Lo frate ’nnamorato, libretto, Napoli, De Bejase, 1734

 I nomi sono questi.
 Eugenia con Rinaldo
 dei conti di Pancaldo.
 
 NARDO
 
 Dei Trottoli Lesbina
775con Nardo Riccottina.
 
 CAPOCCHIO
 
 Promettono, si sposano;
 la dote qual sarà?
 
 LESBINA
 
    La dote della figlia
 saranno mille scudi.
 
 CAPOCCHIO
 
780Eugenia mille scudi
 pro dote cum etcaetera.
 
 NARDO
 
 La serva quanto avrà?
 
 LESBINA
 
 Scrivete; della serva
 la dote eccola qua.
 
785   Due mani assai leste
 che tutto san far.
 
 NARDO
 
 Scrivete; duemila
 si puon calcolar.
 
 LESBINA
 
    Un occhio modesto,
790un animo onesto.
 
 NARDO
 
 Scrivete; seimila
 lo voglio apprezzar.
 
 LESBINA
 
    Scrivete; una lingua
 che sa ben parlar.
 
 NARDO
 
795Fermate, cassate;
 tremila per questo
 ne voglio levar.
 
 CAPOCCHIO
 
    Duemila, seimila,
 battuti tremila,
800saran cinquemila;
 ma dite, di che?
 
 LESBINA, NARDO
 
 Contenti ed affetti,
 diletti per me.
 
 A TRE
 
    Ciascuno lo crede,
805ciascuno lo vede
 che dote di quella
 più bella non v’è.
 
 TRITEMIO
 
    Corpo di satanasso!
 Cieli! Son disperato!
810Ah, m’hanno assassinato!
 Arde di sdegno il cor!
 
 LESBINA, NARDO
 
    Il contratto è bello e fatto.
 
 CAPOCCHIO
 
 Senta, senta, mio signore.
 
 TRITEMIO
 
    Dov’è la figlia andata?
815Dove me l’han portata?
 Empio Rinaldo indegno,
 perfido rapitor!
 
 CAPOCCHIO
 
    Senta, senta, mio signor.
 
 TRITEMIO
 
 Sospendete, non sapete?
820Me l’ha fatta il traditor!
 
 LESBINA
 
    Dov’è Eugenia?
 
 TRITEMIO
 
                                   Non lo so.
 
 NARDO
 
 Se n’è ita?
 
 TRITEMIO
 
                       Se ne andò.
 
 CAPOCCHIO
 
 Due contratti.
 
 TRITEMIO
 
                             Signor no.
 
 CAPOCCHIO
 
    Casso Eugenia cum etcaetera.
825Non sapendosi etcaetera
 se sia andata o no, etcaetera.
 
 TUTTI
 
    Oh che caso! Oh che avventura!
 Si sospenda la scrittura,
 che dipoi si finirà.
 
830   Se la figlia fu involata,
 a questa ora è maritata;
 e presente la servente,
 questa ancor si sposerà.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Luogo campestre con casa rustica.
 
 LENA ed EUGENIA
 
 LENA
 Se dell’albergo che v’abbiamo dato
835esser grata volete
 qualche cosa potete
 fare ancora per me.
 EUGENIA
                                       Che non farei
 per chi fu sì pietosa a’ desir miei?
 LENA
 Un marito vorrei nella città.
 EUGENIA
840Ritrovar si potrà.
 LENA
                                  Ma fate presto.
 Se troppo in casa resto
 col zio, che poco pensa alla nipote,
 perdo e consumo invan la miglior dote.
 
    Ogn’anno passa un anno,
845l’età non torna più;
 passar la gioventù
 io non vorrei così;
 ci penso notte e dì.
 
    Vorrei un giovinetto
850civile, graziosetto,
 che non dicesse no,
 quando io gli chiedo un sì. (Parte)
 
 EUGENIA
 Lena è gentile e allegra; e segue i moti
 d’un innocente affetto. Io quella sono
855che non merta perdono. Ad ogn’istante
 parlar mi sento al core
 giustamente sdegnato il genitore.
 
    Io sperai nell’idol mio
 di godere il mio contento
860ma ritrovo con tormento
 nuovo oggetto da sperar.
 
