La favola de’ tre gobbi, libretto, Vienna, Ghelen, 1759 (Madama Vezzosa)

 Io commisi ad Emilio
 lo scempio tuo; quella son io che tanto
 cara ti fui per mia fatal sventura.
935Io, perfido, son quella
 che oltraggiasti in amor, quando ad Onoria
 offristi il mio consorte.
 Giacché tutto perdei, chiedo una morte.
 MASSIMO
 (Ingegnosa pietà!)
 VALENTINIANO
                                     Massimo alfine
940dove io sia più non so.
 MASSIMO
                                           Ma so ben io
 che colpevole adesso
 comincio Augusto a divenir. Son padre
 d’una figlia spergiura.
 Ah Cesare assicura
945i giorni tuoi col mio morir. Potrebbe
 il naturale affetto,
 che per la prole in ogni petto eccede,
 del padre un dì contaminar la fede.
 VALENTINIANO
 A suo piacer la sorte
950di me disponga, io m’abbandono a lei.
 Son stanco di temer. Se tanto affanno
 la vita ha da costar, no, non la curo.
 Nelle dubbiezze estreme
 per mancanza di speme io m’assicuro.
 
955   Per tutto il timore
 perigli m’addita.
 Si perda la vita,
 finisca il martire;
 è meglio morire
960che viver così.
 
    La vita mi spiace,
 se ’l fato nemico
 la speme, la pace,
 l’amante, l’amico
965mi toglie in un dì. (Parte)
 
 SCENA X
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Partì pure una volta. Ah vieni, ah lascia,
 mia speme, mio sostegno,
 cara difesa mia, che alfin t’abbracci. (Vuole abbracciar Fulvia)
 FULVIA
 Vanne, padre crudel.
 MASSIMO
                                         Perché mi scacci?
 FULVIA
970Tutte le mie sventure
 mi vengono da te. Basta ch’io seppi,
 per salvarti, accusarmi.
 Vanne, non rammentarmi
 quanto per te perdei,
975qual son io per tua colpa e qual tu sei.
 MASSIMO
 E contrastar pretendi
 al grato genitor questo d’affetto
 testimonio verace?
 Vieni... (Vuole abbracciarla)
 FULVIA
                  Ma per pietà lasciami in pace.
980Se grato esser mi vuoi, stringi quel ferro,
 svenami, o genitor. Questa mercede
 col pianto in su le ciglia
 al padre che salvò chiede una figlia.
 MASSIMO
 Frena quel tuo dolor quel pianto ingiusto,
985rasserenati o figlia, il tuo martiro
 raddolcirti saprò col dono augusto
 d’un diadema imperiale e con lo scempio
 d’un tiranno oppressor, barbaro ed empio. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 FULVIA sola
 
 FULVIA
 A chi per consolarmi
990rivolgermi poss’io? Là d’un tiranno
 l’ingrata crudeltà m’empie d’orrore;
 d’un padre traditore
 qua la colpa m’agghiaccia;
 e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
995Oh immagini funeste!
 Oh memorie! Oh martiro!
 Ed io parlo infelice ed io respiro?
 
    Ah non son io che parlo,
 è il barbaro dolore
1000che mi divide il core,
 che delirar mi fa.
 
    Non cura il ciel tiranno
 l’affanno in cui mi vedo;
 un fulmine gli chiedo
1005e un fulmine non ha. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 Campidoglio. Nell’aprirsi della scena s’ode strepito d’armi e d’istromenti militari: si vedono scender dal Campidoglio i pretoriani inseguiti da MASSIMO e da’ suoi seguaci. MASSIMO si disvia combattendo alla destra. Siegue zuffa con vantaggio de’ sollevati che rincalzano gli avversari. Sgombrata la scena de’ combattenti; esce alla destra VALENTINIANO senza manto, con spada rotta alla mano difendendosi da due congiurati. Poco dopo esce MASSIMO pur dalla destra; indi FULVIA dalla sinistra.
 
 VALENTINIANO
 Ah traditori! Amico, (A Massimo)
 soccorri il tuo signor.
 MASSIMO
                                         Fermate. Io voglio
 il tiranno svenar.
 FULVIA
                                  Padre, che fai? (Si frappone)
 MASSIMO
 Punisco un empio.
 VALENTINIANO
                                     È questa
1010di Massimo la fede?
 MASSIMO
                                        Assai finora
 finsi con te. Se ’l mio comando Emilio
 mal eseguì, per questa man cadrai.
 VALENTINIANO
 Ah iniquo!
 FULVIA
                       Al sen d’Augusto
 non passerà quel ferro,
1015se me di vita il genitor non priva.
 MASSIMO
 Cesare morirà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 EZIO e VARO con spade nude, popolo e soldati, indi ONORIA e detti
 
 EZIO E VARO
                               Cesare viva.
 FULVIA
 Ezio!
 VALENTINIANO
             Che veggo!
 MASSIMO
                                    Oh sorte! (Getta la spada)
 ONORIA
                                                        È salvo Augusto?
 VALENTINIANO
 Vedi chi mi salvò. (Accenna Ezio)
 ONORIA
                                     Duce, qual nume
 ebbe cura di te! (Ad Ezio)
 EZIO
                                 Di Varo amico
1020il zelo e la pietà.
 VALENTINIANO
                                Come?
 VARO
                                                Eseguita
 finsi di lui la morte. Io t’ingannai;
 ma in Ezio il tuo liberator serbai.
 FULVIA
 Provida infedeltà!
 EZIO
                                    Permette il cielo
 che tu debba i tuoi giorni,
1025Cesare, a questa mano
 che credesti infedel. Vivi. Io non curo
 maggior trionfo; e se ti resta ancora
 per me qualche dubbiezza in mente accolta,
 eccomi prigioniero un’altra volta. (Getta la spada)
 VALENTINIANO
1030Anima grande, eguale
 solamente a te stessa! In questo seno
 della mia tenerezza,
 del pentimento mio ricevi un pegno.
 Eccoti la tua sposa. Onoria al nodo
1035d’Attila si prepari: io so che lieta
 la tua man generosa a Fulvia cede. (Gliela rende)
 ONORIA
 È poco il sacrificio a tanta fede.
 EZIO
 Oh contento!
 FULVIA
                           Oh piacer!
 EZIO
                                                 Concedi, Augusto,
 la salvezza di Varo,
1040di Massimo la vita ai nostri prieghi.
 VALENTINIANO
 A tanto intercessor nulla si nieghi.
 CORO
 
    Della vita nel dubbio cammino
 si smarrisce l’umano pensier.
 
    L’innocenza è quell’astro divino
1045che rischiara fra l’ombre il sentier.
 
 Fine del dramma
 
 
 
 EZIO
 
 
    Rappresentato la prima volta in Roma con musica dell’Auletta nel teatro detto delle Dame, il dì 26 decembre 1728.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Ezio, capitano dell’armi imperiali sotto Valentiniano III, ritornando dalla celebre vittoria de’ campi Catalaunici, dove fugò Attila, re degli Unni, fu accusato ingiustamente d’infedeltà all’imperatore e dal medesimo condannato a morire.
    Massimo, patrizio romano, offeso già da Valentiniano per avergli tentata l’onestà della consorte, procurò l’aiuto d’Ezio per uccidere l’odiato imperatore; ma, non riuscendogli, fece crederlo reo e ne sollecitò la morte per sollevar poi, come fece, il popolo che lo amava contro Valentiniano. Tutto ciò è istorico; il resto è verisimile (Sigonio, De occidentali imperio; Prospero Aquitanio, Chronicon, eccetera).
 
 
 INTERLOCUTORI
 
 VALENTINIANO III imperatore, amante di
 FULVIA figlia di Massimo, patrizio romano, amante e promessa sposa d’
 EZIO generale dell’armi cesaree, amante di Fulvia
 ONORIA sorella di Valentiniano, amante occulta d’Ezio
 MASSIMO patrizio romano, padre di Fulvia, confidente e nemico occulto di Valentiniano
 VARO prefetto de’ pretoriani, amico d’Ezio
 
 La scena è in Roma.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte con archi trionfali ed altri apparati festivi, apprestati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio vincitore d’Attila.
 
 VALENTINIANO, MASSIMO, VARO con pretoriani e popolo
 
 MASSIMO
 Signor, mai con più fasto
 la prole di Quirino
 non celebrò d’ogni secondo lustro
 l’ultimo dì. Di tante faci il lume,
5l’applauso popolar turba alla notte
 l’ombre e i silenzi; e Roma
 al secolo vetusto
 più non invidia il suo felice Augusto.
 VALENTINIANO
 Godo ascoltando i voti
10che a mio favor sino alle stelle invia
 il popolo fedel, le pompe ammiro,
 attendo il vincitor, tutte cagioni
 di gioia a me; ma la più grande è quella
 ch’io possa offrir con la mia destra in dono
15ricco di palme alla tua figlia il trono.
 MASSIMO
 Dall’umiltà del padre
 apprese Fulvia a non bramare il soglio;
 e a non sdegnarlo apprese
 dall’istessa umiltà. Cesare imponga;
20la figlia eseguirà.
 VALENTINIANO
                                  Fulvia io vorrei
 amante più, men rispettosa.
 MASSIMO
                                                      È vano
 temer ch’ella non ami
 que’ pregi in te che l’universo ammira.
 (Il mio rispetto alla vendetta aspira).
 VARO
25Ezio s’avanza. Io già le prime insegne
 veggo appressarsi.
 VALENTINIANO
                                     Il vincitor s’ascolti;
 e sia Massimo a parte
 de’ doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono servito da Varo)
 MASSIMO
 (Io però non obblio l’ingiuria antica).
 
