Il mondo della luna, libretto, Roma, Zempel, 1754 (Civitavecchia)

 GRAZIOSINO
 
                   Ah!
 
 GIACINTO
 
 Fermatevi.
 
 GRAZIOSINO
 
                        Ah!
 
 CINTIA
 
    Tu sei un’indegna.
 
 AURORA
 
 Sei tu maledetta.
 
 A DUE
 
1045Vendetta, vendetta
 vuo’ contro di te.
 
 AURORA
 
 Feritela.
 
 GRAZIOSINO
 
                   Ah!
 
 GIACINTO
 
 Fermatevi.
 
 GRAZIOSINO
 
                        Ah!
 
 CINTIA
 
 Ah perfido!
 
 GRAZIOSINO
 
                         Ah!
 
 AURORA
 
1050   A tempo migliore
 vendetta farò.
 
 A QUATTRO
 
    Fermate, sentite.
 Frenarmi non so.
 
    Vendetta, vendetta,
1055vendetta farò.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera.
 
 RINALDINO in abito da guerriero e FERRAMONTE
 
 RINALDINO
 Al lume di ragion conosco e vedo
 delle donne gl’inganni e l’error mio.
 Voi, Ferramonte, aveste
 forza e valor bastante
1060coi vostri saggi detti
 di farmi vergognar de’ tristi affetti.
 Eccomi ritornato
 uomo qual fui nelle primiere spoglie,
 pien d’eroici pensieri e caute voglie.
 FERRAMONTE
1065Possibile che abbiate
 tanto tempo servito a queste maghe?
 Le femine, sian brutte o siano vaghe,
 hanno a servire a noi
 e servito che ci han si lascian poi.
 RINALDINO
1070I vezzi e le lusinghe
 troppo han di forza sovra il nostro cuore.
 FERRAMONTE
 Questo ceto di donne traditore
 avrà finito il gioco.
 Per invidia fra lor si son sdegnate
1075e si son da sé stesse rovinate.
 
 SCENA II
 
 TULLIA e detti
 
 TULLIA
 Ahimè! Chi mi soccorre?
 RINALDINO
                                                Ah Tullia mia!
 FERRAMONTE
 (Amico, state forte). (Piano a Rinaldino)
 TULLIA
 Vogliono la mia morte.
 RINALDINO
 E chi è che vi minaccia?
 FERRAMONTE
1080(Non la mirate in faccia). (Come sopra)
 TULLIA
 Le donne invidiose,
 superbe, orgogliose,
 per il desio d’occupar sole il regno,
 ardono fra di lor d’ira e di sdegno.
 RINALDINO
1085Ah! Voi pietà mi fate.
 FERRAMONTE
 (Rinaldin, non cascate).
 TULLIA
 A voi mi raccomando;
 deh voi mi difendete.
 FERRAMONTE
 (Forti, non le credete).
 TULLIA
1090Deh non mi abbandonate.
 FERRAMONTE
 (Forti, non le badate).
 RINALDINO
 La devo abbandonare?
 FERRAMONTE
 (Un’altra volta vi vorrà ingannare).
 RINALDINO
 Tullia, che pretendete?
 TULLIA
1095Esser a voi soggetta,
 rinunciar del comando
 ogni ragione a voi.
 RINALDINO
                                     Che far degg’io? (A Ferramonte)
 FERRAMONTE
 (Prendetela in parola). (A Rinaldino)
 RINALDINO
 Idolo mio, venite; a questa legge
1100novamente v’accetto.
 TULLIA
 Amor e fedeltà io vi prometto.
 
    Fino ch’io viva vi adorerò,
 costante e fida per voi sarò;
 ed un bel regno, di me più degno,
1105nel vostro core trovar saprò.
 
    Più non m’accieca
 vano desio.
 Arder vogl’io
 di quella face
1110che m’infiammò.
 
 SCENA III
 
 RINALDINO e FERRAMONTE
 
 FERRAMONTE
 Io rido come un pazzo
 a veder queste femine umiliate
 venir con un pochino di vergogna
 come le cagnoline da Bologna.
 RINALDINO
1115Amo Tullia e se posso
 sperar d’averla in preda,
 senza far onta al mio viril decoro,
 acquistato il mio core avrà un tesoro.
 FERRAMONTE
 Sì, ma badate bene
1120che poi a poco a poco
 non vi faccia la donna un brutto gioco.
 
