La favola de’ tre gobbi, libretto, Torino, Cafasso, [1750] (I tre gobbi rivali in amore)

 sono immensi con te. Volle il germano
 avvilir la mia mano
 sino alla tua; ma tu però più giusto
 d’esserne indegno hai persuaso Augusto.
 EZIO
555No, l’obbligo d’Onoria
 questo non è. L’obbligo grande è quello
 ch’io fui cagion nel conservarle il soglio
 ch’or mi possa parlar con questo orgoglio.
 ONORIA
 È ver, ti deggio assai, perciò mi spiace
560che ad onta mia mi rendano le stelle
 al tuo amore infelice
 di funeste novelle apportatrice.
 Fulvia, ti vuol sua sposa (A Fulvia)
 Cesare al nuovo dì.
 FULVIA
                                      Come?
 EZIO
                                                      Che sento!
 ONORIA
565Di recartene il cenno
 egl’istesso or m’impose. Ezio, dovresti
 consolartene alfin; veder soggetto
 tutto il mondo al suo ben pure è diletto.
 EZIO
 Ah questo è troppo. A troppo gran cimento
570d’Ezio la fedeltà Cesare espone.
 Qual dritto, qual ragione
 ha sugli affetti miei? Fulvia rapirmi?
 Disprezzarmi così? Forse pretende
 ch’io lo sopporti? O pure
575vuol che Roma si faccia
 di tragedie per lui scena funesta?
 ONORIA
 Ezio minaccia e la sua fede è questa?
 EZIO
 
    Se fedele mi brama il regnante,
 non offenda quest’anima amante
580nella parte più viva del cor.
 
   Non si lagni se in tanta sventura
 un vassallo non serba misura,
 se il rispetto diventa furor. (Parte)
 
 SCENA XII
 
 ONORIA e FULVIA
 
 FULVIA
 A Cesare nascondi,
585Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele.
 Parla così da disperato amante.
 ONORIA
 Mostri, Fulvia, al sembiante
 troppa pietà per lui, troppo timore.
 Fosse mai la pietà segno d’amore?
 FULVIA
590Principessa, m’offendi. Assai conosco
 a chi deggio l’affetto.
 ONORIA
 Non ti sdegnar così, questo è un sospetto.
 FULVIA
 Se prestar si dovesse
 tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
595dubitar ne faria. Da’ sdegni tuoi
 come soffri un rifiuto anch’io m’avvedo;
 dovrei crederti amante; e pur nol credo.
 ONORIA
 Anch’io, quando m’oltraggi
 con un sospetto al fasto mio nemico,
600dovrei dirti arrogante; e pur nol dico.
 
    Ancor non premi il soglio
 e già nel tuo sembiante
 sollecito l’orgoglio
 comincia a comparir.
 
605   Così tu mi rammenti
 che i fortunati eventi
 son più d’ogni sventura
 difficili a soffrir. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 FULVIA sola
 
 FULVIA
 Via, per mio danno aduna
610o barbara fortuna
 sempre nuovi disastri. Onoria irrita,
 rendi Augusto geloso, Ezio infelice;
 toglimi il padre ancor. Toglier giammai
 l’amor non mi potrai, che a tuo dispetto
615sarà per questo core
 trionfo di costanza il tuo rigore.
 
    Finché un zeffiro soave
 tien del mar l’ira placata,
 ogni nave è fortunata,
620è felice ogni nocchier.
 
    È ben prova di coraggio
 incontrar l’onde funeste,
 navigar fra le tempeste
 e non perdere il sentier.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
  Orti palatini corrispondenti agli appartamenti imperiali con viali, spalliere di fiori e fontane continuate; in fondo caduta d’acque e innanzi grotteschi e statue.
 
 MASSIMO e poi FULVIA
 
 MASSIMO
625Qual silenzio è mai questo! È tutto in pace
 l’imperiale albergo; in Oriente
 rosseggia il nuovo giorno;
 e pur ancor d’intorno
 suon di voci non odo, alcun non miro.
630Dovrebbe pure Emilio
 aver compito il colpo. Ei mi promise
 nel tiranno punir tutti i miei torti
 e pigro...
 FULVIA
                    Ah genitor!
 MASSIMO
                                           Figlia, che porti?
 FULVIA
 Che mai facesti!
 MASSIMO
                                 Io nulla feci.
 FULVIA
                                                          Oh dio!
635Fu Cesare assalito. Io già comprendo
 donde nasce il pensier. Padre, tu sei
 che spingi a vendicarti
 la man che l’assalì.
 MASSIMO
 Ma Cesare morì?
 FULVIA
                                   Pensa a salvarti.
640Già di guerrieri e d’armi
 tutto il soggiorno è cinto.
 MASSIMO
 Dimmi se vive o se rimase estinto.
 FULVIA
 Nol so; nulla di certo
 compresi nel timor.
 MASSIMO
                                       Sei pur codarda.
645Vado a chiederlo io stesso. (In atto di partire, s’incontra in Valentiniano)
 
