Il filosofo di campagna, libretto, Vicenza, Bressan, 1767

 prepari bello e fatto
740per un paio di nozze il suo contratto.
 CAPOCCHIO
 Come! Un contratto solo
 per doppie nozze? Oibò.
 Due contratti farò, se piace a lei,
 che non vo’ dimezzar gli utili miei.
 LESBINA
745Ma facendone un solo,
 fate più presto e avrete doppia paga.
 CAPOCCHIO
 Quando è così, questa ragion m’appaga.
 NARDO
 Mi piace questa gente,
 della ragione amica,
750che ama il guadagno ed odia la fatica.
 LESBINA
 Presto dunque, signore;
 finché viene il padrone,
 a scriver principiate.
 CAPOCCHIO
 Bene, principierò;
755ma che ho da far?
 LESBINA
                                    Scrivete; io detterò.
 CAPOCCHIO
 
    In questo giorno etcaetera,
 dell’anno mille, etcaetera,
 promettono... si sposano...
 I nomi quali sono?
 
 LESBINA
 
760I nomi sono questi...
 (Ohimè! Viene il padrone).
 
 TRITEMIO
 Ehi, Lesbina.
 LESBINA
                            Signore?
 TRITEMIO
 Eugenia non ritrovo.
 Sai tu dov’ella sia?
 LESBINA
                                     No certamente.
 TRITEMIO
765Tornerò a ricercarla immantinente.
 Aspettate un momento,
 signore notaro.
 LESBINA
                               Intanto
 lo faccio principiare. Io detto; ei scrive.
 TRITEMIO
 Benissimo.
 NARDO
                        La sposa
770non è Lesbina?
 LESBINA
                               Certo;
 le spose sono due.
 Una Eugenia si chiama, una Lesbina.
 Con una scritturina
 due matrimoni si faranno, io spero;
775non è vero, padrone?
 TRITEMIO
                                         È vero, è vero. (Parte)
 LESBINA
 Presto, signor notar; via seguitate.
 NARDO
 Terminiamo l’affar.
 CAPOCCHIO
                                       Scrivo, dettate.
 
    In questo giorno, etcaetera,
 dell’anno mille, etcaetera,
780promettono... si sposano...
 I nomi quali sono?
 
 LESBINA
 
 I nomi sono questi.
 Eugenia con Rinaldo
 dei conti di Pancaldo.
 
 NARDO
 
785Dei Trottoli Lesbina
 con Nardo Ricottina.
 
 CAPOCCHIO
 
 Promettono... si sposano...
 La dote qual sarà?
 
 LESBINA
 
    La dote della figlia
790saranno mille scudi.
 
 CAPOCCHIO
 
 Eugenia mille scudi
 pro dote cum etcaetera.
 
 NARDO
 
 La serva quanto avrà?
 
 LESBINA
 
 Scrivete; della serva
795la dote eccola qua.
 
    Due mani assai leste
 che tutto san far.
 
 NARDO
 
 Scrivete; duemila
 si puon calcolar.
 
 LESBINA
 
800   Un occhio modesto,
 un animo onesto.
 
 NARDO
 
 Scrivete; seimila
 lo voglio apprezzar.
 
 LESBINA
 
    Scrivete; una lingua
805che sa ben parlar.
 
 NARDO
 
 Fermate; cassate,
 tremila per questo
 ne voglio levar.
 
 CAPOCCHIO
 
    Duemila, seimila,
810battuti tremila,
 saran cinquemila.
 Ma dite di che?
 
 LESBINA, NARDO
 
 Contenti ed affetti,
 diletti per me.
 
 A TRE
 
815   Ciascuno lo crede,
 ciascuno lo vede
 che dote di quella
 più bella non v’è.
 
 TRITEMIO
 
    Corpo di satanasso!
820Cieli! Son disperato!
 Ah, m’hanno assassinato!
 Arde di sdegno il cor.
 
 LESBINA, NARDO
 
    Il contratto è bello e fatto.
 
 CAPOCCHIO
 
 Senta, senta, mio signor.
 
 TRITEMIO
 
825   Dov’è la figlia andata?
 Dove me l’han portata?
 Empio Rinaldo, indegno,
 perfido rapitor!
 
 CAPOCCHIO
 
    Senta, senta, mio signor.
 
