Il filosofo di campagna, libretto, Venezia, Zatta, 1795

 SCENA VII
 
 NARDO, poi LENA e CAPOCCHIO notaro
 
 NARDO
1195A Rinaldo per ora
 basterà la consorte,
 poi dopo la sua morte il padre avaro
 a suo dispetto lascerà il danaro.
 LENA
 Venite a stipulare
1200delle nozze il contratto. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
 Eccolo qui, l’avevo mezzo fatto.
 
 SCENA VIII
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Ma capperi! Si vede,
 affé, che mi volete poco bene.
 Nel giardino v’aspetto e non si viene.
 NARDO
1205Un affar di premura
 m’ha trattenuto un poco.
 Concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
 Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
1210e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Ma se Eugenia fuggì...
 NARDO
                                           Fu ritrovata.
 Là dentro è ricovrata
 e si fa con Rinaldo l’istrumento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
1215Dunque quando è così, facciamo presto.
 Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Quand’è così, mia cara,
 porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
1220invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che teneretti amate,
 deh testimon voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
1225   Alberi, piante e fiori,
 i vostri ascosi ardori
 insegnino a due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
1230«Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama lo sposo ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella,
 vezzosa e bella,
1235il suo compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
 due piante unite,
 ai sposi insegnano
1240la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
1245   Rondone fido,
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto,
 vite amorosa,
1250diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor.
 
1255   No, non si trova,
 no, non si prova
 più bella pace,
 più caro ardor.
 
 SCENA IX
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito?
1260Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
 colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
1265Quel che pensar non so.
 All’uscio picchierò. Verranno fuori,
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA ULTIMA
 
 LENA e detto
 
 LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
 cosa si fa là dentro?
 LENA
1270Finito è l’istrumento,
 si fan due matrimoni.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto, mi vien caldo.
 LENA
1275E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina! Oimè, no, non lo credo.
 LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ahi! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah genitor perdono...
 
 RINALDO
 
1280Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi, scellerati,
 vi siete accomodati.
1285Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
 Che bella carità!
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
1290ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
1295sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Il fine del dramma
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    A comic opera as perform’d at the King’s theatre in the Haymarket.
    London, printed for William Griffin bookseller and stationer in Catharine Street, in the Strand, 1768 (price one shilling).
 
 
 PERSONAGGI
 
 NARDO contadino detto il Filosofo
 (il signor Lovattini)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Morigi)
 CAPOCCHIO notaro
 (il signor Micheli)
 RINALDO gentiluomo
 (il signor Savoi)
 LESBINA cameriera di Eugenia
 (la signora Guadagni)
 EUGENIA figlia di don Tritemio
 (la signora Quercioli)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Piatti)
 
    Maestro di ballo il signor Sodi. Ballerini principali: signori Slingsby e Adriani, signore Radicati e Corradini, monsieur Amoir, signora Santoli.
    Pittori, machinisti e direttori dello scenario il signor Bigari, il signor Conti.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini e LESBINA con una rosa
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori;
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più che è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che cotesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Non così parlereste,
 se il padre vi sposasse con Rinaldo
 e non pensasse a Nardo.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
20Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange; e se non basta
 si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah, mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                 Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
25in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
 far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido.
 LESBINA
                                     Sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
30   Se perde il caro lido,
 sopporta il mar che freme.
 Lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
35Affé la compatisco.
 Questa anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
40Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver; colla padrona
 mi divertiva un poco.
 TRITEMIO
                                          E mi figuro
45che cantate si avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh, no signore!
 Di questo e di quel fiore,
 di questo e di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
50Le volete sentir?
 TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche strofetta canterò a proposito).
 TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito).
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
55   Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
60gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
65   Son fresca, son bella,
 cicoria novella,
 mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato
70radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 TRITEMIO
 Senti, ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
75Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella.
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta che ho imparata
80sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vo’ star nel prato ancor.
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 TRITEMIO
85Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 Se ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 TRITEMIO
90Anche quattro ne ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare;
 son cavaliere e sono i beni miei
 vicini a’ suoi.
 TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
95Ella ha una figlia...
 TRITEMIO
                                     Sì signor.
 RINALDO
                                                         Dirò,
 se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma m’isprona l’amor.
 TRITEMIO
                                          Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 TRITEMIO
                                   Dunque signor mio caro,
 per venire alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
100M’accordate la figlia?
 TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ah mi sento morir!
 TRITEMIO
                                      Per cortesia
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Che speri?
 TRITEMIO
                       Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
105dite perché né men si vuol ch’io speri.
 TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vo’ saper...
 TRITEMIO
                                              Sì, volontieri.
 
    La mia ragione è questa,
 mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
110e la ragion voleste.
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta, ancora
115un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così»;
 e son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 RINALDO
120Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
125O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO con una vanga ed alcuni villani, poi LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
130con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato?
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
135e dipoi si mangerà;
 del buon vin si beverà;
 ed allegri si starà.
 