    Certe donne maliziose,
 quando l’uomo l’hanno acceso
 e poi quando l’hanno preso,
1125le vedo andar bel bello
 affoggiate a questo e quello.
 E col busto lento e basso
 va spuntando in ogni passo
 col mostrar quel che non è.
 
1130   Le dà noia ogni vivanda,
 le desgusta ogni bevanda,
 ogni odor le fa svenir,
 se non fosse l’elisire
 morirebbero alla fé.
 
 SCENA IV
 
 RINALDINO
 
 RINALDINO
1135Il periglio passato
 cauto mi ha reso e colla donna accorta
 cieco più non sarò. Tullia peraltro
 non è delle più scaltre,
 che se tal fosse stata
1140questa spada serbata io non avrei,
 per troncare con questa i lacci miei.
 Onde amarla poss’io senza timore
 che ingannare mi voglia il di lei cuore.
 
    Chi troppo ad amor crede
1145si vede ad ingannar;
 ma il sempre dubitar
 tormento è assai maggior.
 
    Del caro mio Cupido
 mi fido e vivo in pace;
1150e se sarà mendace
 lo scaccierò dal cor.
 
 SCENA V
 
 AURORA e GRAZIOSINO
 
 GRAZIOSINO
 Non ne vuo’ più sapere.
 AURORA
                                              Io son perduta,
 se voi mi abbandonate.
 GRAZIOSINO
 Siete femine tutte indiavolate.
 AURORA
1155Il regno delle donne
 distruggendo si va.
 GRAZIOSINO
 Causa la vostra troppo vanità.
 AURORA
 Ma voi mi lasciarete
 al furore degli uomini in balia?
 GRAZIOSINO
1160Io sono schiavo di vusignoria.
 AURORA
 Graziosino, pietà.
 GRAZIOSINO
                                   (Mi sento movere).
 AURORA
 Abbiate compassione.
 GRAZIOSINO
 (Mi si scalda il polmone).
 AURORA
 Se volete ch’io mora, morirò.
 GRAZIOSINO
1165Ah! Se voi morirete, io crepperò.
 AURORA
 Dunque...
 GRAZIOSINO
                      Dunque son vostro.
 AURORA
 Mi salverete voi?
 GRAZIOSINO
                                  Vi salverò.
 AURORA
 E mi amerete poi?
 GRAZIOSINO
                                     Sì, io v’amerò.
 AURORA
 
    Che bel regnar contenta
1170nel cuor del caro bene
 e senza amare pene
 godere e giubilar!
 
    Noi donne siamo nate
 per esser onorate
1175ma non per comandar.
 
 SCENA VI
 
 GRAZIOSINO, poi CINTIA
 
 GRAZIOSINO
 Colui di Ferramonte
 m’ha consigliato ad essere crudele;
 ma, se una donna poi gli andasse appresso,
 come un poltron cascherebbe anch’esso.
 CINTIA
1180Lupi, tigri, leoni,
 gattipardi, pantere, orsi e mastini
 mi sento a divorar negl’intestini.
 GRAZIOSINO
 Ecco qui un altro imbroglio.
 CINTIA
 Fermate, è mio quel soglio.
1185Io vi voglio salir. Ma Giove irato
 mi fulmina e precipita
 e la terra mi affoga e il mar mi accoppa,
 ahimè, mi danno un maglio sulla coppa.
 GRAZIOSINO
 Questa è pazza davvero.
 CINTIA
1190Buongiorno, cavaliero.
 GRAZIOSINO
 Schiavo, padrona mia.
 CINTIA
 Andate col malan che il ciel vi dia.
 GRAZIOSINO
 (Ha perduto il cervello).
 CINTIA
 Perfido, tu sei quello
1195che vuol rapirmi il trono?
 Vattene o ti bastono.
 GRAZIOSINO
                                        Io non so nulla.
 CINTIA
 
    Il capo mi frulla,
 la testa sen va.
 La la laranlella
1200la lan laranlà.
 
