Il filosofo di campagna, libretto, Mosca, Università Imperiale, 1774

 PARTI BUFFE
 
 LESBINA cameriera di don Tritemio
 (la signora Lucia Frigeri, virtuosa di camera all’attual servizio di sua altezza serenissima la principessa d’Armestat)
 DON TRITEMIO cittadino abbitante in villa
 (il signor Federico Scachetti)
 NARDO rico contadino detto il Filosofo
 (il signor Giovanni Battista Brusa)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Agata Scacchetti)
 CAPOCCIO nodaro della villa
 (il signor Giovanni Battista Bassanese)
 
    Li balli saranno d’invenzione e direzione del signor Giuseppe Zabella detto Ferrarotti. Ballarini: il signor Giuseppe Zabella detto Ferrarotti suddetto, la signora Rosa Tinti, il signor Antonio Rubbi, la signora Antonia Ticini detta la Caleghera, il signor Giuseppe Nanini, la signora Regina Cabalata. Figuranti: N. N.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Giardino; casa rustica in campagna; saloto con porte; camera.
    Il vestiario è di ricca e vaga invenzione del signor Lazzaro Maffei veneziano. La musica è del celebre maestro signor Baldassarre Galuppi detto Buranello.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gilsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15tropo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfugir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata;
 così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Se perde il caro nido
 sopporta il mar che freme.
55Lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
60Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
65Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
70di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
 DON TRITEMIO
75(Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
 Sentite, patron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
80son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
85col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scazzia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
90Mangiatemi presto,
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
95raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
100prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovresti alla signora
 pensar, caro padrone;
105or ch’è buona stagione,
 or ch’è un frutto matturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
110Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
115che ogn’erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
120per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
125   Non raccogliere le mie foglie
 vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
130m’ha detto che con lei non farò niente.
 Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
135Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
140il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buon stato
 e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
145S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
150Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ella ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                   Sì signor.
 RINALDO
                                                       Dirò...
 Se fossi degno. Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
155Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ah mi sento morir.
 DON TRITEMIO
                                      Ah per cortesia
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
160Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
165Il mio stato, i miei fondi,
 le parentelle mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
170La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
175La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 purché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
180rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
185d’anima vil dell’onestà nemica
 ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
190o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci amor nel seno mio
 finché parla il giusto sdegno
 o prendete ambi l’impegno
195i miei torti vendicar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani, poi LA LENA
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
200se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
 e doppoi si mangierà;
 del buon vin si beverà
205ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
210l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
215con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se fosse un poveretto, (A Nardo)
220compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
225fareste meglio maneggiar la rocca.
 LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
230comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Voi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
235a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposaresti un conte od un marchese,
240perché in meno d’un mese,
 strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riduce al nulla.
 LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
245che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LENA
                                               Ch’abbia un’entratta
 qual a mediocre stato si conviene.
 Che sia discretto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
250Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie.
 E non usano molto amar la moglie.
 Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
255è maggior l’uscita dell’entrata.
 LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero.
 Ma in villa se ne sta,
260perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
265perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
270oggi la vederò.
 LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
275ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
280Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorebbe poverina...
285Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
290ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
295diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
300alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
305si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
310   Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo.
 Vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù.
 
 SCENA VII
 
 Saloto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA, RINALDO, poi LESBINA
 
 EUGENIA
315Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 Ah se il mio cor vi dono
 per or vi basti e non vogliate ingrato
320render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 RINALDO
325Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
330col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
335Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo e il padre vostro
 ha detto, ha comandato
340che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Corragio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
345Ambi pietà mi fatte;
 a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
350ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA VIII
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
355Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
360Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vosignoria.
 LESBINA
                                      Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.