La favola de’ tre gobbi, libretto, Berlino, Haude e Spener, 1754 (Potsdam, I tre gobbi)

 io da te meritai questa mercede?
 Vedi, amico, qual fede
1185la tua figlia mi serba?
 MASSIMO
                                           Indegna, e dove
 imparasti a tradir? Così del padre
 la fedeltade imiti? E quando avesti
 questi esempi da me?
 FULVIA
                                           Lasciami in pace,
 padre, non irritarmi; è sciolto il freno.
1190Se m’insulti, dirò...
 MASSIMO
                                      Taci o il tuo sangue...
 VALENTINIANO
 Massimo, ferma; io meglio
 vendicarmi saprò. Giacché m’abborre,
 giacché le sono odioso,
 voglio per tormentarla esserle sposo.
 FULVIA
1195Non lo sperar.
 VALENTINIANO
                             Ch’io non lo speri? Infida,
 non sai quanto potrò...
 FULVIA
                                            Potrai svenarmi
 ma per farmi temer debole or sei.
 Han vinto ogni timore i mali miei.
 
    La mia costanza
1200non si sgomenta,
 non ha speranza,
 timor non ha.
 
    Son giunta a segno
 che mi tormenta
1205più del tuo sdegno
 la tua pietà. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 MASSIMO
 (Or giova il simular). No, non sia vero
 che per vergogna mia viva costei.
 Cesare, io corro a lei,
1210voglio passarle il cor.
 VALENTINIANO
                                         T’arresta, amico.
 S’ella muore, io non vivo. Ancor potrebbe
 quell’ingrata pentirsi.
 MASSIMO
                                           Al tuo comando
 con pena ubbidirò. Troppo a punirla
 il dover mi consiglia.
 VALENTINIANO
1215Perché simile a te non è la figlia?
 MASSIMO
 
    Col volto ripieno
 di tanto rossore
 più calma nel seno,
 più pace non ho.
 
1220   Oh quanti diranno
 che ’l perfido inganno
 dal suo genitore
 la figlia imparò! (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 VALENTINIANO
 
 VALENTINIANO
 Sdegno, amor, gelosia, cure d’impero
1225che volete da me? Nemico e amante
 e timido e sdegnato a un punto io sono;
 e intanto non punisco e non perdono.
 Ah! Lo so ch’io dovrei
 obbliar quell’ingrata. Ella è cagione
1230d’ogni sventura mia. Ma di tentarlo
 neppure ardisco; e da una forza ignota
 così mi sento oppresso
 che non desio di superar me stesso.
 
    Che mi giova impero e soglio,
1235s’io non voglio uscir d’affanni,
 s’io nutrisco i miei tiranni
 negli affetti del mio cor?
 
    Che infelice al mondo io sia,
 lo conosco, è colpa mia;
1240non è colpa dello sdegno,
 non è colpa dell’amor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto che conducono a diverse prigioni con guardie a vista su la porta de’ detti cancelli.
 
 ONORIA, indi EZIO con catene
 
 ONORIA
 Ezio qui venga. È questa gemma il segno (Alla guardia che parte)
 del cesareo volere. Il suo periglio
 mi fa più amante; e la pietà, ch’io sento
1245nel vederlo infelice,
 tal fomento è all’amor ch’io non so come
 si forma nel mio petto
 di due diversi affetti un solo affetto.
 Eccolo. Oh come altero,
1250come lieto s’avanza!
 O quell’alma è innocente o non è vero
 che immagine dell’alma è la sembianza. (Si apre uno de’ cancelli, dal quale esce Ezio, restando le due guardie presso al detto cancello)
 EZIO
 Questi del tuo germano
 son, principessa, i doni. Avresti mai (Mostrando le catene)
1255potuto immaginarlo? In pochi istanti
 tutto cangiò per me. Cinto d’allori
 del giorno al tramontar tu mi vedesti;
 e poi co’ lacci intorno
 tu mi rivedi all’apparir del giorno.
 ONORIA
1260Ezio, qualunque nasce alle vicende
 della sorte è soggetto. Il primo esempio
 dell’incostanza sua, duce, non sei.
 L’ingiustizia di lei
 tu potresti emendar. Per mia richiesta
1265Cesare l’ira sua tutta abbandona;
 t’ama, ti vuole amico e ti perdona.
 EZIO
 E ’l crederò?
 ONORIA
                          Sì; né domanda Augusto
 altra emenda da te che il suo riposo.
 Del tentativo ascoso
1270scopri la trama e appieno
 libero sei. Può domandar di meno?
 EZIO
 Non è poca richiesta. Ei vuol ch’io stesso
 m’accusi per timore; ei vuole a prezzo
 dell’innocenza mia
1275generoso apparir. Sa la mia fede;
 prova rossor nell’oltraggiarmi a torto;
 perciò mi vuole o delinquente o morto.
 ONORIA
 Dunque con tanto fasto
 lo sdegno tuo giustificar non dei;
1280e se innocente sei, placide, umili
 sian le tue scuse. A lui favella in modo
 che non possa incolparti,
 che non abbia coraggio a condannarti.
 EZIO
 Onoria, per salvarmi
1285ad esser vile io non appresi ancora.
 ONORIA
 Ma sai che corri a morte?
 EZIO