 GRAZIOSINO
 Quando in capo alle donne
 entran di dominar le frenesie,
 si vedono da lor mille pazzie.
 CINTIA
 Olà, tu sei mio schiavo.
 GRAZIOSINO
                                             Sì signora.
 CINTIA
1205Accostati.
 GRAZIOSINO
                     Son qui.
 CINTIA
                                       Vanne in malora.
 GRAZIOSINO
 La femmina tradir non può l’usanza;
 e anche pazza mantiene la incostanza.
 CINTIA
 Olà suddito altero
 del mio sovrano impero,
1210mi conosci, briccon, sai tu chi sono?
 Inginocchiati al trono;
 giurami fedeltà con obbedienza;
 abbassa il capo e fammi riverenza.
 GRAZIOSINO
 Eh via che siete pazza...
 CINTIA
                                              Ah temerario,
1215così parli con me!
 Giurami fedeltade a tuo dispetto
 o ch’io ti caccio questo stile in petto.
 GRAZIOSINO
 Piano, piano, son qui, tutto farò.
 CINTIA
 Giurami fedeltà.
 GRAZIOSINO
                                  La giurerò.
 
1220   Giuro... signora sì.
 Ma cosa ho da giurar?
 Giuro... (che via di qui
 procurerò d’andar).
 
    Fermate, giuro, giuro
1225servirvi, obbedirvi,
 piacervi, vedervi,
 amarvi, onorarvi
 e irvi, irvi, arvi
 con tutta fedeltà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 CINTIA, poi GIACINTO
 
 CINTIA
1230Ah ch’è un piacer soave
 della donna tener gl’uomini sotto.
 Ma ohimè veggo distrutta
 questa nostra grand’opra
 e gl’uomini vuon star a noi di sopra.
 GIACINTO
1235Viva il sesso virile;
 la schiatta feminile
 con tutti i grilli suoi
 finalmente ha da star soggetta a noi.
 CINTIA
 Giacinto.
 GIACINTO
                    Che bramate?
 CINTIA
1240Voglio che voi mi amate.
 GIACINTO
                                                Questo «voglio»
 a voi, signora, non sta bene in bocca,
 perché alle donne comandar non tocca.
 CINTIA
 Ma voi siete mio schiavo.
 GIACINTO
                                                 Schiavo io fui,
 è ver, della bellezza;
1245ma veggo alfin che la bellezza nostra
 è assai migliore e val più della vostra.
 CINTIA
 Dunque voi mi lasciate?
 GIACINTO
 Se l’amor mio bramate,
 pregatemi, umiliatevi,
1250abbassate l’orgoglio e inginocchiatevi.
 CINTIA
 E così vil sarò?
 GIACINTO
                              Più non sperate
 amor da me né ch’altri amar vi voglia,
 se negate di usar questa obbedienza.
 CINTIA
 Farlo mi converrà, per non star senza.
 
1255   Eccomi al vostro piede
 pietade a domandar.
 
 GIACINTO
 
    Impari chi la vede
 le donne ad umiliar.
 
 CINTIA
 
    Ma troppo vil son io.
 
 GIACINTO
 
1260Se non volete, addio.
 
 CINTIA
 
 Fermate.
 
 GIACINTO
 
                    Voglio andar.
 
 CINTIA
 
    Via, caro Giacintino, (S’inginocchia)
 tornatemi ad amar.
 
 GIACINTO
 
    Il sesso feminino
1265si venga ad ispecchiar.
 
 CINTIA
 
    Ma questo mai non fia.
 
 GIACINTO
 
 Bondì a vusignoria.
 
 CINTIA
 
 Fermatevi.
 
 GIACINTO
 
                        Pregatemi.
 
 CINTIA
 
 Ohimè che crudeltà!
 
 GIACINTO
 
1270Rispetto ed umiltà.
 
 CINTIA
 
    Caro il mio bambolo
 per carità.
 
 GIACINTO
 
    Mi sento movere
 tutto a pietà.
 
 A DUE
 
1275   Visetto amabile,
 siete adorabile;
 il mio cuor tenero
 vi adorerà.
 
 SCENA ULTIMA
 
 Luogo delizioso e magnifico destinato per piacevole trattenimento delle femine dominanti.
 