 TRITEMIO
 
830Sospendete; non sapete?
 Me l’ha fatta il traditor!
 
 LESBINA
 
    Dov’è Eugenia?
 
 TRITEMIO
 
                                   Non lo so.
 
 NARDO
 
 Se ne è ita?
 
 TRITEMIO
 
                         Se ne andò.
 
 CAPOCCHIO
 
 Due contratti?
 
 TRITEMIO
 
                              Signor no.
 
 CAPOCCHIO
 
835   Casso Eugenia cum etcaetera,
 non sapendosi, etcaetera,
 se sia andata o no, etcaetera.
 
 TUTTI
 
    Oh, che caso! Oh che avventura!
 Si sospenda la scrittura,
840che dopoi si finirà.
 
    Se la figlia fu involata,
 a questa ora è maritata;
 e presente la servente
 questa ancor si sposerà.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Luogo campestre con casa rustica di Nardo.
 
 LENA, EUGENIA e RINALDO
 
 LENA
845Se a voi preme far presto, ho fretta anche io.
 V’offrii l’albergo mio; ma con un patto,
 che subito sul fatto,
 in mia presenza e d’altro testimonio,
 si faccia e si concluda il matrimonio.
 EUGENIA
850Sì sì, ne son contenta.
 RINALDO
 V’aspetteremo in casa, se v’aggrada.
 LENA
 Eugenia, andate pur; questa è la strada;
 ma a voi non sia discaro
 di venir meco a prendere il notaro. (Lena parte con Rinaldo)
 EUGENIA
855Nell’albergo di Nardo,
 che sposar mi dovea, mi porta il fato
 fra le braccia del mio Rinaldo amato.
 
    Che più bramar posso io?
 Che più dal cielo aspetto?
860Potrò col mio diletto
 la pace rincontrar.
 
 SCENA II
 
 NARDO e LESBINA
 
 NARDO
 Sì, cara mia Lesbina,
 or or verrà la Lena col notaro,
 per distendere il solito contratto;
865e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Dunque quando è così, torniamo a casa.
 Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
 (Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate.
870Prima che mia voi siate,
 a voi vo’ render note
 alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
 Qual dote dar vi possa
 voi l’intendeste già.
875Affetto ed onestà,
 modestia, ritrosia
 ed un poco di buona economia.
 NARDO
 Così mi basta; e appunto
 di questo capital, che apprezzo molto,
880intendo ragionar.
 LESBINA
                                   Dunque v’ascolto.
 NARDO
 Di quanto promettete
 non vo’ troppo né poco,
 perché il poco non basta e il troppo annoia
 e la mediocrità sempre è una gioia.
 LESBINA
885Ho inteso il genio vostro.
 Non vi sarà pericolo
 che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
 NARDO
 Quando è così, mia cara,
 porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
890Del nostro matrimonio
 invochiamo Cupido in testimonio.
 
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
 deh, testimon voi siate
895del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
    Alberi, piante e fiori
 i vostri ardori ascosi
 insegnino a’ due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
900   Par che l’augel risponda:
 «Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama la sposa ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella
905vezzosa e bella
 solo il compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
 due piante unite
910a’ sposi insegnano
 la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella,
915io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
    Rondone fido,
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto
920vite amorosa,
 diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
925vita del cor.
 
    No, non si trova,
 no, non si prova
 più bella pace,
 più caro ardor. (Entrano in casa)
 
 SCENA III
 
 LENA, CAPOCCHIO e RINALDO
 
 LENA
930Sior Capocchio gentile, andiam più presto.
 CAPOCCHIO
 Son qua. D’un capriolo io son più lesto.
 LENA
 Venite a stipulare
 delle nozze il contratto.
 CAPOCCHIO
 Eccolo qui; l’avevo mezzo fatto.
 RINALDO
935V’aspetto in questa casa.
 Voi l’opra terminate,
 l’ordine seguitate
 de’ due sponsali in un contratto espressi,
 colle stesse notizie e i nomi stessi.
 CAPOCCHIO
940Sì signor, si farà;
 ma poi chi pagherà?
 RINALDO
                                        Bella domanda!
 Pagherà chi è servito e chi comanda.
 
    La bella che adoro
 mi diè la sua fé.
 
