La favola de’ tre gobbi, libretto, Venezia, Fenzo, 1749

 Ma cara alla sua vita
1035costarà la tardanza.
 FULVIA
                                      Il gran delitto
 dovresti vendicar. Ma chi dall’ira
 del popolo che l’ama
 assicurar ci può? Pensaci Augusto,
 per te dubbia mi rendo.
 VALENTINIANO
1040Questo sol mi trattiene.
 MASSIMO
                                              (Or Fulvia intendo).
 FULVIA
 E se fosse innocente? Eccoti privo
 d’un gran sostegno, eccoti esposto ai colpi
 d’ignoto traditore,
 eccoti in odio... Ah mi si aghiaccia il core.
 VALENTINIANO
1045Volesse il ciel che reo non fosse. Ei viene
 qui per mio cenno.
 FULVIA
                                      (Ah che farò!)
 VALENTINIANO
                                                                  Vedrai
 ne’ suoi detti qual è.
 FULVIA
                                        Lascia ch’io parta.
 Col suo giudice solo
 meglio il reo parlerà.
 VALENTINIANO
                                         No resta.
 MASSIMO
                                                            Augusto
1050Ezio qui giunge. (Vedendo venire Ezio)
 FULVIA
                                  (Oh dio!)
 VALENTINIANO
 T’assidi al fianco mio. (A Fulvia)
 FULVIA
 Come! Suddita io sono e tu vorrai...
 VALENTINIANO
 Suddita non è mai
 chi ha vassallo il monarca.
 FULVIA
                                                  Ah non conviene...
 VALENTINIANO
1055Non più, comincia ad avvezzarti al trono.
 Siedi.
 FULVIA
               Ubbidisco. (In qual cimento io sono!) (Siede alla destra di Valentiniano)
 
