La favola de’ tre gobbi, libretto, Milano, Malatesta, 1750

 tutto il resto ascoltar ch’io dir potrei.
 VALENTINIANO
 Che diresti?
 EZIO
                          Direi
 che produce un tiranno
1105chi solleva un ingrato. Anche ai sovrani
 direi che desta invidia
 de’ sudditi il valor, che a te dispiace
 d’essermi debitor, che tu paventi
 in me que’ tradimenti
1110che sai di meritar quando mi privi
 d’un cor...
 VALENTINIANO
                      Superbo a questo eccesso arrivi?
 FULVIA
 (Ahimè!)
 VALENTINIANO
                     Punir saprò...
 FULVIA
                                                Soffri se m’ami
 che Fulvia parta, i vostri sdegni irrita (S’alza)
 l’aspetto mio.
 VALENTINIANO
                            No, non partir. Tu scorgi
1115che mi sdegno a ragion. Siedi e vedrai
 come un reo pertinace
 a convincer m’accingo...
 EZIO
 (Donna infedel!)
 FULVIA
                                  (Potessi dir che fingo). (Torna a sedere)
 MASSIMO
 (Tutto finor mi giova).
 VALENTINIANO
                                            Ezio, tu sei
1120d’ogni colpa innocente. Invido Augusto
 di cotesta tua gloria il tutto ha finto.
 Solo un giudizio io chiedo
 dall’eccelsa tua mente. Al suo sovrano
 contrastando la sposa,
1125il suddito è ribelle?
 EZIO
                                      E al suo vassallo
 che il prevenne in amor, quando la tolga,
 il sovrano è tiranno?
 VALENTINIANO
                                        A quel che dici
 dunque Fulvia t’amò!
 FULVIA
                                          (Che pena!)
 VALENTINIANO
                                                                   A lui
 togli, o cara, un inganno e di’ s’io fui
1130il tuo foco primiero,
 se l’ultimo sarò; spiegalo.
 FULVIA
                                                 È vero. (A Valentiniano)
 EZIO
 Ah perfida, ah spergiura! A questo colpo
 manca la mia costanza.
 VALENTINIANO
 Vedi se t’ingannò la tua speranza. (Ad Ezio)
 EZIO
1135Non trionfar di me; troppo ti fidi
 d’una donna incostante. A lei la cura
 lascio di vendicarmi; io mi lusingo
 che il proverai.
 FULVIA
                               (Né posso dir che fingo).
 MASSIMO
 (E Fulvia non si perde).
 EZIO
                                              In questo stato
1140non conosco me stesso. In faccia a lei (Fulvia cava il fazzoletto)
 mi si divide il cor. Pena maggiore,
 Massimo, da che nacqui io non provai.
 FULVIA
 (Io mi sento morir). (S’alza piangendo e vuol partire)
 VALENTINIANO
                                         Fulvia, che fai?
 FULVIA
 Voglio partir, che a tanti ingiusti oltraggi
1145più non resisto.
 VALENTINIANO
                                Anzi t’arresta e siegui
 a punirlo così.
 FULVIA
                             No, te ne priego,
 lascia ch’io vada.
 VALENTINIANO
                                  Io nol consento. Afferma
 per mio piacer di nuovo
 che sospiri per me, ch’io ti son caro,
1150che godi alle sue pene...
 FULVIA
 Ma se vero non è, s’egli è il mio bene.
 VALENTINIANO
 Che dici?
 MASSIMO
                     (Ahimè!)
 EZIO
                                         Respiro.
 FULVIA
                                                           E sino a quando
 dissimular dovrò? Finsi finora,
 Cesare, per placarti. Ezio innocente
1155salvar credei; per lui mi struggo e sappi
 ch’io non t’amo da vero e non t’amai.
 E se i miei labbri mai
 ch’io t’amo a te diranno,
 non mi credere, Augusto, allor t’inganno.
 EZIO
1160O cari accenti!
 VALENTINIANO
                              Ove son io! Che ascolto!
 Qual ardir? Qual baldanza?
 EZIO
 Vedi se t’ingannò la tua speranza. (A Valentiniano)
 VALENTINIANO
 Ah temerario, ah ingrata. Olà custodi (S’alza)
 toglietemi d’innanzi
1165quel traditor. Nel carcere più orrendo
 serbatelo al mio sdegno.
 EZIO
 Il tuo furor del mio trionfo è segno.
 Chi più di me felice? Io cederei
 per questa ogni vittoria.
1170Non t’invidio l’impero,
 non ho cura del resto,
 è trionfo leggiero
 Attila vinto a paragon di questo.
 
