia,
 bullo come il farricello
 che in pignatta fa flo flo.
 
    Colle femine chi tratta
345agitato sempre sta.
 
 CONTE
 Ecco il rivale. O quanto
 se ne viene fastoso.
 Coraggio o conte...
 BARONE
                                    Olà, quel ferro impugna.
 CONTE
 Uh uh, che altura.
 BARONE
                                    Olà, dico, con te
350parlo, m’intendi.
 CONTE
                                  Con me?
 BARONE
                                                     Sì con te.
 CONTE
 E che pretendi?
 BARONE
                                Conto
 del tuo operar.
 CONTE
                              Che forse
 il mio tutor tu sei?
 BARONE
 Non più ciarle. Decida
355e la spada e il pugnal la nostra gara.
 (Incomincio a tremar).
 CONTE
                                             Qual gara mai
 regna tra noi, che lite? (Il cor mi batte).
 BARONE
 E ti par poco far da ganimede
 con madama Vezzosa.
360Certi regali... Andarle appresso e tali
 discorsi, inviti, tenerezze...
 CONTE
 Così... Qual dritto mai
 vantar tu debbi sugl’affetti sui
 che limitar contendi...
 BARONE
365Sarà la sposa mia.
 CONTE
                                    Troppo t’inganni.
 Or or vedremo.
 BARONE
                               Olà più non si tardi.
 CONTE
 All’armi.
 BARONE
                    All’armi.
 CONTE
                                       Ferma
 per un momento. (Pensoso)
 BARONE
                                    All’armi.
 CONTE