 SCENA XIII
 
 EZIO disarmato e detti
 
 EZIO
 (Stelle che miro! In Fulvia (Ne l’uscir vedendo Fulvia si ferma)
 come tanta incostanza!)
 FULVIA
 (Resisti anima mia).
 VALENTINIANO
                                         Duce t’avanza.
 EZIO
1060Il giudice qual è? Pende il mio fato
 da Cesare o da Fulvia?
 VALENTINIANO
                                            E Fulvia ed io
 siamo un giudice solo; ella è sovrana
 or che in lacci di sposo a lei mi stringo.
 EZIO
 (Donna infedel!)
 FULVIA
                                  (Potessi dir che fingo).
 VALENTINIANO
1065Ezio m’ascolta e a moderare impara
 per poco almeno il naturale orgoglio
 che giovarti non può. Qui si cospira
 contro di me; del tradimento autore
 ti crede ognun; di fellonia t’accusa
1070il rifiuto d’Onoria, il troppo fasto
 delle vittorie tue, l’aperto scampo
 ad Attila permesso, il tuo geloso
 e temerario amor, le tue minacce
 di cui tu sai che testimonio io sono.
1075Pensa a scolparti o a meritar perdono.
 MASSIMO
 (Sorte non mi tradir).
 EZIO
                                           Cesare invero
 ingegnoso è il pretesto. Ove s’asconde
 costui che t’assalì? Chi dell’insidia
 autor mi afferma? Accusator tu sei
1080del figurato eccesso,
 giudice e testimonio a un tempo istesso.
 FULVIA
 (Oh dio! Si perde).
 VALENTINIANO
                                      (E soffrirò l’altero!)
 EZIO
 Ma il delitto sia vero;
 perché si appone a me? Perché d’Onoria
1085la destra ricusai! Dunque ad Augusto
 serbai la libertà col mio sudore
 perché a me la togliesse anche in amore.
 È d’Attila la fuga
 che mi convince reo. Dunque io dovea
1090Attila imprigionar, perché d’Europa
 tutte le forze e l’armi
 senza il timor, che le congiunge a noi,
 si volgessero poi contro l’impero?
 Cerca per queste imprese altro guerriero.
1095Son reo perché conosco
 qual io mi sia, perché di me ragiono.
 L’alme vili a sé stesse ignote sono.
 FULVIA
 (Partir potessi).
 VALENTINIANO
                                Un nuovo fallo è questa
 temeraria difesa. Altro t’avanza
1100per tua discolpa ancor?
 EZIO
                                             Dissi abbastanza.
 Cesare non curarti
 tutto il resto ascoltar ch’io dir potrei.
 VALENTINIANO
 Che diresti?
 EZIO
                          Direi
 che produce un tiranno
1105chi solleva un ingrato. Anche ai sovrani
 direi che desta invidia
 de’ sudditi il valor. Che a te dispiace
 d’essermi debitor, che tu paventi
 in me que’ tradimenti
1110che sai di meritar quando mi privi
 d’un cor...
 VALENTINIANO
                      Superbo a questo eccesso arrivi?
 FULVIA
 (Ahimè!)
 VALENTINIANO
                     Punir saprò...
 FULVIA
                                                Soffri se m’ami
 che Fulvia parta, i vostri sdegni irrita (S’alza)
 l’aspetto mio.
 VALENTINIANO
                            No, non partir. Tu scorgi
1115che mi sdegno a ragion. Siedi e vedrai
 come un reo pertinace
 a convincer m’accingo...
 EZIO
 (Donna infedel!)
 FULVIA
                                  (Potessi dir che fingo). (Torna a sedere)
 MASSIMO
 (Tutto finor mi giova).
 VALENTINIANO
                                            Ezio tu sei
1120d’ogni colpa innocente. Invido Augusto
 di cotesta tua gloria il tutto ha finto.
 Solo un giudizio io chiedo
 dall’eccelsa tua mente. Al suo sovrano
 contrastando la sposa,
1125il suddito è ribelle?
 EZIO
                                      E al suo vassallo
 che il prevenne in amor, quando la tolga,
 il sovrano è tiranno?
 VALENTINIANO
                                        A quel che dici
 dunque Fulvia t’amò!
 FULVIA
                                          (Che pena!)
 VALENTINIANO
                                                                   A lui
 togli, o cara, un inganno e di’ s’io fui
1130il tuo foco primiero,
 se l’ultimo sarò; spiegalo.
 FULVIA
                                                 È vero. (A Valentiniano)
 EZIO
 Ah perfida, ah spergiura! A questo colpo
 manca la mia costanza.
 VALENTINIANO
 Vedi se t’ingannò la tua speranza. (Ad Ezio)
 EZIO
1135Non trionfar di me; troppo ti fidi
 d’una donna incostante. A lei la cura
 lascio di vendicarmi; io mi lusingo
 che il proverai.
 FULVIA
                               (Né posso dir che fingo).
 MASSIMO
 (E Fulvia non si perde).
 EZIO
                                              In questo stato
1140non conosco me stesso. In faccia a lei (Fulvia cava il fazzoletto)
 mi si divide il cor. Pena maggiore,
 Massimo, da che nacqui io non provai.
 FULVIA
 (Io mi sento morir). (S’alza piangendo e vuol partire)
 VALENTINIANO
                                         Fulvia che fai?
 FULVIA
 Voglio partir, che a tanti ingiusti oltraggi
1145più non resisto.
 VALENTINIANO
                                Anzi t’arresta e siegui
 a punirlo così.
 FULVIA
                             No te ne priego,
 lascia ch’io vada.
 VALENTINIANO
                                  Io nol consento. Afferma
 per mio piacer di nuovo
 che sospiri per me, ch’io ti son caro,
1150che godi alle sue pene...
 FULVIA
 Ma se vero non è, s’egli è il mio bene.
 VALENTINIANO
 Che dici?
 MASSIMO
                     (Ahimè!)
 EZIO
                                         Respiro.
 FULVIA
                                                           E sino a quando
 dissimular dovrò? Finsi finora,
 Cesare, per placarti. Ezio innocente
1155salvar credei; per lui mi struggo e sappi
 ch’io non t’amo da vero e non t’amai.
 E se i miei labri mai
 ch’io t’amo a te diranno
 non mi credere, Augusto, allor t’inganno.
 EZIO
1160O cari accenti!
 VALENTINIANO
                              Ove son io! Che ascolto!
 Qual ardir? Qual baldanza?
 EZIO
 Vedi se t’ingannò la tua speranza. (A Valentiniano)
 VALENTINIANO
 Ah temerario, ah ingrata. Olà custodi (S’alza)
 toglietemi d’innanzi
1165quel traditor. Nel carcere più orrendo
 serbatelo al mio sdegno.
 EZIO
 Il tuo furor del mio trionfo è segno.
 Chi più di me felice! Io cederei
 per questa ogni vittoria.
1170Non t’invidio l’impero,
 non ho cura del resto,
 è trionfo leggiero
 Attila vinto a paragon di questo.
 
