La favola de’ tre gobbi, libretto, Torino, Olzati, 1757

970or pretendi da me? Se fosti solo
 a fabricarti il danno,
 solo al riparo tuo pensa, o tiranno. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 VALENTINIANO, MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Cesare, alla mia fede
 troppo ingrato sei tu, se ne sospetti.
 VALENTINIANO
975Ah che d’Onoria ai detti
 dal mio sonno io mi desto.
 Massimo, di scolparti il tempo è questo.
 Finché il reo non si trova,
 il reo ti crederò.
 MASSIMO
                                Perché? Qual fallo?
980Sol perché Onoria il dice...
 Che ingiustizia è la tua...
 FULVIA
                                                (Padre infelice!)
 VALENTINIANO
 Se tu innocente sei,
 pensa a provarlo; assicurarmi intanto
 di te vogl’io.
 FULVIA
                          (M’assista il ciel).
 VALENTINIANO
                                                            Qual altro
985insidiar mi potea?
 Olà.
 FULVIA
            Barbaro, ascolta; io son la rea.
 Io commisi ad Emilio
 la morte tua; quella son io che tanto
 cara ti fui per mia fatal sventura.
990Io, perfido, son quella
 che oltragiasti in amor, quando ad Onoria
 offristi il mio consorte. Ah se nemici
 non eran gl’astri ai desideri miei,
 vendicata sarei,
995regnarebbe il mio sposo. Il mondo e Roma
 non gemerebbe oppressa
 da un cor tiranno e da una destra imbelle.
 Oh sognate speranze! O avverse stelle!
 MASSIMO
 (Ingegnosa pietade!)
 VALENTINIANO
                                         Io mi confondo.
 FULVIA
1000(Il genitor si salvi e pera il mondo).
 VALENTINIANO
 A suo piacer la sorte
 di me disponga, io m’abbandono a lei.
 Son stanco di temer. Se tanto affanno
 la vita ha da costar, no, non la curo.
1005Nelle dubiezze estreme
 per mancanza di speme io m’assicuro.
 
    Per tutto il timore
 perigli m’addita.
 Si perda la vita,
1010finisca il martire;
 è meglio morire
 che viver così.
 
    La vita mi spiace,
 se il fato nemico
1015la speme, la pace,
 l’amante, l’amico
 mi toglie in un dì. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 MASSIMO e FULVIA
 
 MASSIMO
 Partì una volta. Io per te vivo, o figlia,
 io respiro per te. Con quanta forza
1020celai finor la tenerezza? Ah lascia,
 mia speme, mio sostegno,
 cara difesa mia, che alfin t’abbracci. (Vuole abbracciar Fulvia)
 FULVIA
 Vanne padre crudel.
 MASSIMO
                                        Perché mi scacci?
 FULVIA
 Tutte le mie sventure
1025riconosco da te.
 MASSIMO
                               Negar tu vuoi
 al grato genitor questo d’affetto
 testimonio verace?
 Vieni... (Come sopra)
 FULVIA
                  Ma per pietà lasciami in pace!
 Se grato esser mi vuoi, stringi quel ferro,
1030svenami, o genitor. Questa mercede
 col pianto in su le ciglia
 al padre che salvò chiede una figlia.
 MASSIMO
 
    Tergi l’ingiuste lagrime,
 dilegua il tuo martiro,
1035che s’io per te respiro,
 tu regnerai per me.
 
    Di raddolcirti io spero
 questo penoso affanno
 col dono d’un impero,
1040col sangue d’un tiranno
 che delle nostre ingiurie
 punito ancor non è. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 FULVIA
 
 FULVIA
 Misera dove son! L’aure del Tebro
 son queste ch’io respiro?
1045Per le strade m’aggiro
 di Tebe e d’Argo; o dalle greche sponde
 di tragedie feconde
 le domestiche furie
 vennero a questi lidi
1050della prole di Cadmo e degl’Atridi?
 Là d’un monarca ingiusto
 l’ingrata crudeltà m’empie d’orrore;
 d’un padre traditore
 qua la colpa m’agghiaccia;
1055e lo sposo innocente ho sempre in faccia.
 O immagini funeste!
 O memorie! O martiro!
 Ed io parlo infelice? Ed io respiro?
 
    Ah! Non son io che parlo;
1060è il barbaro dolore
 che mi divide il core,
 che delirar mi fa.
 
    Non cura il ciel tiranno
 l’affanno in cui mi vedo;
1065un fulmine gli chiedo
 e un fulmine non ha. (Parte)
 
 SCENA X
 
 Luogo magnifico con scalinate che conducono al Campidoglio antico.
 