    Giusto amor che l’alma mia
 tu risolvi e che l’accendi,
 per pietà tu mi difendi
865e abbia fine il sospirar. (Parte)
 
 SCENA II
 
 NARDO e TRITEMIO
 
 NARDO
 Ma non andate in  furia! Vostra figlia
 è in sicuro, signor, ve lo prometto;
 è allegra collo sposo nel mio tetto.
 TRITEMIO
 Là dentro?
 NARDO
                       Signorsì.
 TRITEMIO
870Eh, burlate!
 NARDO
                         Ella è così.
 TRITEMIO
 Rapirmela mi pare
 una bella insolenza.
 NARDO
 La cosa è fatta; e vi vorrà pazienza.
 TRITEMIO
 Dov’è? La vo’ veder.
 NARDO
                                        Per ora no.
 TRITEMIO
875Eh, lasciatemi andar.
 NARDO
                                          Ma non si può.
 TRITEMIO
 La volete tener sempre serrata?
 NARDO
 Sì, finché è sposata.
 TRITEMIO
 Questa è una mala azion che voi mi fate.
 NARDO
 No, caro amico, non vi riscaldate.
 TRITEMIO
880Non mi ho da riscaldare?
 E vi par questo il modo di trattare?
 
    Corpo del diavolo!
 Questo è un po’ troppo.
 Che? Sono un cavolo?
885Sono irritato,
 sono arrabiato;
 la vo’ finire,
 non vo’ sentire,
 non ho pietà.
 
890   Vo’ rovinarvi,
 vo’ vendicarmi;
 ed in giudizio
 un precipizio
 ne nascerà.
 
895   Come? Che dite?
 Eh Nardo mio,
 mi maraviglio;
 basta così. (Parte)
 
 SCENA III
 
 NARDO, poi LESBINA
 
 NARDO
 Io crepo dalle risa!
 LESBINA
900Ma cappari! Si vede
 affé che mi volete poco bene.
 In casa aspetto Nardo e non si viene.
 NARDO
 Mi ha trattenuto don Tritemio un poco.
 Concludiam, se ti piace, in questo loco.
 LESBINA
905Io non vi voglio più; sono arrabbiata.
 NARDO
 Cosa dici?
 LESBINA
                      È tra noi bella e spicciata.
 NARDO
 Crudele! E tanto core
 di dirmelo hai nel volto?
 Sfoga più tosto, sfoga il tuo rigore.
910Aprimi pure il petto,
 strappami il cor, quel core
 che sospira per te. (Che cosa fo?
 Non vo’ darle piacer col mio dolore.
 Voglio da lei fuggir).
 LESBINA
                                        Dove ten vai?
 NARDO
915Vado a chi ha più pietà.
 LESBINA
 Qualche pietosa bella hai qui d’intorno?
 NARDO
 (Voglio rifarmi). È bella come il giorno.
 LESBINA
 Vattene pure a lei, che io vado intanto
 a qualcun altro che mi brama accanto.
 NARDO
 
920   Ah, poiché pietà non senti
 dell’acerbo mio martire,
 vado anch’io; non voglio dire
 cosa intendami di far.
 
 LESBINA
 
    Dove vai? Voglio sapere
925cosa pensi tu di fare;
 ma fa’ pur quel che ti pare,
 che non voglio più parlar.
 
 NARDO
 
    Dunque addio; vado a morire.
 
 LESBINA
 
 (Io mi sento inorridire).
 
 NARDO
 
930Vado aprirmi questo seno.
 
 LESBINA
 
 (Io mi sento venir meno).
 
 NARDO
 
 Ah, sì, vado, poiché vedo
 che speranza più non v’è.
 
 LESBINA
 
    Dove vai? (Io più non reggo).
 
 NARDO
 
935A morir.
 
 LESBINA
 
                   Perché?
 
 NARDO
 
                                    Per te.
 
 A DUE
 
    Ah, non voglio!
 
 NARDO
 
                                  Dunque resto.
 
 LESBINA
 
 No, va’ pur.
 
 NARDO
 
                         Che gioco è questo?
 Ah, da quell’occhio languido
 veggo che m’ami ancor.
 
 LESBINA
 
940   Per te deliro e smanio,
 per te son tutta amor.
 
 A DUE
 
    Oh, che gioia! Oh, che contento!
 Dentro al seno il cor mi sento
 per dolcezza liquefar.
 