    Ecco alle mie catene,
1175ecco a morir m’invio.
 Sì, ma quel core è mio; (A Valentiniano)
 sì, ma tu cedi a me.
 
    Caro mio bene, addio.
 Perdona a chi t’adora.
1180So che t’offesi allora
 che io dubitai di te. (Parte con le guardie)
 
 SCENA XIV
 
 VALENTINIANO, MASSIMO e FULVIA
 
 VALENTINIANO
 Ingratissima donna, e quando mai
 io da te meritai questa mercede?
 Vedi, amico, qual fede
1185la tua figlia mi serba?
 MASSIMO
                                           Indegna, e dove
 imparasti a tradir? Così del padre
 la fedeltade imiti? E quando avesti
 questi esempi da me?
 FULVIA
                                           Lasciami in pace,
 padre, non irritarmi; è sciolto il freno,
1190se m’insulti dirò...
 MASSIMO
                                    Taci o il tuo sangue...
 VALENTINIANO
 Massimo, ferma; io meglio
 vendicarmi saprò, giacché m’abborre.
 Già che le sono odioso,
 voglio per tormentarla esserle sposo.
 FULVIA
1195Non lo sperar.
 VALENTINIANO
                             Ch’io non lo speri! Infida,
 non sai quanto potrò...
 FULVIA
                                            Potrai svenarmi
 ma per farmi temer debole or sei.
 Han vinto ogni timor i mali miei.
 
    La mia costanza
1200non si sgomenta,
 non ha speranza,
 timor non ha.
 
    Son giunta a segno
 che mi tormenta
1205più del tuo sdegno
 la tua pietà. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 MASSIMO
 (Or giova il simular). No, non fia vero
 che per vergogna mia viva costei.
 Cesare io corro a lei,
1210voglio passarle il cor.
 VALENTINIANO
                                         T’arresta, amico.
 S’ella muore, io non vivo; ancor potrebbe
 quell’ingrata pentirsi.
 MASSIMO
                                           Al tuo comando
 con pena ubbidirò. Troppo a punirla
 il dover mi consiglia.
 VALENTINIANO
1215Perché simile a te non è la figlia?
 MASSIMO
 
    Col volto ripieno
 di tanto rossore
 più calma nel seno,
 più pace non ho.
 
1220   Oh quanti diranno
 che il perfido inganno
 dal suo genitore
 la figlia imparò! (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 VALENTINIANO
 
 VALENTINIANO
 Sdegno, amor, gelosia, cure d’impero,
1225che volete da me? Nemico e amante
 e timido e sdegnato a un punto io sono
 e intanto non punisco e non perdono.
 Ah lo so ch’io dovrei
 obbliar quell’ingrata. Ella è cagione
1230d’ogni sventura mia. Ma di tentarlo
 né pure ardisco; e da una forza ignota
 così mi sento oppresso
 che non desio di superar me stesso.
 
    Che mi giova impero e soglio,
1235s’io non voglio uscir d’affanni,
 s’io nutrisco i miei tiranni
 negli affetti del mio cor?
 
    Che infelice al mondo io sia,
 lo conosco, è colpa mia;
1240non è colpa dello sdegno,
 non è colpa dell’amor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto che conducono a diverse prigioni con guardie a vista su la porta de’ detti cancelli.
 