 MASSIMO senza manto con seguito
 
 MASSIMO
 Inorridisci, o Roma;
 d’Attila lo spavento, il duce invitto,
 il tuo liberator cadde trafitto.
1070E chi l’uccise? Ah l’omicida ingiusto
 fu l’invidia d’Augusto. Ecco in qual guisa
 premia un tiranno! Or che farà di noi
 chi tanto merto opprime? Ah vendicate,
 Romani, il vostro eroe; la gloria antica
1075rammentatevi ormai; da un giogo indegno
 liberate la patria; e difendete
 dai vicini perigli
 l’onor, la vita e le consorti e i figli. (Va incontro co’ suoi sollevati alle guardie imperiali che scendono dal Campidoglio. Siegue zuffa, quale terminata esce Valentiniano senza manto con spada rotta, difendendosi da due congiurati e poi Massimo con spada nuda, indi Fulvia)
 VALENTINIANO
 Ah traditori! Amico, (A Massimo)
1080soccorri il tuo signor.
 MASSIMO
                                         Fermate. Io voglio
 il tiranno svenar.
 FULVIA
                                  Padre, che fai? (Fulvia si frapone)
 MASSIMO
 Punisco un empio.
 VALENTINIANO
                                     È questa
 di Massimo la fede?
 MASSIMO
                                        Assai finora
 finsi con te. Se il mio comando Emilio
1085mal eseguì, per questa man cadrai.
 VALENTINIANO
 Ah iniquo!
 FULVIA
                       Al sen d’Augusto
 non passerà quel ferro,
 se me di vita il genitor non priva.
 MASSIMO
 Cesare morirà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 EZIO e VARO con spade nude, popolo e soldati, indi ONORIA e detti
 
 EZIO E VARO
                               Cesare viva.
 FULVIA
1090Ezio!
 VALENTINIANO
             Che veggo?
 MASSIMO
                                    O sorte! (Getta la spada)
 ONORIA
                                                     È salvo Augusto?
 VALENTINIANO
 Vedi chi mi salvò. (Accenna Ezio)
 ONORIA
                                     Duce, qual nume
 ebbe cura di te?
 EZIO
                                 Di Varo amico
 il zelo e la pietà.
 VALENTINIANO
                                Come!
 VARO
                                               Eseguita
 finsi di lui la morte. Io t’ingannai;
1095ma in Ezio il tuo liberator serbai.
 FULVIA
 Provida infedeltà!
 EZIO
                                    Permette il cielo
 che tu debba i tuoi giorni,
 Cesare, a questa mano
 che credesti infedel. Vivi; io non curo
1100maggior trionfo; e se ti resta ancora
 per me qualche dubiezza in mente accolta,
 eccomi prigioniero un’altra volta.
 VALENTINIANO
 Anima grande, eguale
 solamente a te stessa. In questo seno
1105della mia tenerezza,
 del pentimento mio ricevi un pegno.
 Eccoti la tua sposa. Onoria, al nodo
 d’Attila si prepari; io so che lieta
 la tua man generosa a Fulvia cede.
 ONORIA
1110È poco il sacrificio a tanta fede.
 EZIO
 O contento!
 FULVIA
                         O piacer!
 EZIO
                                             Concedi, Augusto,
 la salvezza di Varo,
 di Massimo la vita ai nostri prieghi.
 VALENTINIANO
 A tanto intercessor nulla si nieghi.
 CORO
 
1115   Della vita nel dubio camino
 si smarrisce l’umano pensier.
 
    L’innocenza è qual astro divino
 che rischiara fra l’ombre il sentier.
 
 Fine del dramma
 
 
 EZIO
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel real teatro dell’Ajuda in occasione di festeggiarsi il felicissimo giorno natalizio di sua reale maestà l’augustissima signora donna Marianna Vittoria, regina fedelissima, nella primavera dell’anno 1772.
    In Lisbona, nella Stamperia Reale.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Ezio illustre capitano dell’armi imperiali sotto Valentiniano III, ritornando dalla celebre vittoria de’ campi Catalaunici, dove disfece e fugò Attila re degli Unni, fu accusato ingiustamente d’infedeltà al sospettoso imperadore e dal medesimo condannato a morire.
    Autore dell’imposture contro l’innocente Ezio fu Massimo patrizio romano, il quale offeso già da Valentiniano per avergli questi tentata l’onestà della consorte, procurò infruttuosamente l’aiuto del suddetto capitano per uccidere l’odiato imperadore, dissimulando sempre artificiosamente il desiderio della vendetta. Ma conoscendo che il maggiore inciampo al suo disegno era la fedeltà d’Ezio, fece crederlo reo e ne sollecitò la morte, disegnando di sollevar poi, come fece, il popolo contro Valentiniano, con accusarlo di quella ingratitudine ed ingiustizia alla quale egli l’aveva indotto e persuaso. Tutto ciò è istorico, il resto è verisimile (Sigonio, De occidentali imperio; Prospero Aquitanio, Chronicon, eccetera).
    La scena si rappresenta in Roma.
 