    Ecco alle mie catene,
1175ecco a morir m’invio.
 Sì, ma quel core è mio; (A Valentiniano)
 sì, ma tu cedi a me.
 
    Caro mio bene addio. (A Fulvia)
 Perdona a chi t’adora.
1180So che t’offesi allora
 che io dubitai di te. (Parte con le guardie)
 
 SCENA XIV
 
 VALENTINIANO, MASSIMO e FULVIA
 
 VALENTINIANO
 Ingratissima donna, e quando mai
 io da te meritai questa mercede?
 Vedi amico qual fede
1185la tua figlia mi serba?
 MASSIMO
                                           Indegna, e dove
 imparasti a tradir? Così del padre
 la fedeltade imiti? E quando avesti
 questi esempi da me?
 FULVIA
                                           Lasciami in pace
 padre, non irritarmi; è sciolto il freno,
1190se m’insulti dirò...
 MASSIMO
                                    Taci o il tuo sangue...
 VALENTINIANO
 Massimo ferma; io meglio
 vendicarmi saprò; già che m’abborre,
 già che le sono odioso,
 voglio per tormentarla esserle sposo.
 FULVIA
1195Non lo sperar.
 VALENTINIANO
                             Ch’io non lo speri! Infida
 non sai quanto potrò...
 FULVIA
                                            Potrai svenarmi
 ma per farmi temer debole or sei.
 Han vinto ogni timor i mali miei.
 
    La mia costanza
1200non si sgomenta,
 non ha speranza,
 timor non ha.
 
    Son giunta a segno
 che mi tormenta
1205più del tuo sdegno
 la tua pietà. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 VALENTINIANO e MASSIMO
 
 MASSIMO
 (Or giova il simular). No, non fia vero
 che per vergogna mia viva costei.
 Cesare io corro a lei,
1210voglio passarle il cor.
 VALENTINIANO
                                         T’arresta  amico.
 S’ella muore, io non vivo, ancor potrebbe
 quell’ingrata pentirsi.
 MASSIMO
                                           Al tuo comando
 con pena ubbidirò. Troppo a punirla
 il dover mi consiglia.
 VALENTINIANO
1215Perché simile a te non è la figlia?
 MASSIMO
 
    Col volto ripieno
 di tanto rossore
 più calma nel seno,
 più pace non ho.
 
1220   Oh quanti diranno
 che il perfido inganno
 dal suo genitore
 la figlia imparò! (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 VALENTINIANO
 
 VALENTINIANO
 Sdegno, amor, gelosia, cure d’impero
1225che volete da me? Nemico e amante
 e timido e sdegnato a un punto io sono
 e intanto non punisco e non perdono.
 Ah lo so ch’io dovrei
 obliar quell’ingrata. Ella è cagione
1230d’ogni sventura mia. Ma di tentarlo
 né pure ardisco; e da una forza ignota
 così mi sento oppresso
 che non desio di superar me stesso.
 
    Che mi giova impero e soglio,
1235s’io non voglio uscir d’affanni,
 s’io nutrisco i miei tiranni
 negli affetti del mio cor.
 
    Che infelice al mondo io sia,
 lo conosco, è colpa mia;
1240non è colpa dello sdegno,
 non è colpa dell’amor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Atrio delle carceri con cancelli di ferro in prospetto che conducono a diverse prigioni con guardie a vista su la porta de’ detti cancelli.
 