 SCENA II
 
 VALENTINIANO senza manto e senza lauro, con spada nuda e seguito di pretoriani, e detti
 
 VALENTINIANO
 Ogni via custodite ed ogni ingresso. (Parlando ad alcuni soldati che partono)
 MASSIMO
 (Egli vive! Oh destin!)
 VALENTINIANO
                                            Massimo, Fulvia,
 chi creduto l’avria?
 MASSIMO
                                      Signor, che avvenne?
 VALENTINIANO
 Ah maggior fellonia mai non s’intese!
 FULVIA
650(Misero genitor!) (Da sé)
 MASSIMO
                                    (Tutto comprese).
 VALENTINIANO
 Di chi deggio fidarmi? I miei più cari
 m’insidiano la vita.
 MASSIMO
 (Ardir). Come! E potrebbe
 un’anima sì rea trovarsi mai!
 VALENTINIANO
655Massimo, e pur si trova e tu lo sai.
 MASSIMO
 Io!
 VALENTINIANO
         Sì, ma il ciel difende
 le vite de’ monarchi. Emilio invano
 trafiggermi sperò; nel sonno immerso
 credea trovarmi e s’ingannò. L’intesi
660del mio notturno albergo
 l’ingresso penetrare. a’ dubbi passi,
 al tentar delle piume
 previdi un tradimento. In piè balzai,
 strinsi un acciar; contro il fellon che fugge
665fra l’ombre i colpi affretto; accorre al grido
 stuol di custodi e delle aperte logge
 mi veggo al lume inaspettato e nuovo
 sanguigno il ferro, il traditor non trovo.
 MASSIMO
 Forse Emilio non fu.
 VALENTINIANO
                                        La nota voce
670ben riconobbi al grido, onde si dolse
 allor che lo piagai.
 MASSIMO
                                    Ma per qual fine
 un tuo servo arrischiarsi al colpo indegno?
 VALENTINIANO
 Il servo lo tentò, d’altri è il disegno.
 FULVIA
 (Oh dio!)
 MASSIMO
                     Lascia ch’io vada
675in traccia del fellon. (In atto di partire)
 VALENTINIANO
                                        Cura è di Varo.
 Tu non partire.
 MASSIMO
                               (Ah son perduto!) Io forse
 meglio di lui potrò...
 VALENTINIANO
                                        Massimo, amico,
 non lasciarmi così; se tu mi lasci,
 donde spero consiglio e donde aita?
 MASSIMO
680T’ubbidisco. (Io respiro).
 FULVIA
                                                 (Io torno in vita).
 MASSIMO
 Ma chi del tradimento
 tu credi autor?
 VALENTINIANO
                              Puoi dubitarne? In esso
 Ezio non riconosci? Ah se mai posso
 convincerlo abbastanza, i giorni suoi
685l’error mi pagheranno.
 FULVIA
 (Mancava all’alma mia quest’altro affanno).
 MASSIMO
 Io non so figurarmi
 in Ezio un traditor. D’esserlo almeno
 non ha ragion. Benignamente accolto...
690applaudito da te... come avria core?
 È ben ver che l’amore,
 l’ambizion, la gelosia, la lode
 contaminan talor d’altrui la fede.
 Ezio amato si vede,
695è pien d’una vittoria,
 arbitro è delle schiere...
 Eh potrebbe scordarsi il suo dovere.
 FULVIA
 Tu lo conosci ed in tal guisa, o padre,
 parli di lui?
 MASSIMO
                         Son d’Ezio amico, è vero,
700ma suddito d’Augusto.
 VALENTINIANO
                                            E Fulvia tanto
 difende un traditore? Ah che ’l sospetto
 del geloso mio cor vero diviene.
 MASSIMO
 Credi Fulvia capace
 d’altro amor che del tuo? T’inganni; in lei
705è pietà la difesa e non amore.
 La minaccia, l’orrore
 di castigo e di morte
 la fanno impietosir. Del sesso imbelle
 la natia debolezza ancor non sai?
 
