Attilio Regolo, libretto, Napoli, Flauto, 1761

 Qual serie di sventure un giorno solo
 unisce a’ danni miei! Mandane, ah senti.
 MANDANE
830Non m’arrestar, Semira.
 SEMIRA
                                               Ove t’affretti?
 MANDANE
 Vado al real consiglio.
 SEMIRA
                                          Io tua seguace
 sarò, se giova all’infelice Arbace.
 MANDANE
 L’interesse è distinto;
 tu salvo il brami ed io lo voglio estinto.
 SEMIRA
835E un’amante d’Arbace
 parla così?
 MANDANE
                       Parla così, Semira,
 una figlia di Serse.
 SEMIRA
                                     Il mio germano
 o non ha colpa o per tua colpa è reo,
 perché troppo t’amò...
 MANDANE
                                           Questo è il maggiore
840de’ falli suoi. Col suo morir degg’io
 giustificar me stessa e vendicarmi
 di quel rossor che soffre
 il mio genio real che a lui donato
 dovea destarlo a generose imprese,
845e per mia pena un traditor lo rese.
 SEMIRA
 E non basta a punirlo
 delle leggi il rigor che a lui sovrasta,
 senza gl’impulsi tuoi?
 MANDANE
                                           No che non basta.
 Io temo in Artaserse
850la tenera amistà; temo l’affetto
 ne’ satrapi e ne’ grandi; e temo in lui
 quell’ignoto poter, quell’astro amico
 che in fronte gli risplende,
 che degli animi altrui signor lo rende.
 SEMIRA
855Va’, sollecita il colpo,
 accusalo, spietata,
 riducilo a morir; però misura
 prima la tua costanza. Hai da scordarti
 le speranze, gli affetti,
860la data fé, le tenerezze, i primi
 scambievoli sospiri, i primi sguardi,
 e l’idea di quel volto
 dove apprese il tuo core
 la prima volta a sospirar d’amore.
 MANDANE
865Ah barbara Semira
 io che ti feci mai? Perché risvegli
 quella al dover ribelle
 colpevole pietà che opprimo in seno
 a forza di virtù? Perché ritorni
870con quest’idea, che ’l mio coraggio atterra,
 fra’ miei pensieri a rinnovar la guerra?
 
    Se d’un amor tiranno
 credei di trionfar,
 lasciami nell’inganno,
875lasciami lusingar
 che più non amo.
 
    Se l’odio è il mio dover,
 barbara, e tu lo sai,
 perché avveder mi fai
880che invan lo bramo? (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SEMIRA
 
 SEMIRA
 A qual di tanti mali
 prima oppormi degg’io? Mandane, Arbace,
 Megabise, Artaserse, il genitore
 tutti son miei nemici. Ognun m’assale
885in alcuna del cor tenera parte;
 mentre ad uno m’oppongo, io resto agli altri
 senza difesa esposta; ed il contrasto
 sola di tutti a sostener non basto.
 
    Se del fiume altera l’onda
890tenta uscir dal letto usato,
 corre a questa, a quella sponda
 l’affannato agricoltor.
 
    Ma disperde in su l’arene
 il sudor, le cure e l’arti,
895che se in una ei lo trattiene,
 si fa strada in cento parti
 il torrente vincitor. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
  Gran sala del real consiglio con trono da un lato e sedili dall’altro per i grandi del regno. Tavolino e sedia alla destra del suddetto trono.
 
 ARTASERSE preceduto da una parte delle guardie e da’ grandi del regno e seguito dal restante delle guardie; poi MEGABISE
 
 ARTASERSE
 Eccomi, o della Persia
 fidi sostegni, del paterno soglio
900le cure a tollerar. Son del mio regno
 sì torbidi i principi e sì funesti
 che l’inesperta mano
 teme di questo avvicinarsi al freno;
 voi che nudrite in seno
905zelo, valore, esperienza e fede,
 dell’affetto in mercede
 che ’l mio gran genitor vi diede in dono,
 siatemi scorta in su le vie del trono.
 MEGABISE
 Mio re, chiedono a gara
910e Mandane e Semira a te l’ingresso.
 ARTASERSE
 Oh dei! Vengano. Io vedo (Parte Megabise)
 qual diversa cagione entrambe affretta.
 