 NARDO
 
945   Qua la man.
 
 LESBINA
 
                             La mano e poi?
 
 NARDO
 
 Diverremo tra di noi.
 
 LESBINA
 
 Che?
 
 NARDO
 
             Io marito.
 
 LESBINA
 
 E moglie?
 
 NARDO
 
                      Tu.
 
 LESBINA
 
    Vuoi la man?
 
 NARDO
 
                               Se me la dai.
 
 LESBINA
 
950Non vorrei...
 
 NARDO
 
                          E quanto stai?
 
 LESBINA
 
 Ah, mio ben, non posso più!
 
 A DUE
 
    Che smania, che fuoco,
 che incendio, che ardore!
 Io sento che il core
955nol può più soffrir. (Partono)
 
 SCENA ULTIMA
 
 DON TRITEMIO e LENA, indi tutti gli attori
 
 TRITEMIO
 La rabbia mi divora! Olà, ragazza,
 cosa si fa là dentro?
 LENA
 Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni;
960fra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà ancor lei.
 TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 TRITEMIO
965Cospetto! Mi vien caldo!
 LENA
 E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina col mio zio.
 TRITEMIO
 Come! Lesbina? Ohimè! Io non lo credo!
 LENA
 Eccogli tutti quattro.
 TRITEMIO
                                        Ahi, cosa vedo!
 
 CORO
 
 EUGENIA
 
970   Ah, genitor! Perdono!
 
 RINALDO
 
 Suocero per pietà!
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Questa è la verità.
 
 TRITEMIO
 
    Perfidi scellerati!
 
 TUTTI
 
975   Sia per diletto,
 sia per dispetto
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Fine
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica di Polisseno Fegeio, pastor arcade, da rappresentarsi nel teatro Marsigli Rossi il carnevale dell’anno 1770, dedicato agl’illustrissimi ed eccelsi signori signor gonfaloniere di giustizia ed anziani consoli.
    In Bologna, nella stamperia del Sassi, con licenza de’ superiori.
 
 Illustrissimi ed eccelsi signori,
    sotto l’ombra vostra, illustrissimi ed eccelsi signori, comparisce nelle pubbliche scene questo giocoso dramma che di condecorare in quella miglior guisa che le forze nostre consentono abbiam noi procurato. Mai però, lo sappiam, sarà egli tale che sufficiente testimonianza renda di quell’ossequio che a tributarvelo ci conduce; e chi tra l’elevazione del grado e de’ meriti vostri e la bassezza di tale offerta oserebbe parlare di proporzioni? D’uop’è che la bontà vostra or si distingua e dall’un canto discendendo ad accettare il dono, dall’altro del favor vostro l’offerta graziando, quella illustriate e l’animo nostro ricrear vogliate ed eriggere a più belle speranze. Degnatevi, illustrissimi ed eccelsi signori ai prieghi che ve ne facciamo nell’atto di umilissimamente dedicarci di voi illustrissimi ed eccelsi signori umilissimi divotissimi ed ossequiosissimi servidori.
 
    Gl’impresari
    Bologna, 17 febraro 1770
 
 
 PERSONAGGI
 
 PARTI BUFFE
 
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (signora Angiola Davia di Parma, virtuosa di sua altezza serenissima il langravio d’Assia Cassel)
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (signor Giovanni Battista Brusa di Venezia)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (signor Antonio Tomasini di Urbino)
 LENA nipote di Nardo
 (signora Margherita Parisini di Roma)
 CAPOCCHIO notaro di villa
 (signor Petronio Vecchi di Bologna)
 
 PARTI SERIE
 
 RINALDO gentiluomo amante di Eugenia
 (signor Francesco Fariseli)
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (signora Maria Baccarini)
 
    La musica è del celebre signor Baldassare Galuppi detto Buranello. Li balli sono d’invenzione e direzione del signor Lodovico Ronzi eseguiti dalli seguenti: signora Teresa Cacciari, signor Gennaro Borazini, signora Maria Biseseghi detta la Vicinelli, signor Antonio Cipriani, signora Francesca Vicenzi, signor Giorgio Ronzi.
    Il vestiario è di ricca e vaga invenzione del signor Pietro Antonio Biagi bolognese.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: giardino; casa rustica in campagna; salone con diverse porte.
    Nell’atto secondo: camera; casa rustica suddetta; camera suddetta.
    Nell’atto terzo: casa rustica suddetta.
 