 SCENA III
 
 VARO e detti
 
 VARO
710Cesare, invano il traditor cercai.
 VALENTINIANO
 Ma dove si celò?
 VARO
                                 La nostra cura
 non poté rinvenirlo.
 VALENTINIANO
                                       E deggio in questa
 incertezza restar? Di chi fidarmi?
 Di chi temer? Stato peggior del mio
715vedeste mai?
 MASSIMO
                            Ti rassicura. Un colpo,
 che a vuoto andò, del traditor scompone
 tutta la trama. Io cercherò d’Emilio;
 io veglierò per te. Del tutto ignoto
 l’insidiator non è. Per tua salvezza
720d’alcuno intanto assicurar ti puoi.
 VALENTINIANO
 Deh m’assistete; io mi riposo in voi.
 
    Vi fida lo sposo,
 vi fida il regnante,
 dubbioso ed amante
725la vita e l’amor.
 
    Tu, amico, prepara (A Massimo)
 soccorso ed aita;
 tu serbami, o cara,
 gli affetti del cor. (A Fulvia e parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA IV
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 FULVIA
730E puoi d’un tuo delitto
 Ezio incolpar? Chi ti consiglia, o padre?
 MASSIMO
 Folle! La sua ruina
 è riparo alla mia. Della vendetta
 mi agevola il sentier. S’ei resta oppresso
735non ha difesa Augusto. Or vedi quanto
 è necessaria a noi. Troppo maggiore
 d’un femminil talento
 questa cura saria. Lasciane il peso
 a chi di te più visse
740e più saggio è di te.
 FULVIA
                                      Dunque ti renda
 l’età più giusto ed il saper.
 MASSIMO
                                                   Se tento
 l’onor mio vendicar, non sono ingiusto.
 E se lo fossi ancor presa è la via;
 ed a ritrarne il piè tardi saria.
 FULVIA
745Non è mai troppo tardi onde si rieda
 per le vie di virtù. Torna innocente
 chi detesta l’error.
 MASSIMO
                                    Posso una volta
 ottener che non parli? Alfin che brami?
 Insegnar mi vorresti
750ciò che da me apprendesti? O vuoi ch’io serva
 al tuo debole amor? Fulvia, raffrena
 i tuoi labbri loquaci;
 e in avvenir non irritarmi e taci.
 FULVIA
 Ch’io taccia e non t’irriti allor che veggio
755il monarca assalito,
 te reo del gran misfatto, Ezio tradito?
 Lo tolleri chi può; d’ogni rispetto
 o mi disciogli o quando
 rispettosa mi vuoi, cangia il comando.
 MASSIMO
760Ah perfida! Conosco
 che vuoi sacrificarmi al tuo desio.
 Va’; dell’affetto mio,
 che nulla ti nascose, empia, t’abusa;
 e per salvar l’amante, il padre accusa.
 
765   Va’ dal furor portata,
 palesa il tradimento;
 ma ti sovvenga, ingrata,
 il traditor qual è.
 
    Scopri la frode ordita;
770ma pensa in quel momento
 ch’io ti donai la vita,
 che tu la togli a me. (Parte)
 
 SCENA V
 
 FULVIA, poi EZIO
 
 FULVIA
 Che fo? Dove mi volgo? Egual delitto
 è il parlar e il tacer? Se parlo, oh dio!
775son parricida e nel pensarlo io tremo.
 Se taccio, al giorno estremo
 giunge il mio bene. Ah che all’idea funesta
 s’agghiaccia il sangue e intorno al cor s’arresta.
 Ah qual consiglio mai...
780Ezio, dove t’inoltri? Ove ten vai? (Vedendo Ezio)
 EZIO
 In difesa d’Augusto. Intesi...
 FULVIA
                                                      Ah fuggi.
 In te del tradimento
 cade il sospetto.
 EZIO
                                In me! Fulvia, t’inganni.
 Ha troppe prove il Tebro
785della mia fedeltà. Chi seppe ogni altro
 superar con l’imprese
 maggior d’ogni calunnia anche si rese.
 FULVIA
 Ma se Cesare istesso il reo ti chiama,
 s’io stessa l’ascoltai.
 EZIO
                                       Può dirlo Augusto
790ma crederlo non può; s’anche un momento
 giungesse a dubitarne, ove si volga
 vede la mia difesa. Italia, il mondo,
 la sua grandezza, il conservato impero
 rinfacciar gli saprà che non è vero.
 FULVIA
795So che la tua ruina
 vendicata saria; ma chi m’accerta
 d’una pronta difesa? Ah s’io ti perdo,
 la più crudel vendetta
 della perdita tua non mi consola.
800Fuggi, se m’ami, al mio timor t’invola.
 EZIO
 Tu per soverchio affetto, ove non sono
 ti figuri i perigli.
 FULVIA
                                  E dove fondi
 questa tua sicurezza?
 Forse nel tuo valore? Ezio, gli eroi
805son pur mortali e ’l numero gli opprime.
 Forse nel merto? Ah che per questo, o caro,
 sventure io ti predico;
 il merto appunto è il tuo maggior nemico.
 EZIO
 La sicurezza mia, Fulvia, è riposta
810nel cor candido e puro
 che rimorsi non ha, nell’innocenza,
 che paga è di sé stessa, in questa mano
 necessaria all’impero. Augusto alfine
 non è barbaro o stolto.
815E se perde un mio pari,
 conosce anche un tiranno
 qual dura impresa è ristorarne il danno.
 
