Lo frate ’nnamorato, libretto, Napoli, De Biase, 1732

 felice ardore,
1455alma del mondo,
 vita del cor.
 
    No, non si trova,
 no, non si prova
 più bella pace,
1460più caro ardor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito!
 Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
1465colli ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
 Quel che pensar non so;
 all’uscio picchierò. Verranno fuori;
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA XI
 
 LA LENA e detto, poi tutti
 
 LA LENA
1470Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
 cosa si fa là dentro?
 LA LENA
 Finito è l’instrumento;
 si fan due matrimoni.
 Tra gli altri testimoni,
1475che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LA LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LA LENA
1480E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina oimè! No non lo credo.
 LA LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ahi! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
1485Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi scelerati,
 vi siete accomodati?
1490Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
 Che bella carità!
 
 LA LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
1495ecco per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
1500sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
 IL FILOSOFO IN VILLA
 
 
    Dramma giocoso in musica da recitarsi in Civitanova nel carnevale dell’anno 1769, dedicato al nobiluomo signor Giuseppe Compagnoni Marefoschi, marchese di Sambuci e signore di Vallepietra, patrizio maceratese.
    Loreto, pel Sartori, stampatore vescovile e pubblico, con permissione.
 
 
 ATTORI
 
 PARTI SERIE
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (signor Pietro Cimei)
 RINALDO gentiluomo amante d’Eugenia
 (signor Emiddio Ancellotti)
 
 PARTI BUFFE
 
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (signor Giuseppe Strinati)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (signor Francesco Vagni)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (signor Paolo Moreschini)
 LENA nipote di Nardo
 (signor Tommaso Albertini)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (signor Giuseppe Sacconi)
 
    La poesia è di Polisseno Fegeio, pastor arcade. La musica è del celebre maestro di cappella signor Baldassarre Galuppi detto Buranello.
 
 Illustrissimo signore,
    il desiderio di dare una pubblica testimonianza di quella particolare stima ed ossequio che professiamo a vostra signoria illustrissima ci spinge a freggiare il presente dramma col rispettabilissimo nome vostro. Conosciamo benissimo che o si consideri il merito della vostra e per chiarezza di sangue e per nobiltà di costumi e per ogn’altro titolo riguardevolissima persona, o si riguardi la tenuità dell’offerta saremo facilmente tacciati o di poco accorti o di troppo ardimentosi; ma il vostro amore alle lettere ed alle belle arti, il vostro genio alla musica e quella protezione che sempre avete accordato agl’amanti della medesima ci ha fatto credere che ingrata non vi sarebbe riuscita un’offerta in cui sì l’uno che l’altro trovato avrebbe di che compiacersi. Degnatevi dunque di gradire questa testimonianza del nostro rispetto ed accordandoci la vostra protezione ed il vostro gradimento dateci a dimostrare che non ci siamo ingannati e profondamente ci rassegniamo di vostra signoria illustrissima umilissimi devotissimi obbligatissimi servitori.
 
    Gl’impressari
    Civitanova, 2 gennaio 1769
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul matino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più che fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona, allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore,
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlareste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Ohimè...
 LESBINA
                                      V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un puo’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in un’età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Se perde il caro lido,
 sopporta il mar che freme,
55lo scoglio è quel che teme
 il misero nochier.
 
    Lontan dal caro bene
 soffro costante e peno;
 ma questo cuore almeno
60rimanga in mio poter.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea per desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 Qualche strofetta canterò a proposito. (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza! Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
80Sentite padron bello
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
90Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radichio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco di allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar caro padrone
 or ch’è buona stagione,
110or che è un frutto maturo o saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è codesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 ch’ogn’erba si contenti
120d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppur io mi lusingo
 che alfin a lei marito io diverrò.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
140un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 Ecco della mia bella
 il genitor felice. (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
145e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più se vuole.
 RINALDO
150Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signore.
 RINALDO
                                                       Dirò...
155Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
160Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
165Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
170Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volontieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
175La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
180   Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
185la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica
 ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
190ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci, amor, nel seno mio,
195finché parla il giusto sdegno;
 o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar.
 