 SCENA IX
 
 MANDANE, SEMIRA, MEGABISE e detto
 
 SEMIRA
 Artaserse pietà.
 MANDANE
                                Signor vendetta.
 D’un reo chiedo la morte.
 SEMIRA
                                                 Ed io la vita
915d’un innocente imploro.
 MANDANE
                                               Il fallo è certo.
 SEMIRA
 Incerto è il traditor.
 MANDANE
                                       Condanna Arbace
 ogni apparenza.
 SEMIRA
                                Assolve
 Arbace ogni ragione.
 MANDANE
                                         Il sangue sparso
 dalle vene del padre
920chiede un castigo.
 SEMIRA
                                    E il conservato sangue
 nelle vene del figlio un premio chiede.
 MANDANE
 Ricordati...
 SEMIRA
                        Rammenta...
 MANDANE
 Che sostegno del trono
 solo è il rigor.
 SEMIRA
                            Che la clemenza è base.
 MANDANE
925D’una misera figlia
 deh t’irriti il dolor.
 SEMIRA
                                     Ti plachi il pianto
 d’un’afflitta germana.
 MANDANE
                                           Ognun che vedi,
 fuor che Semira, il sagrifizio aspetta.
 SEMIRA
 Artaserse, pietà. (S’inginocchiano)
 MANDANE
                                  Signor, vendetta.
 ARTASERSE
930Sorgete, oh dio! Sorgete. Il vostro affanno
 quanto è minor del mio! Teme Semira
 il mio rigor, Mandane
 teme la mia clemenza. E amico e figlio
 Artaserse sospira
935nel timor di Mandane e di Semira.
 Solo d’entrambe io così provo... Ah vieni, (Vedendo Artabano)
 consolami, Artabano. Hai per Arbace
 difesa alcuna? Ei si discolpa?
 
 SCENA X
 
 ARTABANO e detti
 
 ARTABANO
                                                        È vana
 la tua, la mia pietà. La sua salvezza
940o non cura o dispera.
 ARTASERSE
                                         E vuol ridurmi
 l’ingrato a condannarlo?
 SEMIRA
 Condannarlo! Ah crudel! Dunque vedrassi
 sotto un’infame scure
 di Semira il germano,
945della Persia l’onore,
 l’amico d’Artaserse, il difensore?
 Misero Arbace! Inutile mio pianto!
 Vilipeso dolor!
 ARTASERSE
                              Semira, a torto
 m’accusi di crudel. Che far poss’io,
950se difesa non ha? Tu che faresti?
 Che farebbe Artabano? Olà custodi,
 Arbace a me si guidi; il padre istesso
 sia giudice del figlio. Egli l’ascolti,
 ei l’assolva, se può. Tutta in sua mano
955la mia depongo autorità reale.
 ARTABANO
 Come!
 MANDANE
                E tanto prevale
 l’amicizia al dover? Punir nol vuoi,
 se la pena del reo commetti al padre.
 ARTASERSE
 A un padre io la commetto
960di cui nota è la fé, che un figlio accusa
 ch’io difender vorrei, che di punirlo
 ha più ragion di me.
 MANDANE
                                        Ma sempre è padre.
 ARTASERSE
 Perciò doppia ragione
 ha di punirlo. Io vendicar di Serse
965la morte sol deggio in Arbace. Ei deve
 nel figlio vendicar con più rigore
 e di Serse la morte e ’l suo rossore.
 MANDANE
 Dunque così...
 ARTASERSE
                             Così se Arbace è il reo
 la vittima assicuro al re svenato;
970ed al mio difensor non sono ingrato.
 ARTABANO
 Ah signor, qual cimento...
 ARTASERSE
 Degno di tua virtù.
 ARTABANO
                                      Di questa scelta
 che si dirà?
 ARTASERSE
                         Che si può dir? Parlate, (Ai grandi)
 se v’è ragion che a dubitar vi muova.
 MEGABISE
975Il silenzio d’ognun la scelta approva.
 SEMIRA
 Ecco il germano.
 MANDANE
                                 (Aimè!)
 ARTASERSE
                                                   S’ascolti. (Artaserse va in trono ed i grandi siedono)
 ARTABANO
                                                                      (Affetti,
 ah tollerate il freno). (Nell’andare a sedere al tavolino)
 MANDANE
 (Povero cor, non palpitarmi in seno).
 