 SCENA VI
 
 VARO con pretoriani e detti
 
 FULVIA
 Varo, che rechi?
 EZIO
                                 È salva
 di Cesare la vita? Al suo riparo
820può giovar l’opra mia?
 Che fa?
 VARO
                  Cesare appunto a te m’invia.
 EZIO
 A lui dunque si vada.
 VARO
 Non vuol questo da te, vuol la tua spada.
 EZIO
 Come?
 FULVIA
                 Il previdi.
 EZIO
                                      E qual follia lo mosse?
825E possibil sarà?
 VARO
                                Così non fosse.
 La tua compiango, amico,
 e la sventura mia che mi riduce
 un ufficio a compir contrario tanto
 alla nostra amicizia, al genio antico.
 EZIO
830Prendi. Augusto compiangi e non l’amico. (Gli dà la spada)
 
    Recagli quell’acciaro
 che gli difese il trono;
 rammentagli chi sono
 e vedilo arrossir.
 
835   E tu serena il ciglio,
 se l’amor mio t’è caro; (A Fulvia)
 l’unico mio periglio
 sarebbe il tuo martir. (Parte con guardie)
 
 SCENA VII
 
 FULVIA e VARO
 
 FULVIA
 Varo, se amasti mai, de’ nostri affetti
840pietà dimostra e d’un oppresso amico
 difendi l’innocenza.
 VARO
                                       Or che m’è noto
 il vostro amor, la pena mia s’accresce
 e giovarvi io vorrei; ma troppo, oh dio!
 Ezio è di sé nemico; ei parla in guisa
845che irrita Augusto.
 FULVIA
                                     Il suo costume altero
 è palese a ciascuno. Omai dovrebbe
 non essergli delitto. Alfin tu vedi
 che se de’ merti suoi così favella,
 ei non è menzognero.
 VARO
850Qualche volta è virtù tacere il vero.
 Se non lodo il suo fasto,
 è segno d’amistà. Saprò per lui
 impiegar l’opra mia;
 ma voglia il ciel che inutile non sia.
 FULVIA
855Non dir così; niega agli afflitti aita
 chi dubbiosa la porge.
 VARO
                                           Egli è sicuro
 sol che tu voglia; a Cesare ti dona
 e consorte di lui tutto potrai.
 FULVIA
 Che ad altri io voglia mai
860fuor che ad Ezio donarmi, ah non fia vero.
 VARO
 Ma, Fulvia, per salvarlo, in qualche parte
 ceder convien. Tu puoi l’ira d’Augusto
 sola placar; non differirlo e in seno
 se amor non hai per lui, fingilo almeno.
 FULVIA
865Seguirò il tuo consiglio
 ma chi sa con qual sorte. È sempre un fallo
 il simulare. Io sento
 che vi ripugna il core.
 VARO
                                          In simil caso
 il fingere è permesso;
870e poi non è gran pena al vostro sesso.
 FULVIA
 
    Quel fingere affetto
 allor che non s’ama
 per molti è diletto;
 ma pena la chiama
875quest’alma non usa
 a fingere amor.
 
    Mi scopre, m’accusa
 se parla, se tace
 il labbro seguace
880dei moti del cor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 VARO
 
 VARO
 Folle è colui che al tuo favor si fida,
 instabile fortuna. Ezio felice
 della romana gioventù poc’anzi
 era oggetto all’invidia,
885misura ai voti e in un momento poi
 così cangia d’aspetto
 che dell’altrui pietà si rende oggetto.
 Purtroppo, o sorte infida,
 folle è colui che al tuo favor si fida.
 
890   Nasce al bosco in rozza cuna
 un felice pastorello
 e con l’aure di fortuna
 giunge i regni a dominar.
 
    Presso al trono in regie fasce
895sventurato un altro nasce