 Tutti
 
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi,
1280voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 RINALDINO
 Se cedete l’impero,
 se a noi voi vi arrendete,
 pietà nel nostro cor ritroverete.
 TULLIA
1285Tutto io cedo e m’arrendo
 e la pietà dal vostro core attendo.
 CORO (Come sopra)
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 AURORA
1290Graziosino, son vostra.
 GRAZIOSINO
 Ed io vi accetterò.
 Vi terrò, v’amerò, vi sposerò.
 CINTIA
 E voi, Giacinto mio?
 GIACINTO
 Quel che di voi farò lo sentirete.
 FERRAMONTE
1295Lode al ciel, finalmente s’è veduto
 che Il mondo alla roversa
 durare non potea
 e che da sé medesime
 in rovina si mandano
1300le donne superbette che comandano.
 CORO DI DONNE
 
    Pietà, pietà di noi,
 voi siete tanti eroi,
 pietà, di noi pietà.
 
 CORO DI UOMINI
 
    Pietà voi troverete
1305allorché abbasserete
 la vostra vanità.
 
 TUTTI
 
    Le donne che comandano
 è Il mondo alla roversa
 che mai non durerà.
 
 Fine del dramma
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 IL MONDO ALLA ROVERSA O SIA LE DONNE CHE COMANDANO
 
 
    Dramma giocoso per musica da rappresentarsi nel teatro nuovo di San Samuele il carnovale dell’anno 1753, dedicato alla nobiltà veneziana.
    In Venezia, MDCCLIII, appresso Modesto Fenzo, con licenza de’ superiori.
 
 
 Eccellenze,
    tutte le mie fatiche, tutte le mie attenzioni sarebbero riuscite vane senza il clementissimo aggradimento della nobiltà veneziana, per il di cui piacere ho affaticato coll’opera e colla mente. Se qualche cosa non è riuscita di pubblico aggradimento non sarà colpa mia certamente; ma io, che gelosissimo sono dell’onor mio e della protezione benignissima delle eccellenze vostre, al difetto della terza operetta supplico con questa quarta, la quale se non ha il merito di tutta la novità, ha quello di essere stata altre volte piacciuta. Questa anderà in scena accompagnata da una decorazione che mi lusingo esser degna di tanti nobili spettatori, la quale, unitamente allopera stessa, alle eccellenze vostre dedico umilmente e consacro, di vostre eccellenze umilissimo, ossequentissimo, obbligatissimo servidore.
 
    Antonio Codognato
 
    Venezia, li 17 febbraro 1753
 
 
 PERSONAGGI
 
 RINALDINO
 (il signor Francesco Rolfi)
 TULIA
 (la signora Clementina Spagnuoli romana)
 GIACINTO
 (il signor Filippo Laschi, virtuoso di camera di sua altezza reale il principe Carlo, duca di Lorena e di Bar, eccetera, eccetera, eccetera)
 CINTIA
 (la signora Serafina Penni)
 AURORA
 (la signora Agata Ricci)
 GRAZIOSINO
 (il signor Giovanni Leonardi)
 FERRAMONTE
 (la signora Teresa Alberis)
 
 
 BALLERINI
 
    Madama San Giorgio André, monsieur Tavolagio, signora Anna Ricci, signora Madalena Ricci, la signora Margherita Falchini, la signora Laura Verder, la signora Giudita Falchini, la signora Geltruda Falchini, il signor Michele Costa, il signor Giovanni Guidetti, il signor Agostino Bologna, il signor Carlo Sabioni, signor Pietro Ricci. Maestro di balli il signor Francesco Sabioni.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Atto primo: atrio magnifico, corrispondente alla gran piazza, ornato di spoglie virili, acquistate in varie guise dalle accorte femine; appartamenti nobili nel palazzo delle femine dominanti.
    Atto secondo: camera preparata per il feminile consiglio; deliziosa alla riva del mare, il quale formando un seno nel lido offre commodo sbarco a piccioli legni; camera.
    Atto terzo: appartamenti nobili; luogo magnifico e delizioso destinato al divertimento delle donne primarie.
    La scena si rappresenta in una isola degli antipodi. Si avvisa che a riguardo della nuova decorazione la scena sarà stabile.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile spazioso, ornato di spoglie virili all’intorno, acquistate in varie guise dalle accorte femine. Termina il cortile con archi maestosi, oltre i quali vedesi la gran piazza, da dove entrano nel cortile sovra carro trionfale, tirato da vari uomini:
 
 TULIA, CINTIA, AURORA, precedute da coro di donne, le quali portano seco loro delle cattene e delle vittoriose insegne. Mentre si canta il coro gli uomini s’incatenano.
 