    Fido amante, è ver, son io;
 ogni duol soffrir saprei
200ma il mio ben non soffrirei
 con viltate abbandonar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Bosco con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
205   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto presto a lavorare,
 a podare, a seminare
 e doppoi si mangerà;
210del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
215Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il trisavolo
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato,
220se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
225sono gl’uomini ognor sempre l’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
230è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
235Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
240voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volontieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
245Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con perucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
250Povera vanarella,
 tu sposaresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
255Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata,
 quale a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
260Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol trovarai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
265Per pratica commune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
270così non usa?
 NARDO
                            È vero
 ma in villa se ne sta
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
275v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
280L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vederò.
 LA LENA
                              Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà?
 NARDO
                                 Basta non abbia
 visibili magagne;
285sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
 abbiate carità;
290io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio,
 vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
295   La vostra nepotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
300che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
305e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
 cerca nobilitarsi
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
310D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
315che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
 salito in alto,
320vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
 vado più in su.
325Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. O dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
330Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cuor vi dono
335per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cuor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
340V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda.
 LESBINA
                                                         Bravo!
345Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso in questo punto
 forte, lesto e gagliardo,
350il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza
 se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
355di tradir chi vi adora?
 EUGENIA
                                           È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
360Con grazia, padrone mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
365Capperi! S’attaccava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
 Ecco il ricco villano;
 ora son ne l’impegno;
370tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
375Potete in questo loco
 aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
380Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete da ver.
 LESBINA
                                    Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
385Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, superbetta; voi mi avete
 conosciuto a dirittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
390Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
395Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
400(Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
405che col labbro spiegar non si può.
 
    Miratemi qua,
 saprete cos’è.
 Voltatevi in là.
 Lontano da me.
 
410   Vo’ partire, mi sento languire.
 Ah! Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
415ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio;
420vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
425Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’essere amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (O ciel sii ringraziato). (Da sé)
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
430il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto,
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
435Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
440La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante? È graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
445che l’ha la madre sua fatta per me.
 Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cuori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
450ridente ho l’animo,
 nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LA LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
455risveglia ed agita
 novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
460dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
    Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LA LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
465Dolce destino,
 felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore.
 
 NARDO
 
 Perché parti?
 
 LESBINA
 
                            Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
470   Vergognosetta
 la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LA LENA
 
    Se fosse in lei,
 non fuggirei
475chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
    La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in sen io provo!
 Dove diavolo sarà?
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
480   L’ho cercata su e giù;
 l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO, LA LENA
 
 Ah ah ah. (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete! Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
485Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accenna ov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
 Quando è là, la troverò
 e con me la condurò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
490Non è tanto vergognoso
 il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello, (Torna)
495via porgetemi l’anello,
 che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre, vado via.
 
 NARDO
 
500Ma perché tal ritrosia.
 
 LESBINA
 
 Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite... tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO, LA LENA
 
    Caso raro, caso bello!
505Una sposa coll’anello
 ha rossor... del genitor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO, LA LENA
 
                              Ah ah ah. (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
510E l’anello già le ha dato.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla figlia?...
 
 NARDO, LA LENA
 
                          Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?
 
 NARDO, LA LENA
 
                        Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
    Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
515che la sposa vergognosa
 alla fin si cangerà.
 E l’amore nel tuo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera di don Tritemio.
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 LESBINA
 Venite qui, signora padroncina;
520tenete questo anello;
 ponetevelo in dito.
 Fate che il genitore ve lo veda;
 lasciate che la sposa egli vi creda.
 EUGENIA
 Tu m’imbrogli Lesbina e non vorrei...
 LESBINA
525Se de’ consigli miei
 vi volete servir, per voi qui sono.
 Quando no, vel protesto, io v’abbandono.
 EUGENIA
 Deh non mi abbandonare, ordina, imponi;
 senza cercar ragioni,
530lo farò ciecamente;
 ti sarò, non temer, tutta obbidiente.
 LESBINA
 Questo anello tenete.
 Quel che seguì sapete;
 e quel che seguirà
535regola in avvenir ci porgerà.
 EUGENIA
 Ecco mio padre.
 LESBINA
                                 Presto;
 ponetevelo in dito.
 EUGENIA
 Una sposa sono io senza marito. (Si mette l’anello)
 