 ONORIA, indi EZIO con catene
 
 ONORIA
 Ezio qui venga. È questa gemma il segno (Alla guardia che parte)
 del cesareo volere. Il suo periglio
 mi fa più amante e la pietà ch’io sento
1245nel vederlo infelice
 tal fomento è all’amor ch’io non so come
 si forma nel mio petto
 di due diversi affetti un solo affetto.
 Eccolo! O come altero,
1250come lieto s’avanza!
 O quell’alma è innocente; o non è vero
 che imagine dell’alma è la sembianza. (Si apre uno de’ cancelli, dal quale esce Ezio restando le due guardie presso al detto cancello)
 EZIO
 Questi del tuo germano
 son principessa i doni. Avresti mai (Mostrando le catene)
1255potuto imaginarlo? In pochi istanti
 tutto cangiò per me. Cinto d’allori
 del giorno al tramontar tu mi vedesti;
 e poi coi lacci intorno
 tu mi rivedi all’apparir del giorno.
 ONORIA
1260Ezio, qualunque nasce alle vicende
 della sorte è soggetto; il primo esempio
 dell’incostanza sua duce non sei.
 L’ingiustizia di lei
 tu potresti emendar; per mia richiesta
1265Cesare l’ira sua tutta abbandona,
 t’ama, ti vuole amico e ti perdona.
 EZIO
 E il crederò?
 ONORIA
                           Sì; né domanda Augusto
 altra emenda da te che il suo riposo.
 Del tentativo ascoso
1270scopri le trame; e appieno
 libero sei. Può domandar di meno?
 EZIO
 Non è poca richiesta; ei vuol ch’io stesso
 m’accusi per timore; ei vuole a prezzo
 dell’innocenza mia
1275generoso apparir; sa la mia fede,
 prova rossor nell’oltraggiarmi a torto,
 perciò mi vuole o delinquente o morto.
 ONORIA
 Dunque con tanto fasto
 lo sdegno suo giustificar non dei.
1280E se innocente sei, placide, umili
 sian le tue scuse; a lui favella in modo
 che non possa incolparti,
 che non abbia coraggio a condannarti.
 EZIO
 Onoria per salvarmi
1285ad esser vile io non appresi ancora.
 ONORIA
 Ma sai che corri a morte?
 EZIO
                                                 E ben, si mora.
 Non è il peggior de’ mali
 alfin questo morir; ci toglie almeno
 dal commercio de’ rei.
 ONORIA
                                            Pensar dovresti
1290che per la patria tua poco vivesti.
 EZIO
 Il viver si misura
 dall’opre e non dai giorni. Onoria, i vili
 inutili a ciascuno, a sé mal noti,
 cui non scaldò di bella gloria il foco,
1295vivendo lunga età vissero poco.
 Ma coloro che vanno
 per l’orme ch’io segnai
 vivendo pochi dì vivono assai.
 ONORIA
 Se di te non hai cura,
1300abbila almen di me.
 EZIO
                                        Che dici?
 ONORIA
                                                            Io t’amo,
 più tacerlo non so; quando mi veggo
 a perderti vicina, i torti oblio
 ed è poca difesa
 alla mia debolezza il fasto mio.
 EZIO
1305Onoria, e tu sei quella
 che umiltà mi consigli? In questa guisa
 insuperbir mi fai. Potessi almeno,
 come i tuoi pregi ammiro, amarti ancora.
 Deh consenti ch’io mora; Ezio piagato
1310per altro stral ti viverebbe ingrato.
 ONORIA
 Viva ingrato, mi renda
 d’ogni speranza priva,
 mi sprezzi pur, mi sia crudel; ma viva.
 E se pur la tua vita
1315abborrisci così perché m’è cara,
 cerca almeno una morte
 che sia degna di te. Coll’armi in pugno
 mori vincendo, onde t’invidi il mondo,
 non ti compianga.
 EZIO
                                    O in carcere o fra l’armi
1320ad altri insegnerò come si mora.
 Farò invidiarmi in questo stato ancora.
 
    Guarda pria se in questa fronte
 trovi scritto alcun delitto
 e dirai che la mia sorte
1325desta invidia e non pietà.
 
    Bella prova è d’alma forte
 l’esser placida e serena
 nel soffrir l’ingiusta pena
 d’una colpa che non ha. (Parte con guardie)
 
 SCENA II
 
 ONORIA, poi VALENTINIANO
 
 ONORIA
1330Oh dio ch’il crederebbe! Al fato estremo
 egli lieto s’appressa, io gelo e tremo.
 VALENTINIANO
 E ben da quel superbo
 che ottenesti, o germana?
 ONORIA
                                                 Io nulla ottenni.