 SCENA XI
 
 ARBACE con catene fra alcune guardie e detti
 
 ARBACE
 Tanto in odio alla Persia
980dunque son io che di mia rea fortuna
 l’ingiustizie a mirar tutta s’aduna!
 Mio re...
 ARTASERSE
                   Chiamami amico; infin ch’io possa
 dubitar del tuo fallo esser lo voglio;
 e perché sì bel nome
985in un giudice è colpa, ad Artabano
 il giudizio è commesso.
 ARBACE
                                             Al padre!
 ARTASERSE
                                                                 A lui.
 ARBACE
 (Gelo d’orror!)
 ARTABANO
                              Che pensi? Ammiri forse
 la mia costanza?
 ARBACE
                                 Inorridisco o padre
 nel mirarti in quel luogo, e ripensando
990qual io son, qual tu sei. Come potesti
 farti giudice mio? Come conservi
 così intrepido il volto e non ti senti
 l’anima lacerar?
 ARTABANO
                                 Quai moti interni
 io provi in me tu ricercar non devi,
995né quale intelligenza
 abbia col volto il cor. Qualunque io sia,
 lo son per colpa tua. Se a’ miei consigli
 tu davi orecchio e seguitar sapevi
 l’orme d’un padre amante, in faccia a questi
1000giudice non sarei, reo non saresti.
 ARTASERSE
 Misero genitor!
 MANDANE
                                Qui non si venne
 i vostri ad ascoltar privati affanni;
 o Arbace si difenda o si condanni.
 ARBACE
 (Quanto rigor!)
 ARTABANO
                                Dunque alle mie richieste
1005risponda il reo. Tu comparisci, Arbace,
 di Serse l’uccisor. Ne sei convinto;
 ecco le prove. Un temerario amore,
 uno sdegno ribelle...
 ARBACE
                                        Il ferro, il sangue,
 il tempo, il luogo, il mio timor, la fuga
1010so che la colpa mia fanno evidente;
 e pur vera non è, sono innocente.
 ARTABANO
 Dimostralo, se puoi; placa lo sdegno
 dell’offesa Mandane.
 ARBACE
                                         Ah se mi vuoi
 costante nel soffrir, non assalirmi
1015in sì tenera parte. Al nome amato,
 barbaro genitor...
 ARTABANO
                                   Taci; non vedi
 nella tua cieca intolleranza e stolta
 dove sei, con chi parli e chi t’ascolta?
 ARBACE
 Ma padre...
 ARTABANO
                        (Affetti, ah tollerate il freno!)
 MANDANE
1020(Povero cor, non palpitarmi in seno).
 ARTABANO
 Chiede pur la tua colpa
 difesa o pentimento.
 ARTASERSE
                                         Ah porgi aita
 alla nostra pietà.
 ARBACE
                                 Mio re, non trovo
 né colpa né difesa
1025né motivo a pentirmi; e se mi chiedi
 mille volte ragion di questo eccesso,
 tornerò mille volte a dir l’istesso.
 ARTABANO
 (Oh amor di figlio!)
 MANDANE
                                       Egli ugualmente è reo,
 o se parla o se tace. Or che si pensa?
1030Il giudice che fa? Questo è quel padre
 che vendicar doveva un doppio oltraggio?
 ARBACE
 Mi vuoi morto, o Mandane?
 MANDANE
                                                     (Alma coraggio).
 ARTABANO
 Principessa, è il tuo sdegno
 sprone alla mia virtù. Resti alla Persia
1035nel rigor d’Artabano un grand’esempio
 di giustizia e di fé non visto ancora.
 Io condanno il mio figlio; Arbace mora. (Sottoscrive il foglio)
 MANDANE
 (Oh dio!)
 ARTASERSE
                     Sospendi amico
 il decreto fatal.
 ARTABANO
                              Segnato è il foglio,
1040ho compito il dover. (S’alza e dà il foglio)
 ARTASERSE
                                        Barbaro vanto! (Scende dal trono e i grandi si levano da sedere)
 SEMIRA
 Padre inumano!
 MANDANE
                                 (Ah mi tradisce il pianto!)
 ARBACE
 Piange Mandane! E pur sentisti alfine
 qualche pietà del mio destin tiranno.
 MANDANE
 Si piange di piacer come d’affanno.
 ARTABANO
1045Di giudice severo
 adempite ho le parti. Ah si permetta
 agli affetti di padre
 uno sfogo, o signor. Figlio, perdona
 alla barbara legge
1050d’un tiranno dover. Soffri, che poco
 ti rimane a soffrir. Non ti spaventi
 l’aspetto della pena; il mal peggiore
 è de’ mali il timor.
 ARBACE
                                     Vacilla, o padre,
 la sofferenza mia. Trovarmi esposto
1055in faccia al mondo intero
 in sembianza di reo, veder recise
 sul verdeggiar le mie speranze, estinti
 su l’aurora i miei dì, vedermi in odio
 alla Persia, all’amico, a lei che adoro,
1060saper che ’l padre mio...
 Barbaro padre... (Ah ch’io mi perdo!) Addio. (In atto di partire, poi si ferma)
 ARTABANO
 (Io gelo).
 MANDANE
                    (Io moro).
 ARBACE
                                          Oh temerario Arbace,
 dove trascorri! Ah genitor, perdona;
 eccomi a’ piedi tuoi. Scusa i trasporti
1065d’un insano dolor. Tutto il mio sangue
 si versi pur, non me ne lagno; e invece
 di chiamarla tiranna,
 io bacio quella man che mi condanna.
 ARTABANO
 Basta, sorgi; purtroppo
1070hai ragion di lagnarti;
 ma sappi... (Oh dio!) Prendi un abbraccio e parti.
 ARBACE
 