945   Se brami un tesoro,
 l’avrai per mercé.
 
    Procura che fatto
 sia presto il contratto.
 Sol questo favore
950io chiedo da te. (Entra in casa)
 
 SCENA IV
 
 LENA, CAPOCCHIO
 
 LENA
 Sentite, se si fanno
 scritture in casa mia,
 voglio la senseria.
 CAPOCCHIO
                                   Come?
 LENA
                                                   Dirò,
 se mi mariterò,
955come spero di farlo prestamente,
 la scrittura m’avete a far per niente.
 CAPOCCHIO
 Per niente? Oh questo no. Tutto farei,
 fuor che pregiudicar a’ lucri miei.
 LENA
 Dunque un altro piacer non mi negate.
 CAPOCCHIO
960Se c’è da guadagnar, son qui; parlate.
 LENA
 Maritarmi vorrei con civiltà.
 CAPOCCHIO
 Questo far si potrà.
 LENA
                                      Ma fate subito.
 CAPOCCHIO
 Di trovarvi un marito io non ne dubito.
 Ma sentite un tantin; vi parlo chiaro;
965sarò pronto a servirvi, ma... denaro.
 (Questo vuol dire aver molto studiato
 e saper ragionar da letterato).
 
    Io sono un libro aperto,
 di tutto so parlar.
 
970   Un logico più esperto
 non v’è nel disputar.
 
    So dir nego maiorem,
 so dir probo minorem,
 retorqueo, distinguo, concedo;
975e a forza d’argomenti
 io voglio aver ragion. (Entra in casa)
 
 SCENA V
 
 LENA
 
 LENA
 Per mezzo di Capocchio, in men d’un giorno,
 secondo il genio mio spero un marito;
 perché, se troppo in casa me ne resto,
980col zio, che poco pensa alla nipote,
 perdo e consumo invan la miglior dote.
 
    Ogni anno passa un anno,
 l’età non torna più.
 Passar la gioventù
985io non vorrei così;
 ci penso notte e dì.
 
    Vorrei un giovinetto,
 civile, graziosetto,
 che non dicesse un no,
990quando gli chiedo un sì. (Entra in casa)
 
 SCENA VI
 
 DON TRITEMIO infuriato, poi NARDO di casa
 
 TRITEMIO
 Figlia, figlia sgraziata,
 dove sei? Non ti trovo. Ah, se la perfida
 mi capita alle mani,
 la vo’ sbranar, come fa l’orso i cani.
995Son fuor di me. Son pieno
 di dispetto, di rabbia e di veleno.
 NARDO
 Signor, che cosa avete
 che sulle furie siete?
 TRITEMIO
 Ah, sono assassinato!
1000M’han la figlia involato!
 Non la trovo; non so dov’ella sia.
 NARDO
 E non v’è altro?
 TRITEMIO
                                Una minchioneria!
 NARDO
 Eugenia vostra figlia
 è in sicuro, signor, ve lo prometto,
1005e allegra collo sposo nel mio tetto.
 TRITEMIO
 Là dentro?
 NARDO
                       Signorsì.
 TRITEMIO
 Eh, burlate!
 NARDO
                         È così.
 TRITEMIO
 Rapirmela mi pare
 una bella insolenza.
 NARDO
1010La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
 TRITEMIO
 Dov’è? La vo’ veder.
 NARDO
                                        Per ora no.
 TRITEMIO
 Eh, lasciatemi andar.
 NARDO
                                          Ma non si può.
 TRITEMIO
 La volete tener sempre serrata?
 NARDO
 Sì, finch’è sposata.
 TRITEMIO
1015Questa è una mala azion che voi mi fate.
 NARDO
 No, caro amico; non vi riscaldate.
 TRITEMIO
 Non m’ho da riscaldare?
 E vi par questo un modo di trattare?
 
    Corpo del diavolo!
1020Questo è un po’ troppo.
 Che? Sono un cavolo?
 Sono irritato,
 sono arrabbiato.
 La vo’ finire,
1025non vo’ sentire;
 non ho pietà.
 
    Vo’ rovinarvi,
 vo’ vendicarmi
 ed in giudizio
1030un precipizio
 ne nascerà.
 