 
 PROTESTA
 
    Tutto ciò che non è conforme ai veri sentimenti della santa romana chiesa cattolica è solo puro scherzo di poesia e non sentimento dell’autore che si dichiara vero cattolico.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini e LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Ohimè...
 LESBINA
                                      V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valer per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Al caro bene accanto
 dir li vorrei: «T’adoro».
55Ma poi languisco e moro
 e non mi so spiegar.
 
    Ah non vorrei tacendo
 perder il tempo invano;
 ah non vorrei parlando
60tornare a sospirar. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore.
 Di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito).
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito).
 LESBINA
80Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra un fior novello.
 
    Quando son giovine,
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon odor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
 non son più buono
 col mio fragor.
 
 DON TRITEMIO
90Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella,
 mangiatemi presto;
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
110or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogn’erba si contenti
120d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello;
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppur io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
140liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice).
 DON TRITEMIO
145Per la villa si dice
 che Nardo ha un buon stato
 e da tutti filosofo è chiamato.
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
150le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare.
 Son cavaliere e sono i beni miei
155vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signore.
 RINALDO
                                                       Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma! Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
160per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
165mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
170le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volontieri.
 
175   La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
180Non posso dir di sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
185perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
190Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
195ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci, amor, nel seno mio,
 finché parla il giusto sdegno;
 o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar.
 
200   Fido amante, è ver, son io;
 ogni duol soffrir saprei
 ma il mio ben non soffrirei
 con viltate abbandonar.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga, accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
205poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
210a podare, a seminare,
 e doppoi si mangierà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
215mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo ed il tritavolo
 e fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
220Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
225Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gli uomini ognor sempre gl’istessi;
 non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
230zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui; la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
235avete dei poderi e dei contanti;
 la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
240Colla rocca, col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volontieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
245Voi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
250qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte ed un marchese,
 perché in meno d’un mese,
255strappazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino.
 Mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata
260qual a mediocre stato si conviene,
 che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai.
 Se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
265hanno pochi quattrini e troppe voglie
 e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
270Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 così non usa?
 NARDO
                            È vero.
 Ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
275d’esser vizioso o diventar ridicolo.
 LA LENA
 Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
280con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta;
 oggi la vederò.
 LA LENA
                              Dunque chi sa
285s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio
 ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
290   Di questa poverella
 abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
295Vedete caro zio
 ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
300Movetevi a pietà.
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
305Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
310cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
315ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso;
 si sbalzi in su.
 
320   Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
325m’alzo sul ramo,
 vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù.
 
 SCENA VIII
 
 Salone in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
330ite lontan da queste soglie; oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il sovverchio rigor vi vuole oppressa;
 deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                               Ai numi il giuro,
335non sarò d’altri, se di voi non sono.
 Ah se il mio cor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
340il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
345né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
 Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
350adesso, in questo punto,
 forte, lesto e leggiadro,
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
355se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
360a me condur lasciate la facenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
365Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA e poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attacava
 prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito.
370Ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
 Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
375Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
 aspettar se v’aggrada.
 NARDO
                                          Aspetterò.
 Voi chi siete signora?
 LESBINA
                                          Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
380Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
 Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
385Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
 se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
390conosciuto a dirittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
 Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
395Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
 Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
400Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
 (Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Noi abbiamo un coresino
405pietosino tenerino,
 tutto ardore e fedeltà.
 
    Siamo buone e semplicette,
 modestine, schiette, schiette
 e voi uomini bricconi
410ci venite a corbellar;
 galeotti, questa mano
 pur avrete da baciar.
 
 SCENA XI
 
 NARDO, poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
415Finger anche potrebbe, è ver purtroppo,
 ma è un cattivo animale
 quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
420m’ha un domestico impaccio;
 vi saluto di core.
 NARDO
                                 Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
 Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
425La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
 che sperare mi fa d’essere amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato).
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
430amor col suo martello
 il cor le inteneriva
 e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     Evviva, evviva.
 Eugenia dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me son lesto.
 DON TRITEMIO
435Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
 alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
440Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai. È una stella.
 LA LENA
 È galante, è graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA