La favola de’ tre gobbi, libretto, Gotha, Reiher, [1767] (Li tre gobbi o sia Gli amori di madama Vezzosa)

 Romani, il vostro eroe. La gloria antica
1685rammentatevi omai; da un giogo indegno
 liberate la patria; e difendete
 dai vicini perigli
 l’onor, la vita, le consorti e i figli. (In atto di partire)
 VARO
 Massimo, ferma; e qual desio ribelle,
1690qual furor ti consiglia?
 MASSIMO
 Varo, t’accheta o al mio pensier t’appiglia.
 Chi vuol salva la patria
 stringa il ferro e mi segua. (Tutti snudan la spada) Ecco il sentiero (Accennando il Campidoglio)
 onde avrà libertà Roma e l’impero. (Parte seguito da tutti verso il Campidoglio)
 VARO
1695Che indegno! Egli la morte
 d’un innocente affretta
 e poi Roma solleva alla vendetta.
 Va’ pur; forse il disegno
 a chi lo meditò sarà funesto;
1700va’ traditor... Ma qual tumulto è questo? (S’ode brevissimo strepito di trombe e timpani)
 
    Già risonar d’intorno
 al Campidoglio io sento
 di cento voci e cento
 lo strepito guerrier.
 
1705   Che fo? Si vada e sia
 stimolo all’alma mia
 il debito d’amico,
 di suddito il dover. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 Si vedono scendere dal Campidoglio combattendo le guardie imperiali coi sollevati. Siegue zuffa, la quale terminata, esce VALENTINIANO senza manto, con ispada rotta, difendendosi da due congiurati, e poi MASSIMO colla spada alla mano, indi FULVIA
 
 VALENTINIANO
 Ah traditori! Amico, (A Massimo)
1710soccorri il tuo signor.
 MASSIMO
                                         Fermate. Io voglio
 il tiranno svenar.
 FULVIA
                                  Padre, che fai? (Fulvia si frappone)
 MASSIMO
 Punisco un empio.
 VALENTINIANO
                                     È questa
 di Massimo la fede?
 MASSIMO
                                        Assai finora
 finsi con te. Se il mio comando Emilio
1715mal eseguì, per questa man cadrai.
 VALENTINIANO
 Ah iniquo!
 FULVIA
                       Al sen d’Augusto
 non passerà quel ferro,
 se me di vita il genitor non priva.
 MASSIMO
 Cesare morirà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 EZIO e VARO con ispade nude, popolo e soldati, indi ONORIA, e detti
 
 EZIO e VARO
                               Cesare viva.
 FULVIA
1720Ezio!
 VALENTINIANO
             Che veggo!
 MASSIMO
                                    Oh sorte! (Getta la spada)
 ONORIA
                                                        È salvo Augusto?
 VALENTINIANO
 Vedi chi mi salvò! (Accenna Ezio)
 ONORIA
                                     Duce, qual nume
 ebbe cura di te? (Ad Ezio)
 EZIO
                                  Di Varo amico
 il zelo e la pietà.
 VALENTINIANO
                                Come?
 VARO
                                                Eseguita
 finsi di lui la morte; io t’ingannai;
1725ma in Ezio il tuo liberator serbai.
 FULVIA
 Provvida infedeltà!
 EZIO
                                      Permette il cielo
 che tu debba i tuoi giorni,
 Cesare, a questa mano
 che credesti infedel. Vivi; io non curo
1730maggior trionfo; e se ti resta ancora
 per me qualche dubbiezza in mente accolta,
 eccomi prigioniero un’altra volta.
 VALENTINIANO
 Anima grande, eguale
 solamente a te stessa! In questo seno
1735della mia tenerezza,
 del pentimento mio ricevi un pegno;
 eccoti la tua sposa. Onoria al nodo
 d’Attila si prepari; io so che lieta
 la tua man generosa a Fulvia cede.
 ONORIA
1740È poco il sacrificio a tanta fede.
 EZIO
 Oh contento!
 FULVIA
                           Oh piacer!
 EZIO
                                                 Concedi, Augusto,
 la salvezza di Varo,
 di Massimo la vita ai nostri prieghi.
 VALENTINIANO
 A tanto intercessor nulla si nieghi.
 CORO
 
1745   Della vita nel dubbio cammino
 si smarrisce l’umano pensier.
 
    L’innocenza è quell’astro divino
 che rischiara fra l’ombre il sentier.
 
 FINE
 
 
 
 LA FAVOLA DE’ TRE GOBBI
 
 
    Intermezzo per musica da cantarsi nel teatro Giustinian di San Moisè nel carnovale dell’anno 1749.
    In Venezia, MDCCXLIX, appresso Modesto Fenzo, con licenza de’ superiori.
 
 
 ATTORI
 
 MADAMA VEZZOSA
 (la signora Maria Angela Paganini)
 IL MARCHESE PARPAGNACCO
 (il signor Carlo Paganini)
 IL CONTE BELLAVITA
 (il signor Francesco Carattoli)
 IL BARON MACACCO TARTAGLIA
 (il signor Giuseppe Cosimi)
 
 
 Amico lettore,
    la mia benemerita signora nonna, quand’io ero bambino, mi raccontava delle novelle, o siano fole, che in veneziano si dicon fiabe. Fra l’altre mi raccontò parecchie volte quella bellissima dei tre gobbi che poi mi è sempre restata in mente e che ora ho scelta per argomento del presente intermezzo. Questa novella, o sia fiaba, dovrebb’essere a tutti nota, poiché quasi da tutti si rammemora allora specialmente che, non avendo in pronto materia su cui ragionare, suol dirsi: «Raccontiamoci quella delli tre gobbi». Ciò nonnostante non essendo ella stata in que’ tempi da verun valente uomo a perpetua memoria scritta e registrata, si è quasi smarrita la tradizione, conservata felicemente dalla mia sudetta signora nonna. Vi è chi ha preteso di ravvivarla nelle Novelle arabe ma quella non è la legitima, mentre, molto prima che uscissero alla luce tali novelle, passava per bocca delle donne e dei bambini la favola dei tre gobbi. Mi diceva dunque la buona vecchia così: «Era una volta una certa donna, chiamata Vezzosa, della quale erano innamorati tre gobbi; e così...» Ma che occorre che mi vada faticando a nararla in prosa, s’ella è già scritta in versi. Chi vuol sapere la favola dei tre gobbi legga il mio intermezzo; e chi non crede che questa sia la vera esca fuori con altra tradizione tanto autentica quanto la mia e mi rimproveri di mendace. Tre gobbi innamorati di una donna! Oh bella favola! Una donna adesca tre uomini! Oh bella istoria!
 
 
 PARTE PRIMA
 
 Camera con due porte.
 
 Madama VEZZOSA con un servitore
 
 MADAMA
 
    Sì lo so, non replicar,
 tutti muoiono per me;
 poverini! Sai perché?
 
    Perch’io sono la Vezzosa,
5tutta grazia e spiritosa.
 Che! Tu ridi? Ignorantaccio!
 Chiedi a tutta la città
 se dich’io la verità.
 
 Per tutte le botteghe
10so che di me si parla,
 per le vie, per le piazze e per le case;
 in ogn’angolo alfin della città
 non si fa che parlar di mia beltà.
 Io però non son pazza;
15non mi fo vagheggiar per ambizione;
 non cerco cicisbei belli e graziosi
 ma ricchi, di buon core e generosi,
 so che la gioventù passa e non dura,
 onde chi non procura
20per tempo stabilir la sua fortuna
 arriva la vechiezza
 ed allora può dirsi: «Addio bellezza». (Torna il servo e gli parla piano)
 Come? Chi è? Il marchese Parpagnacco;
 venga, venga, è padrone. (Parte il servo)
25Costui fa il signorone,
 benché nato villan, ma non importa;
 in oggi chi ha denaro in quantità
 porta nel suo taschin la nobiltà. (Vien il marchese Parpagnacco)
 PARPAGNACCO
 Riverente m’inchino
30a quella bella grazia
 che di farmi languir non è mai sazia.
 MADAMA
 Io faccio riverenza
 a quei vezzosi rai
 che di farmi penar non cessan mai.
 PARPAGNACCO
35Ah madama Vezzosa,
 siete molto graziosa!
 MADAMA
 Ah Parpagnacco mio,
 siete tutto bellezza e tutto brio!
 PARPAGNACCO
 Non dico per lodarmi
40ma dacché son marchese
 faccio meravigliar tutto il paese.
 Quand’ero alla montagna
 d’essere mi pareva un contadino,
 ora d’esser mi pare un ballarino.
 MADAMA
45Certo che un uomo siete
 veramente ben fatto.
 V’è un certo non so che dietro la schiena;
 ma è una cosa da niente e non dà pena.
 PARPAGNACCO
 Sì, vi dirò il perché, come ricolma
50di pesanti pensieri ho la mia mente
 par che il dorso s’incurvi e non è niente.
 MADAMA
 Niente, niente, signor, lo dico anch’io.
 Anzi grazia gli dà quel monticello
 e poi chi ha del dinaro è sempre bello.
 PARPAGNACCO
55Denar? Voi lo sapete,
 feudi, ville, campagne,
 palazzi, servitù, sedie e carozze,
 ori, argenti, diamanti e ricche spoglie
 non mi mancano mai. Voi lo sapete,
60io possiedo un tesoro.
 MADAMA
 (Certamente ha costui la gobba d’oro).
 PARPAGNACCO
 Una cosa mi manca.
 MADAMA
                                        E cosa è mai?
 Lei ha feudi e campagne,
 palazzi, servitù, sedie e carrozze,
65ori, argenti, diamanti e ricche spoglie.
 PARPAGNACCO
 Mi manca... lo dirò... una bella moglie.
 MADAMA
 Ritrovarla conviene; una tal donna
 sarà ben fortunata.
 Se la trovi, signore.
 PARPAGNACCO
                                      Io l’ho trovata.
 MADAMA
70E chi è mai? E chi è mai? Sarà sicuro
 giovine, com’è lei, graziosa e bella.
 PARPAGNACCO
 Lo volete saper? Voi siete quella.
 MADAMA
 Io? Da vero! Lo credo? Oh me felice!
 Oh che sorte! Oh che grazia! Oh che contento,
75quas’impazzir dall’allegria mi sento.
 (Se mi credi, minchion, la sbagli affé.
 Voglio la borsa tua, non voglio te).
 PARPAGNACCO
 Questa vostra allegrezza
 m’empie il cor di dolcezza;
80sudo, smanio e deliro;
 rido per il contento e poi sospiro.
 
    Quegli occhietti belli belli
 m’hanno fatto innamorar;
 quei labretti cari cari
85mi potrebbero consolar.
 Quel ch’io vedo e ch’io non vedo
 mi fa sempre sospirar.
 
    Occhi vezzosi,
 labri amorosi,
90via non mi fate
 più delirar.
 
    Di penar son ormai stracco,
 del mio mal chiedo pietà.
 Il marchese Parpagnacco
95di madama ognor sarà.
 
    Sì, vezzosetta,
 cara, caretta,
 non saprei... non vorrei...
 che m’avesse ad ingannar.
 
 MADAMA
100Io ingannarvi, signor? Mi meraviglio,
 in casa mia non vien nessun al mondo;
 io non sono di quelle... Eh faccia grazia,
 dove ha comprato mai quel bel diamante,
 spiritoso e brillante?
105Certamente è un incanto!
 PARPAGNACCO
 Le piace?
 MADAMA
                     Signorsì, mi piace tanto.
 PARPAGNACCO
 Padrona.
 MADAMA
                    Meraviglio.
 PARPAGNACCO
                                           Eh via.
 MADAMA
                                                           No certo.
 PARPAGNACCO
 Mi fa torto.
 MADAMA
                        Ma poi... Non vuo’, non vuo’.
 PARPAGNACCO
 Eh lo prenda...
 MADAMA
                              Via, via, lo prenderò...
 PARPAGNACCO
110Dunque, mia cara sposa... (Viene il servo)
 MADAMA
                                                   Con licenza,
 il barone Macacco
 mi viene a visitar? Non so che dire,
 farlo indietro tornar non è creanza.
 Venga pur, ch’io l’attendo in questa stanza.
115Oh gioia mia diletta, (Parte il servo)
 son imbrogliata assai. Vien mio fratello,
 uomo senza cervello e assai manesco,
 se vi vede con me voi state fresco.
 PARPAGNACCO
 Dunque che deggio far?
 MADAMA
                                              Io vi consiglio,
120per fuggir il periglio,
 nascondervi colà.
 PARPAGNACCO
                                  Poi, se mi trova?
 MADAMA
 Lasciate far a me.
 Difendervi prometto.
 PARPAGNACCO
 Che mi spiani la gobba io già m’aspetto. (Si ritira in una camera)
 MADAMA
125Vi vuol un po’ d’ingegno
 a far l’amor con questo e con quell’altro
 e vi vuol pronto labro ed occhio scaltro. (Viene il Maccaco)
 MACACCO
 Ma... ma... ma... ma... ma... ma... ma... ma... madama
 vi chie... chiedo perdono.
 MADAMA
130Del barone Macacco io serva sono.
 MACACCO
 Cosa fa... fa... fa... fa... fate?
 MADAMA
 Io sto be... be... be... bene.
 MACACCO
 Non mi co... co... co... co... corbellate.
 MADAMA
 Pensi lei; signorsì,
135parl’anch’io qualche volta co... così.
 MACACCO
 Io son inna... na... na... na... na... namorato
 di voi, mia be... be... bella,
 viver non po... po... posso
 senza chia... chia... chia... chia... chiamar aita
140da voi che che che siete la mia vita.
 MADAMA
 (Che ti venga la rabbia.
 Oh che bella figura!
 Questo può dirsi un mostro di natura).
 MACACCO
 Le raga... ga... ga... ga... gazze
145mi co... co... corron dietro.
 Vorrian ch’io fo... fo... fo... fo... fo... follemente
 le amassi ma non fa... fa... fa... fanno niente.
 
    Sono ancora raga... gazzo,
 non ci penso un ca... ca... cavolo,
150le ma... mando tutte al diavolo
 queste donne bu... bugiarde
 e maliarde se... senza pietà.
 
    Per voi sola divengo pa... pazzo
 e vi voglio be... be... be... be... bene,
155di ca... ca... ca... ca... cavarmi di pene
 mi farete la ca... carità.
 
 MADAMA
 Caro signor Macacco,
 quando lei fosse sposo,
 sarebbe poi geloso?
 MACACCO
                                       Pe... pensate.
160Vorrei che la mia sposa
 fosse co... co... co... co... corteggiata
 e spiritosa chia... chia... chia... chiamata.
 MADAMA
 Non vi saria pericolo
 che gli facesse torto,
165poiché più bel di lei
 che si trovi nel mondo io non saprei.
 MACACCO
 Io sono ben fa... fatto,
 son be... be... be... be... bello in conclusione
 e non son un co... co... co... co... cornachione.
 MADAMA
170(Che faccia di ca... ca... ca... ca... castrone). (Viene il servo)
 Mi permette? (A Macacco)
 MACACCO
                              Sì sì, signora sì.
 MADAMA
 Oh questa è bella affé.
 Se quest’altro sen vien saranno tre.
 (Sì sì, veng’ancor lui,
175soggezion non mi prendo di costui). (Parte il servo)
 Giacché non è geloso,
 caro signor barone,
 con buona permissione
 un altro cavalier vuol visitarmi,
180onde la prego in libertà lasciarmi.
 MACACCO
 Fa... fa... fa... fa... fate pure,
 so anch’i... ch’io la usanza,
 mi mi mi riti... tiro in questa stanza. (Entra in un’altra camera)
 MADAMA
 Questo sarebbe il caso
185per una cui piacesse
 di vivere al gran mondo.
 Ha la vita piegata e il capo tondo.
 IL CONTE
 Al volto porporino
 di madama graziosa umil m’inchino.
 MADAMA
190Io dalle grazie sue resto stordita
 e riverisco il conte Bellavita.
 IL CONTE
 Di me non vi dolete,
 se tardi mi vedete.
 Sono stato finor da certe dame,
195che vogliono ballar con fondamento,
 a insegnarle di vita il portamento.
 MADAMA
 Già si sa, già si vede;
 la sua vita ben fatta è cosa rara;
 vezzi e grazie da lei ciascuno impara.
 IL CONTE
200Veda, signora mia,
 osservi in cortesia;
 questi due monticelli,
 ch’io tengo uno per parte,
 son fatti con tal arte
205ch’uno coll’altro in equilibrio accorda
 e sembro appunto un ballarin da corda.