    Come? Che dite?
 Eh, Nardo mio,
 mi maraviglio,
1035basta così.
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi LENA e LESBINA ch’escono di casa
 
 NARDO
 Io crepo dalle risa. Oh, bell’equivoco!
 Il buon padre non sa che la figliuola
 sposa è già di Rinaldo;
 ma creda quel che vuol, non mi confondo.
1040Una gabbia di matti è questo mondo.
 LESBINA
 Caro sposino mio, vi riverisco.
 LENA
 Ed io di star così m’infastidisco.
 NARDO
 Cosa da me volete?
 LESBINA
 Rinaldo con Eugenia, già saprete,
1045ritorna alla città
 e vorrebbe condurre ancor noi là.
 NARDO
 Oibò. Non voglio correre il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Io, per me, v’anderò
1050e a un cittadino mi mariterò.
 NARDO
 Oh, matta! I cittadini
 hanno pochi quattrini e molte voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 LESBINA
 Andiam, diletto sposo; io ve ne prego.
 NARDO
1055Io vi rispondo. Un bel solenne nego.
 LESBINA
 Ma riflettete un poco, o mio Nardino,
 amoroso, bellino.
 Non vi par cosa bella
 veder la vostra sposa,
1060in cerchio o in negligé,
 in sacco o in andriè,
 il viso imbellettato e un gran toupé,
 e con caricatura,
 affettando una nobile figura,
1065fare un inchino qua
 e un’occhiatina e un baciamano là?
 Dirò di più. Forse stimate un niente
 quel dire francamente:
 «La mia Lesbina bella
1070innamora ciascun quando favella?»
 Infin, meco ridendo, mi direte:
 «Di tua beltà son fatti schiavi, è vero,
 ma io sol del tuo cor tengo l’impero».
 LENA
 Adunque, caro zio, che male c’è
1075se alla città passiamo tutti tre?
 NARDO
 E ben; l’accordo. Già corre la moda
 che il galantuom lasci godere e goda.
 LESBINA
 Grazie; sarò fedele come l’oro;
 torto non vi farò per un tesoro;
1080e intanto vederete i ganimedi
 spasimare d’amor tutti a’ miei piedi.
 
    Se io ritorno cittadina,
 con due nei sopra il mostaccio
 e con due che mi dian braccio,
1085un da dritta e un da mancina,
 anderò per la città;
 
    e con sguardi vezzosetti,
 con sospiri sdegnosetti,
 farò tutti innamorare,
1090senza aver di lor pietà. (Lesbina entra in casa con Nardo)
 
 SCENA ULTIMA
 
 LENA, poi DON TRITEMIO infuriato, dopo tutti gli attori
 
 LENA
 Mi sa mille anni. Certo; ho un gran prurito
 d’avere un cittadino per marito.
 TRITEMIO
 (La rabbia mi divora). Olà; ragazza,
 cosa si fa là dentro?
 LENA
1095Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni.
 Fra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà ancor lei.
 TRITEMIO
1100Questi sposi quai son?
 LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LENA
 E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 TRITEMIO
1105Come! Lesbina? Ohimè! Io non lo credo.
 LENA
 Eccogli tutti quattro.
 TRITEMIO
                                        Ahi! Cosa vedo?
 
 EUGENIA
 
    Ah, genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
1110Questa è la verità.
 
 TRITEMIO
 
    Perfidi, scellerati,
 vi siete accomodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto,
1115che bella carità!
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
1120per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
1125piacer darà.
 
 
 Fine
 
 
 
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Drama giocoso da rappresentarsi sopra il teatro di sua maestà britannica.
    La musica è del signor Baldassar Galuppi detto il Buranello e tutta originale del presente drama, eseguita sotto la direzione del signor Gioacchino Cocchi napolitano, maestro dell’insigne ospitale degl’Incurabili di Venezia.
    London, 1762.
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia di don Tritemio
 (la signora Angiola Calori)
 RINALDO gentiluomo
 (il signor Pietro Sorbelloni)
 
 PARTI BUFFE
 
 NARDO contadino detto il Filosofo
 (il signor Carlo Paganini)
 LESBINA cameriera di Eugenia
 (la signora Angiola Paganini)
 CAPOCCHIO notaro
 (il signor Cristiano Tedeschini)
 Nota bene: tutti tre virtuosi di sua maestà il re di Prussia
 