 
 ATTORI
 
 VALENTINIANO III imperadore, amante di Fulvia
 (il signor Giovanni Ripa)
 FULVIA figlia di Massimo patrizio romano, amante e promessa sposa d’Ezio
 (il signor Giambattista Vasques)
 EZIO generale dell’armi cesaree, amante di Fulvia
 (il signor Carlo Rejna)
 ONORIA sorella di Valentiniano, amante occulta di Ezio
 (il signor Giuseppe Orti)
 MASSIMO patrizio romano, padre di Fulvia, confidente e nemico occulto di Valentiniano
 (il signor Luigi Torriani)
 VARO prefetto de’ pretoriani, amico d’Ezio
 (il signor Giuseppe Romanini)
 Tutti virtuosi della Real Cappella di sua maestà fedelissima.
 
 Comparse di pretoriani con Valentiniano e Varo, di soldati romani con Ezio, di prigionieri con Ezio, di sollevati con Massimo, di paggi con Onoria e Fulvia, di popolo. Banda d’istromentisti bellici con Ezio.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: parte del Foro romano con trono imperiale da un lato, vista di Roma illuminata in tempo di notte con archi trionfali ed altri apparati festivi preparati e per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’ Ezio, vincitore d’Attila; camere imperiali istoriate di pitture.
    Per il primo ballo: camera che poi si trasforma in grotta; giardino con reggia celeste.
    Nell’atto secondo: orti palatini corrispondenti agli appartamenti imperiali con viali, spalliere di fiori e fontane continuate, in fondo caduta d’acque e innanzi grotteschi e statue; gallerie di statue e specchi con sedili intorno, fra quali uno innanzi dalla mano destra capace di due persone, gran balcone aperto in prospetto, dal quale vista di Roma.
    Per il secondo ballo: bosco con case rurali.
    Nell’atto terzo: atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto che conducono a diverse prigioni; Campidoglio.
 
    Il dramma è del celebre abate Metastasio, poeta cesareo. La musica è di nuova composizione del celebre Jommelli maestro di cappella, pensionario all’attual servizio di sua maestà fedelissima. Le scene sono d’invenzione del signor Giacomo Azzolini, architetto teatrale all’attual servizio di sua maestà fedelissima. Le macchine e decorazioni sono del signor Petronio Mazzoni, macchinista all’attual servizio di sua maestà fedelissima. Li abiti de’ virtuosi cantanti sono d’invenzione e disegno degl’eredi Mainino di Milano. Quei delle danze del signor Paolino Solenghi all’attual servizio di sua maestà fedelissima.
 
 
 BALLI
 
    Sono d’invenzione del signor Francesco Sauveterre ed eseguiti dalli seguenti: signor Andrea Alberti, signor Benedetto Lombardi, signor Tommaso Zucchelli, signor Paolo Orlandi, signor Giambattista Flambò, signor Teofilo Corazzi, signor Carlo Vitalba, signor Francesco Zucchelli, signor Pietro Colonna, signor Niccola Midossi, tutti all’attual servizio di sua maestà fedelissima.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte con archi trionfali ed altri apparati festivi, preparati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio vincitore d’Attila.
 
 VALENTINIANO, MASSIMO, VARO con pretoriani e popolo
 
 MASSIMO
 Signor, mai con più fasto
 la prole di Quirino
 non celebrò d’ogni secondo lustro
 l’ultimo dì. Di tante faci il lume,
5l’applauso popolar turba alla notte
 l’ombre e i silenzi; e Roma
 al secolo vetusto
 più non invidia il suo felice Augusto.
 VALENTINIANO
 Godo ascoltando i voti
10che a mio favor fino alle stelle invia
 il popolo fedel: le pompe ammiro,
 attendo il vincitor, tutte cagioni
 di gioie a me; ma la più grande è quella
 ch’io possa offrir con la mia destra in dono
15ricco di palme alla tua figlia il trono.
 VARO
 Ezio s’avanza. Io già le prime insegne
 veggo appressarsi.
 VALENTINIANO
                                     Il vincitor s’ascolti;
 e sia Massimo a parte
 de’ doni che mi fa la sorte amica. (Valentiniano va sul trono servito da Varo)
 MASSIMO
20(Io però non obblio l’ingiuria antica).
 