 ONORIA, indi EZIO con catene
 
 ONORIA
 Ezio qui venga. È questa gemma il segno (Alla guardia che parte)
 del cesareo volere. Il suo periglio
 mi fa più amante e la pietà ch’io sento
1245nel vederlo infelice
 tal fomento è all’amor ch’io non so come
 si forma nel mio petto
 di due diversi affetti un solo affetto.
 Eccolo! O come altero,
1250come lieto s’avanza!
 O quell’alma è innocente; o non è vero
 che imagine dell’alma è la sembianza. (Si apre uno de’ cancelli, dal quale esce Ezio, restando le due guardie presso al detto cancello)
 EZIO
 Questi del tuo germano
 son, principessa, i doni. Avresti mai (Mostrando le catene)
1255potuto imaginarlo? In pochi istanti
 tutto cangiò per me. Cinto d’allori
 del giorno al tramontar tu mi vedesti;
 e poi coi lacci intorno
 tu mi rivedi all’apparir del giorno.
 ONORIA
1260Ezio, qualunque nasce alle vicende
 della sorte è soggetto; il primo esempio
 dell’incostanza sua, duce, non sei.
 L’ingiustizia di lei
 tu potresti emendar; per mia richiesta
1265Cesare l’ira sua tutta abbandona,
 t’ama, ti vuole amico e ti perdona.
 EZIO
 E il crederò?
 ONORIA
                           Sì; né domanda Augusto
 altra emenda da te che il suo riposo.
 Del tentativo ascoso
1270scopri le trame; e appieno
 libero sei. Può domandar di meno?
 EZIO
 Non è poca richiesta; ei vuol ch’io stesso
 m’accusi per timore; ei vuole a prezzo
 dell’innocenza mia
1275generoso apparir; sa la mia fede,
 prova rossor nell’oltraggiarmi a torto,
 perciò mi vuole o delinquente o morto.
 ONORIA
 Dunque con tanto fasto
 lo sdegno suo giustificar non dei.
1280E se innocente sei, placide, umili
 sian le tue scuse; a lui favella in modo
 che non possa incolparti,
 che non abbia coraggio a condannarti.
 EZIO
 Onoria, per salvarmi
1285ad esser vile io non appresi ancora.
 ONORIA
 Ma sai che corri a morte?
 EZIO
                                                 E ben, si mora.
 Non è il peggior de’ mali
 alfin questo morir; ci toglie almeno
 dal commercio de’ rei.
 ONORIA
                                            Pensar dovresti
1290che per la patria tua poco vivesti.
 EZIO
 Il viver si misura
 dall’opre e non dai giorni. Onoria, i vili
 inutili a ciascuno, a sé mal noti,
 cui non scaldò di bella gloria il foco,
1295vivendo lunga età vissero poco.
 Ma coloro che vanno
 per l’orme ch’io segnai,
 vivendo pochi dì, vivono assai.
 ONORIA
 Se di te non hai cura,
1300abbila almen di me.
 EZIO
                                        Che dici?
 ONORIA
                                                            Io t’amo,
 più tacerlo non so; quando mi veggo
 a perderti vicina, i torti obblio
 ed è poca difesa
 alla mia debolezza il fasto mio.
 EZIO
1305Onoria, e tu sei quella
 che umiltà mi consigli? In questa guisa
 insuperbir mi fai. Potessi almeno,
 come i tuoi pregi ammiro, amarti ancora.
 Deh consenti ch’io mora; Ezio piagato
1310per altro stral ti viverebbe ingrato.
 ONORIA
 Viva ingrato, mi renda
 d’ogni speranza priva,
 mi sprezzi pur, mi sia crudel; ma viva.
 E se pur la tua vita
1315abborrisci così perché m’è cara,
 cerca almeno una morte
 che sia degna di te. Coll’armi in pugno
 mori vincendo, onde t’invidi il mondo,
 non ti compianga.
 EZIO
                                    O in carcere o fra l’armi
1320ad altri insegnerò come si mora.
 Farò invidiarmi in questo stato ancora.
 
    Guarda pria se in questa fronte
 trovi scritto alcun delitto
 e dirai che la mia sorte
1325desta invidia e non pietà.
 