 MEZZI CARATTERI
 
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Gaetano Quilici)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Teresa Eberardi)
 
    Maestro di ballo il signor Gherardi. Ballerini: mademoiselle Asselin, il signor Gherardi, miss Polly Capitani, monsieur Tariot.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini e LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Ma il gen
 LESBINA
 Non così parlereste
 se il padre vi sposasse con Rinaldo
 e non pensasse a Nardo.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
20Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
 si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah, mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                 Io v’offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
25in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
 far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido.
 LESBINA
                                      Sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
30   Se perde il caro lido,
 sopporta il mar che freme,
 lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
35Affé la compatisco.
 Questa anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
40Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 TRITEMIO
                                          E mi figuro
45che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh, no signore;
 di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
50Le volete sentir?
 TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche strofetta canterò a proposito).
 TRITEMIO
 (Oh ragazza! Farei qualche sproposito).
 LESBINA
 Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
55   Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio,
60gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
65   Son fresca e son bella
 cicoria novella,
 mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
70radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 TRITEMIO
 Senti, ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
75Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella.
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh, sentite
 un’altra canzonetta che ho imparata
80sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 TRITEMIO
85Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 TRITEMIO
90Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini a’ suoi.
 TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
95Ella ha una figlia.
 TRITEMIO
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò,
 se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma mi sprona l’amore...
 TRITEMIO
                                              Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque signor...
 TRITEMIO
                                  Dunque, signor mio caro,
 per venire alle corte io vi dirò...
 RINALDO
100M’accordate la figlia?
 TRITEMIO
                                          Signor no.
 
 Ah mi sento morir!
 TRITEMIO
                                      Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza.
 TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 TRITEMIO
                                                           Benissimo.
 RINALDO
                                                           De’ beni
 ricco son quanto voi.
 TRITEMIO
                                                           Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
105dite perché né men si vuol ch’io speri?
 TRITEMIO
 La ragion?
 RINALDO
                       Vo’ saper...
 TRITEMIO
                                              Sì, volentieri.
 
    La mia ragione è questa.
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
110e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
115un’altra ne dirò.
 Rispondo: «Signor no,
 perché la vo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 RINALDO
120Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica;
 ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debba andar villanamente inulto.
125O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani, poi LA LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
130con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
135e dipoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno.
140Tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Non cambierei, lo giuro,
145con piacer delle feste e de’ teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto;
 se foste un poveretto,
150compatirvi vorrei; ma siete ricco,
 avete de’ poderi e de’ contanti;
 la fatica lasciate a’ lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
155fareste meglio a maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e co’ famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri; presto
160comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì?
 Eccolo, io ve lo do;
 lo volete? Vi piace?
 LENA
                                      Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
165a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella,
 povera vanarella.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino,
170mi basta un cittadino. E imito voi.
 Del signor don Tritemio la figliuola
 v’hanno proposta in sposa, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
175con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta
 Ammogliatevi presto, signor zio,
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
180abbiate carità.
 Io sono un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio;
 vedete, caro zio,
185ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete, m’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 NARDO
190Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ma piano signor Nardo;
195vedo che non pensate
 però come parlate.
 Della città il costume
 sprezzaste con filosofa dottrina
 e sposarete poi la cittadina?
200Questo nome sicuro a dirittura
 m’ha cacciato nel corpo nel corpo
 un poco di paura.
 Ma l’impegno è già fatto.
 Andiam... Ma no... Si tratta d’una moglie.
205Ma ogniuno che lo sa
 di me si riderà, se torno indietro.
 Oh che imbroglio! Oh che impaccio!
 Risolvermi non so, sudo e... m’agghiaccio.
 
    Pensieri a capitolo,
210che abbiamo da fare?
 La femmina è un articolo
 che dà da pensare.
 
    Mi dice l’amore:
 «Contenta il tuo core»,
215l’onore mi dice:
 «Non fare, non lice».
 Che abbiamo da fare?
 Nel cor poverello
 campana a martello
220sentire mi par.
 
    Che dichino, che parlino,
 che gridino, che ciarlino,
 oh questa sì ch’è buona!
 Oh questa sì ch’è bella!
225Io son padrone e quella
 contento vo’ sposar.
 
 SCENA V
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO, dopo LESBINA
 
 EUGENIA
 Deh, se m’amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!