 TULIA, CINTIA, AURORA
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
 CORO
 
    Non fa scorno e non dà pena
 volontaria schiavitù.
 
 TULIA
5Ite all’opre servili
 e partite fra voi le cure e i pesi.
 Altri alla rocca intesi,
 altri all’ago, altri all’orto o alla cucina,
 dove il nostro comando or vi destina.
 AURORA
10Obbedite, servite e poi sperate,
 che il regno delle donne
 è di speranza pieno.
 Se goder non si può, si spera almeno.
 CINTIA
 E chi vive sperando
15per sua felicità muore cantando.
 CORO
 
    Presto, presto, alla catena,
 alla usata servitù.
 
    Non fa scorno, non dà pena
 volontaria schiavitù. (Partono gli uomini incatenati, condotti dalle donne. Le tre sudette scendono dal carro, il quale si fa retrocedere per la parte dond’è venuto)
 
 SCENA II
 
 TULIA, CINTIA e AURORA
 
 TULIA
20Poiché del viril sesso
 abbiam noi sottomesso il fier orgoglio,
 tener l’abbiamo incatenato al soglio.
 Ma quai credete voi,
 mie fedeli compagne e consigliere,
25fian migliori i progetti,
 gli uomini per tenere a noi soggetti?
 CINTIA
 Questo nemico sesso,
 di natura superbo e orgoglioso,
 scuote e lacera il fren, quand’è pietoso.
30Col rigor, col disprezzo,
 soglion le scaltre donne
 tener gli uomini avvinti e incatenati.
 Se sono innamorati
 tutto soglion soffrire; e quanto sono
35più sprezzanti le donne e più crudeli,
 essi son più pazienti e più fedeli.
 AURORA
 È ver ma crudeltà consuma amore.
 Io consiglio migliore
 credo sia il lusingarli,
40finger ognor d’amarli,
 accenderli ben bene a poco a poco
 e poi del loro amor prendersi gioco.
 TULIA
 Né troppo crude né pietose troppo
 essere ci convien, poiché il disprezzo
45eccita la pietà soverchio usata.
 La fierezza è temuta e non amata.
 Regoli la prudenza
 il feminile impero.
 Or clemente, or severo
50il nostro cor si mostri
 ed il sesso virile a noi si prostri.
 CINTIA
 Ognun pensi a suo senno; io vuo’ costoro
 aspramente trattar; voglio vederli
 piangere, sospirare,
55fremere, delirare;
 e vuo’ che, doppo un lungo
 crudo servire e amaro,
 un leggiero piacer mi paghin caro. (Parte)
 
 SCENA III
 
 TULIA ed AURORA
 
 TULIA
 Aurora, ah non vorrei
60che per troppo voler s’avesse a perdere
 l’acquistato finor dominio nostro.
 Donne alfin siamo e a noi
 forza non diè natura
 che nei vezzi, nei sguardi e in le parole.
65Spade e lancie trattar, loriche e scudi
 non è cosa da noi. Se l’uom si scuote,
 val più un braccio di lui che dieci destre
 di femine vezzose e tenerelle
 ch’hanno il loro potere in esser belle.
 AURORA
70Tulia, voi, per dir vero,
 saggiamente parlate e a voi la sorte
 diè sesso feminile
 ma il senno ed il saper più che virile.
 TULIA
 Raguniamo il consiglio.
75Facciam che stabilite
 siano leggi migliori, onde si tenda
 impossibile all’uom scuotere il giogo.
 Che se l’uomo ritorna ad esser fiero
 farà strage crudel del nostro impero.
 
80   No, tollerar non posso
 dell’uomo il fasto altero;
 vuo’ regolar l’impero
 qual giudice, qual re.
 
    Si frenerà l’orgoglio
85di quegli audaci cori;
 ciascuna a usar rigori
 apprenderà da me.
 