 SCENA II
 
 EZIO preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori, popolo e detti
 
 EZIO
 Signor, vincemmo. Ai gelidi Trioni,
 il terror de’ mortali
 fuggitivo ritorna. Il primo io sono
 che mirasse finora
25Attila impallidir. Non vide il sole
 più numerosa strage. A tante morti
 era angusto il terreno: il sangue corse
 in torbidi torrenti;
 le minacce a’ lamenti
30si udian confuse; e fra i timori e l’ire
 erravano indistinti
 i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
 Né gran tempo dubbiosa
 la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
35fugge il tiranno; e cede
 di tante ingiuste prede,
 impacci al suo fuggir, l’acquisto a noi.
 Se una prova ne vuoi,
 mira le vinte schiere:
40ecco l’armi, l’insegne e le bandiere.
 VALENTINIANO
 Ezio, tu non trionfi
 d’Attila sol; nel debellarlo ancora
 vincesti i voti miei. Tu rassicuri
 su la mia fronte il vacillante alloro;
45tu il marzial decoro
 rendesti al Tebro; e deve
 alla tua mente, alla tua destra audace
 l’Italia tutta e libertade e pace.
 Fra queste braccia intanto (Scende dal trono)
50tu del cadente impero e mio sostegno
 prendi d’amore un pegno. A te non posso
 offrir che i doni tuoi. Serbami amico
 quei doni istessi; e sappi
 che fra gli acquisti miei
55il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.
 
    Se tu la reggi al volo,
 su la tarpea pendice
 l’aquila vincitrice
 sempre tornar vedrò.
 
60   Breve sarà per lei
 tutto il cammin del sole;
 e allora i regni miei
 col ciel dividerò. (Parte con Varo e pretoriani)
 
 SCENA III
 
 EZIO, MASSIMO e poi FULVIA con paggi. Seguito di soldati e d’alcuni schiavi in lontano
 
 MASSIMO
 Ezio, donasti assai
65alla gloria, al dover; qualche momento
 concedi all’amistà; lascia ch’io stringa
 quella man vincitrice. (Prende per mano Ezio)
 EZIO
                                            Io godo, amico,
 nel rivederti e caro
 m’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro.
70Ma Fulvia ove si cela?
 Che fa? Dov’è? Quando ciascun s’affretta
 su le mie pompe ad appagar le ciglia,
 la tua figlia non viene?
 MASSIMO
                                            Ecco la figlia.
 EZIO
 Cara, di te più degno (A Fulvia nell’uscire)
75torna il tuo sposo e al volto tuo gran parte
 deve de’ suoi trofei. Fra l’armi e l’ire
 mi fu sprone egualmente
 e la gloria e l’amor... Ma... Fulvia? Oh Dei! (Si turba)
 Perché mesta così?
 FULVIA
                                      (Che pena!) Io vengo...
80Son io...
 EZIO
                  No, tu non sei (Cresce il turbamento)
 per me quella che fosti.
 FULVIA
                                             Ah sì, son quella.
 Ma... sappi... genitor, per me favella.
 EZIO
 Massimo, non tacer. (Con impeto)
 MASSIMO
                                         Tacqui finora,
 perché co’ nostri mali a te non volli
85le gioie avvelenar. Si vive, amico, (Con cautela di non esser ascoltato)
 sotto un giogo crudele. Anche i pensieri
 imparano a servir. La tua vittoria,
 Ezio, ci toglie alle straniere offese;
 le domestiche accresce. Era il timore
90in qualche parte almeno
 a Cesare di freno; or che vincesti,
 i popoli dovranno
 più superbo soffrirlo e più tiranno.
 EZIO
 Io tal nol credo. Almeno
95la tirannide sua mi fu nascosa.
 Che pretende? Che vuol?
 MASSIMO
                                                 Vuol la tua sposa.
 EZIO
 La sposa mia! Massimo, Fulvia e voi (Sorpreso)
 consentite a tradirmi?
 FULVIA
                                            Oimè!
 MASSIMO
                                                           Qual arte,
 qual consiglio adoprar? Vuoi che l’esponga, (Sempre con cautela)
100negandola al suo trono,
 d’un tiranno al piacer? Vuoi che su l’orme
 di Virginio io rinnovi,
 per serbarla pudica,
 l’esempio in lei della tragedia antica?
105Ah tu solo potresti
 frangere i nostri ceppi,
 vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
 del popolo e dell’armi. A Roma oppressa,
 all’amor tuo tradito
110dovresti una vendetta.
 EZIO