 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 A che gioco giochiamo? (Ad Eugenia)
540Corro, ti cerco e chiamo;
 mi fuggi e non rispondi?
 Quando vengo da te, perché ti ascondi?
 EUGENIA
 Perdonate signor...
 LESBINA
                                     La poveretta
 è un pochin ritrosetta.
 DON TRITEMIO
                                           Oh bella affé,
545si vergogna di me, poi collo sposo
 il suo core non è più vergognoso.
 LESBINA
 Vi stupite di ciò? Si vedon spesso
 cotali meraviglie.
 Soglion tutte le figlie,
550ch’ardono in sen d’amore,
 la modestia affettar col genitore.
 DON TRITEMIO
 Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
 dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
 LESBINA
                                        Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Parlo teco. Rispondi. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                         Eccolo qui. (Mostra l’anello a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
555Capperi! È bello assai.
 Non mi credevo mai
 che Nardo avesse di tai gioie in dito.
 Vedi se t’ho trovato un buon marito?
 EUGENIA
 (Misera me, se tal mi fosse!) (Da sé)
 DON TRITEMIO
                                                        Oh via,
560codesta ritrosia scaccia dal petto;
 queste smorfie oramai mi fan dispetto.
 LESBINA
 Amabile sposina,
 mostrate la bocchina un po’ ridente.
 EUGENIA
 (Qualche volta Lesbina è impertinente). (Da sé)
 DON TRITEMIO
565È picchiato, mi par.
 LESBINA
                                       Vedrò chi sia.
 (Ehi, badate non far qualche pazzia). (Piano ad Eugenia e parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, EUGENIA, poi LESBINA che torna
 
 EUGENIA
 È molto s’io resisto. (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Affé non ho mai visto
 una donna di te più scimunita.
570Figlia che si marita
 suol esser lieta, al suo gioir condotta,
 e tu stai lì che pari una marmotta?
 EUGENIA
 Che volete ch’io dica?
 DON TRITEMIO
                                          Parla o taci,
 no me n’importa più.
575Sposati e in avvenir pensaci tu.
 LESBINA
 Signor è un cavaliero
 col notar della villa in compagnia
 che brama riverir vossignoria.
 DON TRITEMIO
 Vengano. (Col notaro? (Da sé)
580Qualchedun che bisogno ha di denaro).
 LESBINA
 (È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
 d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
 EUGENIA
                                        Andiam Lesbina. (A Lesbina)
 Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                          Va’ pure.
 EUGENIA
                                             (Ahi me meschina!) (Da sé e parte con Lesbina)
 
 SCENA IV
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO e CAPOCCHIO notaro
 
 DON TRITEMIO
 Se denaro vorrà, gliene darò,
585purché sicuro sia con fondamento
 e che almeno mi paghi il sei per cento.
 Ma che vedo? È colui
 che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
 Col notaro che vuol? Che fare intende?
 RINALDO
590Compatite signor...
 DON TRITEMIO
                                      La riverisco.
 RINALDO
 Compatite se ardisco
 replicarvi l’incomodo. Temendo
 che non siate di me ben persuaso
 ho condotto il notaro,
595il qual patente e chiaro
 di me vi mostrerà
 titolo, parentele e facoltà.
 DON TRITEMIO
 (È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco, signore,
 l’istrumento rogato
600d’un ricco marchesato;
 ecco l’albero suo, da cui si vede
 che per retto camino
 vien l’origine sua del re Pipino.
 DON TRITEMIO
 O capperi! Che vedo?
605Questa è una cosa bella in verità.
 Ma della nobiltà, signor mio caro,
 come andiamo del par con il denaro?
 RINALDO
 Mostrategli i poderi,
 mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
610Questi sono istrumenti
 di compre, di censi, di livelli,
 questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’istrumenti antichi)
 
    Nel Quattrocento
 sei possessioni,
615nel Cinquecento
 quattro valloni.
 Anno millesimo
 una duchea.
 Milletrentesimo
620una contea
 emit etcaetera.
 
    Case e casoni,
 giurisdizioni,
 frutti annuali,
625censi e cambiali.
 Sic etcaetera.
 Cum etcaetera. (Parte)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO e RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 La riverisco etcaetera.
 Vada signor notaro a farsi etcaetera.
 RINALDO
630Ei va per ordin mio
 a prender altri fogli, altri capitoli,
 per provarvi di me lo stato e i titoli.
 DON TRITEMIO
 Sì sì, la vostra casa
 ricca, nobile, grande ognora fu.
635Credo quel che mi dite e ancora più.
 RINALDO
 Dunque di vostra figlia
 mi credete voi degno?
 DON TRITEMIO