 SCENA IV
 
 AURORA, poi GRAZIOSINO
 
 AURORA
 Che piacer, che diletto
 puol recar alla donna il fier rigore!
90Il trattar con amore
 gl’uomini a noi soggetti
 soffrir li fa la servitude in pace
 e la femina gode e si compiace.
 Io fra quanti son presi ai lacci nostri
95amo il mio Graziosino,
 amoroso, fedele e semplicino,
 e lo tratto, perché mi adori e apprezzi,
 con soavi parole e dolci vezzi.
 Elà. (Esce un servo) Venga qui tosto
100Graziosino, lo schiavo a me soggetto. (Parte il servo)
 Infatti il poveretto
 merita ch’io gli faccia buona ciera,
 se mi serve e mi fa da cameriera.
 Eccolo ch’egli viene. Ehi Graziosino.
 GRAZIOSINO
105Signora. (Viene facendo le calze)
 AURORA
                    Cosa fate?
 GRAZIOSINO
 Lavoro in fretta in fretta
 e in tre mesi ho fatt’io mezza calzetta.
 AURORA
 Lasciate il lavorar. Venite qui.
 GRAZIOSINO
 Bene signora sì.
 AURORA
110Obbedirete sempre i cenni miei?
 GRAZIOSINO
 Io faccio quello che comanda lei.
 AURORA
 Caro il mio Graziosino,
 siete tanto bellino.
 GRAZIOSINO
 Mi fatte vergognar.
 AURORA
                                      Vi voglio bene.
115E vederete del mio amore il frutto.
 GRAZIOSINO
 Queste parole mi consolan tutto.
 AURORA
 Baciatemi la mano.
 GRAZIOSINO
                                      Gnora sì.
 AURORA
 Perché voi mi piacete,
 vi fo queste finezze.
 GRAZIOSINO
120Oh benedette sian le mie bellezze!
 AURORA
 Ma vuo’ che siate attento
 a servirmi qualora vi comando.
 La mattina per tempo
 mi recherete il cioccolato al letto;
125mi scalderete i panni;
 mi dovrete allestir la tavoletta;
 starete in anticamera aspettando
 per entrar il comando;
 e se verranno visite a trovarmi
130voi dovrete avisarmi
 e come fanno i buoni servitori
 voi dovrete aspettar e star di fuori.
 GRAZIOSINO
 Di fuori?
 AURORA
                    Vi s’intende.
 GRAZIOSINO
 E dentro?
 AURORA
                      Signor no,
135aspettar voi dovrete.
 GRAZIOSINO
                                        Aspetterò.
 AURORA
 Se farete così vi vorrò bene.
 GRAZIOSINO
 Sì cara, farò tutto.
 Farò la cameriera;
 farò la cuciniera;
140farò tutte le cose più triviali;
 laverò le scudele e gli orinali.
 AURORA
 In cose tanto abiette
 impiegarvi non vuo’. Voi siete alfine
 il mio caro, il mio bello,
145il mio amor tenerello,
 il mio fedele amato Graziosino,
 tanto caro al mio cor, tanto bellino.
 
    Quegl’occhietti sì furbetti
 m’hanno fatta innamorar;
150quel bocchino piccinino
 mi fa sempre sospirar;
 
    caro il mio bene,
 dolce mia speme,
 sempre sempre
155ti voglio amar.
 
    (Ei gode tutto.
 E questo è il frutto
 della lusinga.
 Ami o lo finga
160donna che vuole
 l’uomo incantar).
 
 SCENA V
 
 GRAZIOSINO solo
 
 GRAZIOSINO
 Oh che gusto, oh che gusto! Ah che mi sento
 andar per il contento il cor in brodo.
 Graziosin fortunato! Oh quanto io godo!
165Non si può dar nel mondo
 piacer che sia maggiore
 d’un corrisposto amore. Aman le belve,
 amano i sordi pesci, aman gli augelli,
 le pecore e gli agnelli;
170amano i cani e i gatti
 e quei che amar non san son tutti matti.
 
    Quando gli augelli cantano,
 amor li fa cantar;
 e quando i pesci guizzano,
175amor li fa guizzar.
 
    La pecora, la tortora,
 la passera, la lodola
 amor fa giubilar.
 Oh che piacer amabile!
180Oh che gustoso amar!
 
    Farò lo cuoco, farò lo sguattero;
 laverò i piatti ed ettecetera,
 purché l’amore mi faccia il core
 movere, ridere e giubilar.
 
 SCENA VI
 
 Camera.
 
 GIACINTO collo specchio in mano guardandosi con caricatura
 
 GIACINTO
 
185   Madre natura,
 tu m’hai tradito
 ma t’ho schernito
 col farmi bello
 con il pennello,
190come le donne
 sogliono far.
 