 SCENA II
 
 EZIO, preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori e popolo, e detti
 
 EZIO
30Signor, vincemmo. Ai gelidi Trioni
 il terror de’ mortali
 fuggitivo ritorna. Il primo io sono
 che mirasse finora
 Attila impallidir. Non vide il sole
35più numerosa strage. A tante morti
 era angusto il terreno. Il sangue corse
 in torbidi torrenti.
 Le minacce, i lamenti
 s’udian confusi; e fra i timori e l’ire
40erravano indistinti
 i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
 Né gran tempo dubbiosa
 la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
 fugge il tiranno e cede
45di tante ingiuste prede,
 impacci al suo fuggir, l’acquisto a noi.
 Se una prova ne vuoi,
 mira le vinte schiere:
 ecco l’armi, le insegne e le bandiere.
 VALENTINIANO
50Ezio, tu non trionfi
 d’Attila sol; nel debellarlo ancora
 vincesti i voti miei. Tu rassicuri
 su la mia fronte il vacillante alloro;
 tu il marzial decoro
55rendesti al Tebro; e deve
 alla tua mente, alla tua destra audace
 l’Italia tutta e libertade e pace.
 EZIO
 L’Italia i suoi riposi
 tutta non deve a me; v’è chi li deve
60solo al proprio valore. All’Adria in seno
 un popolo d’eroi s’aduna e cangia
 in asilo di pace
 l’instabile elemento.
 Con cento ponti e cento
65le sparse isole unisce;
 colle moli impedisce
 all’ocean la libertà dell’onde.
 E intanto su le sponde
 stupido resta il pellegrin che vede
70di marmi adorne e gravi
 sorger le mura, ove ondeggiar le navi.
 VALENTINIANO
 Chi mai non sa qual sia
 d’Antenore la prole? È noto a noi
 che, più saggia d’ogni altro,
75alle prime scintille
 dell’incendio crudel ch’Attila accese,
 lasciò i campi e le ville
 e in grembo al mar la libertà difese.
 So già quant’aria ingombra
80la novella cittade; e volgo in mente
 qual può sperarsi adulta,
 se nascente è così.
 EZIO
                                    Cesare, io veggo
 i semi in lei delle future imprese.
 Già s’avvezza a regnar. Sudditi i mari
85temeranno i suoi cenni. Argine all’ire
 sarà de’ regi; e porterà felice,
 con mille vele e mille aperte al vento,
 ai tiranni dell’Asia alto spavento.
 VALENTINIANO
 Gli auguri fortunati
90secondi il ciel. Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
 tu del cadente impero e mio sostegno
 prendi d’amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami, amico,
 quei doni istessi; e sappi
95che fra gli acquisti miei
 il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
 
    Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l’aquila vincitrice
100sempre tornar vedrò.
 
    Breve sarà per lei
 tutto il cammin del sole;
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi ed alcuni schiavi
 
 MASSIMO
105Ezio, donasti assai
 alla gloria e al dover; qualche momento
 concedi all’amistà; lascia ch’io stringa
 quella man vincitrice. (Massimo prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti; e caro
110m’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro.
 Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov’è? Quando ciascun s’affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
115Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
 torna il tuo sposo; e al volto tuo gran parte
 deve de’ suoi trofei. Fra l’armi e l’ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l’amor; né vinto avrei
120se premio a’ miei sudori
 erano solo i trionfali allori.
 Ma come! a’ dolci nomi
 e di sposo e d’amante
 ti veggo impallidir! Dopo la nostra
125lontananza crudel così m’accogli?
 Mi consoli così?
 FULVIA
                                (Che pena!) Io vengo...
 Signor...
 EZIO
                   Tanto rispetto,
 Fulvia, con me! Perché non dirmi fido?
 Perché sposo non dirmi? Ah! Tu non sei
130per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Oh dio! Son quella.
 Ma senti... Ah genitor, per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer.
 MASSIMO
                                        Tacqui finora,
 perché co’ nostri mali a te non volli
 le gioie avvelenar. Si vive, amico,
135sotto un giogo crudel. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
 in qualche parte almeno
140a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
 la tirannide sua mi fu nascosa.
145Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
 consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Aimè!
 MASSIMO
                                                          Qual arte,
 qual consiglio adoprar? Vuoi che l’esponga,
 negandola al suo trono,
150d’un tiranno al piacer? Vuoi che su l’orme
 di Virginio io rinnovi,
 per serbarla pudica,
 l’esempio in lei della tragedia antica?
 Ah! Tu solo potresti
155frangere i nostri ceppi,
 vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
 del popolo e dell’armi. A Roma oppressa,
 all’amor tuo tradito
 dovresti una vendetta. Alfin tu sai
160che non si svena al cielo
 vittima più gradita
 d’un empio re.
 EZIO
                              Che dici mai! L’affanno
 vince la tua virtù. Giudice ingiusto
 delle cose è il dolor. Sono i monarchi
165arbitri della terra,
 di loro è il cielo. Ogni altra via si tenti
 ma non l’infedeltade.
 MASSIMO