    Bella prova è d’alma forte
 l’esser placida e serena
 nel soffrir l’ingiusta pena
 d’una colpa che non ha. (Parte con guardie)
 
 SCENA II
 
 ONORIA, poi VALENTINIANO
 
 ONORIA
1330Oh dio, ch’il crederebbe? Al fato estremo
 egli lieto s’appressa, io gelo e tremo.
 VALENTINIANO
 E ben, da quel superbo
 che ottenesti, o germana?
 ONORIA
                                                 Io nulla ottenni.
 VALENTINIANO
 Già lo predissi; eh si punisca. Omai
1335è viltade il riguardo.
 ONORIA
                                        E pur non posso
 crederlo reo; d’alma innocente è segno
 quella sua sicurezza.
 VALENTINIANO
                                        Anzi è una prova
 del suo delitto. Il traditor si fida
 nell’aura popolar. Vuo’ che s’uccida.
 ONORIA
1340Meglio ci pensa; Ezio è peggior nemico
 forse estinto che vivo.
 VALENTINIANO
                                          E che far deggio?
 ONORIA
 Cerca vie di placarlo; il suo segreto
 sveller da lui senza rigor procura.
 VALENTINIANO
 E qual via non tentai?
 ONORIA
                                           La più sicura.
1345Ezio per quel ch’io vedo
 è debole in amor; per questa parte
 assalirlo conviene. Ei Fulvia adora.
 Offrila all’amor suo, cedila ancora.
 VALENTINIANO
 Quanto è facile Onoria
1350a consigliare altrui fuor del periglio.
 ONORIA
 Signor, nel mio consiglio io ti propongo
 un esempio a seguir. Sappi che amante
 io sono al par di te né perdo meno.
 Fulvia è la fiamma tua, per Ezio io peno.
 VALENTINIANO
1355E l’ami?
 ONORIA
                   Sì. Nel consigliarti or vedi
 se facile son io come tu credi.
 VALENTINIANO
 Ma troppo ad eseguir duro consiglio
 mi proponi, o germana.
 ONORIA
                                              Il tuo coraggio,
 la tua virtù faccia arrossir la sorte.
1360Una donna t’insegna ad esser forte.
 VALENTINIANO
 Oh dio.
 ONORIA
                 Vinci te stesso, i tuoi vassalli
 apprendano qual sia
 d’Augusto il cor...
 VALENTINIANO
                                   Non più, Fulvia m’invia.
 Facciasi questo ancor. Se tu sapessi
1365che sforzo è il mio, quanto il cimento è duro.
 ONORIA
 Dalla mia pena il tuo dolor misuro.
 Ma soffrilo. Nel duolo
 pur è qualche piacer non esser solo.
 
    Peni tu per un’ingrata,
1370un ingrato adoro anch’io,
 è il tuo fato eguale al mio,
 è nemico ad ambi amor.
 
    Ma s’io nacqui sventurata,
 se per te non v’è speranza,
1375sia compagna la costanza
 come è simile il dolor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 VALENTINIANO, indi VARO
 
 VALENTINIANO
 Olà Varo si chiami. A questo eccesso (Una comparsa esce e parte)
 della clemenza mia se il reo non cede,
 un momento di vita
1380più lasciargli non vuo’.
 VARO
                                            Cesare.
 VALENTINIANO
                                                            Ascolta.
 Disponi i tuoi più fidi
 di questo loco in su l’oscuro ingresso.
 E se al mio fianco appresso
 Ezio non è, s’io non gli son di guida
1385quando uscir lo vedrai, fa’ che s’uccida.
 VARO
 Ubbidirò. Ma sai
 qual tumulto destò d’Ezio l’arresto?
 VALENTINIANO
 Tutto m’è noto; a questo
 già Massimo provede.
 VARO
                                           È ver, ma temo...
 VALENTINIANO
1390Eh taci, adempi il cenno e fa’ che il colpo
 cautamente succeda.
 Udisti?
 VARO
                 Intesi. (Parte)
 VALENTINIANO
                                Il prigionier qui rieda. (Alle guardie de’ cancelli)
 Tacete o sdegni miei, l’odio sepolto
 resti nel cor, non comparisca in volto.
 
1395   Colle procelle in seno
 sembri tranquillo il mar
 e un zeffiro sereno
 col placido spirar
 finga la calma.