 Questa parrucca invero,
 questo capel, che colla polve è intriso,
 fa risaltar mirabilmente il viso.
195Al ragirar di queste
 mie vezzose pupille
 spargo fiamme e faville; e questa bocca,
 che sembra agli occhi miei graziosa e bella,
 fa tutte innamorar quando favella.
200Queste donne son tutte
 invaghite di me; schiavo son io
 di queste belle, è vero,
 ma sovra il loro cor tutt’ho l’impero.
 Ecco la vaga Cintia. Presto, presto,
205il nastro, la parrucca, i guanti, tutto,
 tutto assetar conviene e gli occhi e il labro,
 colle dolci parole e i dolci sguardi,
 si prepari a vibrar saette e dardi.
 CINTIA
 (Ecco il bell’amorino). (Ironicamente)
 GIACINTO
210Mia sovrana, mio nume, a voi m’inchino.
 CINTIA
 E ben, che fate qui?
 GIACINTO
                                       Qual farfalletta
 d’intorno al vostro lume
 vengo, mia bella, a incenerir le piume.
 CINTIA
 Parmi con più ragione
215vi potreste chiamare un farfallone.
 GIACINTO
 Quella vezzosa bocca
 non pronuncia che grazie e bizzarie.
 CINTIA
 La vostra non sa dir che scioccherie.
 GIACINTO
 Deh lasciate ch’io possa
220coll’odoroso fiato
 de’ miei caldi sospiri
 quelle belle incensar guancie adorate.
 CINTIA
 Andate via di qua; non mi seccate.
 GIACINTO
 Ah, se sdegnate, o bella,
225i fumi del mio cor, porterò altrove
 il mio guardo, il mio piede,
 il mio affetto sincero e la mia fede.
 CINTIA
 Olà, così si parla?
 Voi staccarvi da me! Voi d’altra donna
230servo, schiavo ed amante?
 Temerario, arrogante,
 voi dovete sofrir le mie catene.
 GIACINTO
 Qual mercede averò?
 CINTIA
                                          Tormenti e pene.
 GIACINTO
 Giove, Pluton, Nettuno,
235dei tremendi e possenti,
 voi che udite gli accenti
 d’una donna spietata,
 spezzate voi questa catena ingrata.
 Sì sì, Nettun m’inspira,
240Giove mi dà valore,
 Pluto mi dà furore;
 perfida tirannia,
 umilmente m’inchino e vado via.
 CINTIA
 Fermatevi; ed avrete
245tanto cor di lasciarmi?
 Voi diceste d’amarmi,
 di servirmi fedel con tutto il core
 ed ora mi lasciate? Ah traditore!
 GIACINTO
 Ma se voi mi sprezzate,
250se voi mi dileggiate,
 come s’io fossi un uom zottico e vile,
 e studio invan di comparir gentile.
 CINTIA
 Senza studiar, voi siete
 abbastanza gentil, grazioso e bello.
255Quell’occhio briconcello,
 quel vezzoso bocchin, quel bel visetto
 m’hanno fatta una piaga in mezzo al petto.
 GIACINTO
 Dunque, cara, mi amate.
 CINTIA
                                                Sì, v’adoro.
 GIACINTO
 Idol mio, mio tesoro,
260lingua non ho bastante
 per render grazie al vostro dolce amore.
 Concedete il favore
 che rispettosamente
 e umilissimamente
265io vi possa baciar la bella mano.
 CINTIA
 Oh signor no, voi lo sperate invano.
 GIACINTO
 Ma perché mai? Perché?
 CINTIA
 Queste grazie da me
 non si han sì facilmente.
 GIACINTO
270Io morirò.
 CINTIA
                      No me n’importa niente.
 GIACINTO
 Dunque, se non v’importa,
 d’altra bella sarò.
 CINTIA
                                  Voi siete mio.
 GIACINTO
 Che ne volete far?
 CINTIA
                                    Quel che vogl’io.
 GIACINTO
 Ah quel dolce rigor più m’incatena!
275Soffrirò la mia pena,
 morirò, schiatterò, se lo bramate.
 Basta, bell’idol mio, che voi mi amate.
 
    Feritemi, piagatemi,
 ch’io non mi lagnerò.
280Amatemi, miratemi
 o presto morirò.