 Vanga mia benedetta!
 Mio diletto conforto e mio sostegno;
140tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo, il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
145col piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 LENA
 (Eccolo qui. La vanga
 è tutto il suo diletto).
 Se foste un poveretto,
150compatirvi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi, de’ contanti;
 la fatica lasciate a’ lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
155fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e co’ famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensar a maritarmi.
 NARDO
 Sì; volontieri; presto;
160comparisca un marito; eccolo qui.
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace?
 LENA
                                       Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
165a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada.
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella;
 povera vanarella.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino;
170mi basta un cittadino. E imito voi.
 Del signor don Tritemio la figliuola
 v’hanno proposta in sposa; io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
175con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 Ammogliatevi presto, signor zio;
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
180abbiate carità.
 Io sono un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio;
 vedete, caro zio,
185ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete, m’intendete,
 movetevi a pietà. (Parte)
 
 NARDO
190Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà!
 La si mariterà la poverina
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ma piano, signor Nardo;
195vedo che non pensate
 però come parlate.
 Della città il costume
 sprezzaste con filosofa dottrina
 e sposarete poi la cittadina?
200Questo nome sicuro a dirittura
 m’ha cacciato nel corpo
 un poco di paura.
 Ma l’impegno è già fatto.
 Andiam ma no. Si tratta d’una moglie.
205Ma ognuno che lo sa
 di me si riderà, se torno indietro.
 Oh che imbroglio! Oh che impaccio!
 Risolvermi non so; sudo ed aghiaccio.
 
    Pensieri a capitolo,
210che abbiamo da far?
 La femmina è un articolo
 che dà da pensar.
 
    Mi dice l’amore:
 «Contenta il tuo core»;
215l’onore mi dice:
 «Non fare, non lice»;
 che abbiamo da far?
 Nel cor poverello
 campana a martello
220sentire mi par.
 
    Che dichino, che parlino,
 che gridino, che ciarlino.
 Oh questa sì ch’è buona!
 Oh questa sì ch’è bella!
225Io son padrone e quella
 contento vo’ sposar.
 
 SCENA V
 
 Sala in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO, dopo LESBINA
 
 EUGENIA
 Deh, se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
230Il vostro genitor.
 EUGENIA
                                 Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete. È Lesbina.
 EUGENIA
                                              Io vivo in pene.
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia.
 EUGENIA
 Il genitor?
 LESBINA
                       Oibò.
 RINALDO
 Dunque chi è che la domanda?
 LESBINA
                                                           Bravo!
235Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signor, è il di lei sposo.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi vi adora?
 EUGENIA
                                           È ver, son figlia
 ma son amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
240Ambi pietà mi fate
 e a me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado.
 RINALDO
                                               Anch’io.
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
245ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene.
 
    Al passaggier talora
 cinto di notte oscura
250basta una stella ancora
 per animare il cor. (Partono)
 
 SCENA VI
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito;
 troppo presto volea far da marito.
255Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno,
 tutta l’arte ci vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
260Buondì a vossignoria.
 LESBINA
                                          Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar, se vi aggrada.
 NARDO
                                             Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so.
 NARDO
265Sareste per ventura
 la figliuola di lui venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par.
 LESBINA
                                   Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete da ver.
 LESBINA
                                    Vostra bontà.
 NARDO
270Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Ah, furbetta, furbetta! Voi m’avete
275conosciuto a drittura;
 delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse?
 NARDO
                         Via, chi?
 LESBINA
                                            Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
280Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina!
 LESBINA
                                     Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi mi piace.
 Ma.
 NARDO
           Che ma!
 LESBINA
                             Non so dir che cosa sia.
285Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, se io non so,
290son così, non so far all’amore.
 Una cosa mi sento nel core
 che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua,
 saprete cosa è.
295Voltatevi in là,
 lontano da me.
 
    Vo’ partire, mi sento languire.
 Ah, col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO, indi LENA, dopo LESBINA
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
300che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe; è ver purtroppo;
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
305compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio.
 Vi saluto di core.
 NARDO
                                  Ed io v’abbraccio.
 TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì; l’ho già veduta.
 TRITEMIO
310Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 Che volete voi qui?
 LENA
                                      Con sua licenza.
 Alla sposa vorrei far riverenza.
 TRITEMIO
315Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 TRITEMIO
                                           Io presto fo.
 LENA
 Signor zio, come è bella?
 NARDO
 La vedrai; è una stella.
 LENA
 È galante, è graziosa?
 NARDO
320È galante, è gentile ed amorosa.
 LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
325un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
330brillante il cor.
 
 LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
335   Sposino amabile,
 per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
340sposina mia.
 
 LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
345   Parto, parto, il genitore...
 
 NARDO
 
 Perché partir?
 
 LESBINA
 
                              Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Parte)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
 la poveretta
350se ne fuggì.
 
 LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
355Oh che smania in seno io provo!
 Dove diavolo sarà?
 
 NARDO, LENA
 
 Ah ah ah.
 
 TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
360Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fino adesso è stata qua.
 
 TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 NARDO
 
                             È andata là.
 
 TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Parte)
 
 NARDO
 
365   Superare il genitore
 potrà bene il suo rossore.
 
 LENA
 
 Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
370il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via, porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
375Ecco, ecco, ve lo do.
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
380Compatite, tornerò. (Parte)
 
 NARDO, LENA
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
 ha rossor del genitor!
 
 TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 A DUE
 
                              Ah ah ah.
 
 TRITEMIO
 
385Voi ridete?
 
 A DUE
 
                        È stata qua.
 Collo sposo ha favellato.
 E l’anello già le ha dato.
 
 TRITEMIO
 
 Alla figlia?
 
 A DUE
 
                       Signorsì.
 
 TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 A DUE
 
                        Messersì.
 
 TRITEMIO
 
390   Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
 alla fin si cangerà.
 E l’amore nel suo core
395con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera di don Tritemio.
 
 EUGENIA, LESBINA, poi DON TRITEMIO, indi RINALDO con CAPOCCHIO notaro con alcuni fogli in mano
 
 LESBINA
 Venite qui, signora padroncina;
 tenete questo anello;
 ponetevelo nel dito.
 Fate ch’il genitore ve lo veda;
400lasciate che la sposa egli vi creda.
 TRITEMIO
 Figlia, è vero che avesti
 dallo sposo l’anello?
 LESBINA
                                       Signorsì.
 TRITEMIO
 Parlo teco; rispondi.
 EUGENIA
                                        Eccolo qui.
 TRITEMIO
 Capperi! È bello assai.
 LESBINA
405(Vien Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
 d’evitare il periglio).
 EUGENIA
                                         (Andiam, Lesbina).
 Con licenza.
 TRITEMIO
                         Va’ pure.
 EUGENIA
                                            (Oh me meschina?) (Partono)
 RINALDO
 Compatite signor.
 TRITEMIO
                                    La riverisco.
 RINALDO
 Compatite se ardisco
410replicarvi l’incommodo. Temendo
 che non siate di me ben persuaso,
 ho condotto il notaro,
 il qual patente e chiaro
 di me vi mostrerà
415titolo, parentele e facoltà.
 TRITEMIO
 (È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco, signore,
 l’istrumento rogato
 d’un ricco marchesato;
 ecco l’albero suo, da cui si vede
420che per retto camino
 vien l’origine sua dal re Pipino.
 TRITEMIO
 Oh capperi! Che vedo?
 Questa è una cosa bella in verità.
 Ma della nobiltà, signor mio caro,
425come andiamo del par con il denaro?
 RINALDO
 Mostrategli i poderi,
 mostrategli sinceri i fondamenti.
 CAPOCCHIO
 Questi sono strumenti
 di compere, di censi e di livelli;
430questi sono contratti buoni e belli.
 
    Nel Quattrocento
 sei possessioni,
 nel Cinquecento
 quattro valloni.
435Anno millesimo
 una duchea;
 milletrentesimo
 una contea
 emit etcaetera.
 
440   Case e casoni,
 giurisdizioni,
 frutti annuali,
 censi e cambiali,
 sic etcaetera,
445cum etcaetera. (Parte)
 
 TRITEMIO
 La riverisco etcaetera.
 Vada, signor notaro, a farsi etcaetera.
 RINALDO
 Dunque di vostra figlia
 mi credete voi degno?
 TRITEMIO
                                           Anzi degnissimo.
 RINALDO
450Le farò contradote.
 TRITEMIO
                                     Obbligatissimo.
 RINALDO
 Me l’accordate voi?
 TRITEMIO
                                      Per verità,
 v’è una difficoltà.
 RINALDO
                                   Da che dipende?
 TRITEMIO
 Ho paura che lei...
 RINALDO
                                    Chi?
 TRITEMIO
                                                La figliuola...
 RINALDO
 D’Eugenia non pavento.
 TRITEMIO
455Quando lei possa farlo, io son contento.
 RINALDO
 Ben, vi prendo in parola.
 TRITEMIO
 Chiamerò la figliuola.
 Se ella non fosse in caso,
 del mio buon cuor sarete persuaso.
 RINALDO
460Sì, chiamatela pur; contento io sono;
 se da lei sono escluso, io vi perdono.
 TRITEMIO
 Bravo. Un uom di ragion si loda e stima.
 S’ella non puole, amici come prima.
 
    Io son di tutti amico,
465son vostro servitor.
 Un uomo di buon cor
 conoscerete in me.
 
    La chiamo subito;
 verrà ma dubito
470sconvolta trovisi
 da un non so che.
 
    Farò il possibile
 pel vostro merito,
 che per i titoli,
475per i capitoli
 anche in preterito
 famoso egli è. (Parte)
 
 SCENA II
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO con EUGENIA, indi LESBINA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
 di sua man, del suo cor certo son io.
480Veggola che ritorna
 col genitore a lato;
 della gioia vicino è il dì beato!
 TRITEMIO
 Eccola qui. Dammi la destra tua. (Don Tritemio prende la mano ad Eugenia e la presenta a Rinaldo ma la ritira)
 EUGENIA
 Eccola.
 TRITEMIO
                A voi, prendetela. Bel bello!
485Che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
 Ora che mi ricordo,
 Nardo con quell’anello la sposò;
 e due volte sposarla non si può.
 LESBINA
 Signor padron, voi siete domandato.