    Per quel paterno amplesso,
 per questo estremo addio,
 conservami te stesso,
1075placami l’idol mio,
 difendimi il mio re.
 
    Vado a morir beato,
 se della Persia il fato
 tutto si sfoga in me. (Parte fra le guardie seguito da Megabise e partono i grandi)
 
 SCENA XII
 
 MANDANE, ARTASERSE, SEMIRA ed ARTABANO
 
 MANDANE
1080(Ah che al partir d’Arbace
 io comincio a provar che sia la morte!)
 ARTABANO
 A prezzo del mio sangue ecco, o Mandane,
 sodisfatto il tuo sdegno.
 MANDANE
                                              Ah scellerato!
 Fuggi dagli occhi miei, fuggi la luce
1085delle stelle e del sol; celati, indegno,
 nelle più cupe e cieche
 viscere della terra,
 se pur la terra istessa a un empio padre,
 così d’umanità privo e d’affetto,
1090nelle viscere sue darà ricetto.
 ARTABANO
 Dunque la mia virtù...
 MANDANE
                                           Taci, inumano;
 di qual virtù ti vanti?
 Ha questa i suoi confini; e quando eccede,
 cangiata in vizio ogni virtù si vede.
 ARTABANO
1095Ma non sei quell’istessa
 che finor m’irritò?
 MANDANE
                                     Son quella e sono
 degna di lode. E se dovesse Arbace
 giudicarsi di nuovo, io la sua morte
 di nuovo chiederei. Dovea Mandane
1100un padre vendicar; salvare un figlio
 Artabano doveva. A te l’affetto,
 l’odio a me conveniva. Io l’interesse
 d’una tenera amante
 non dovevo ascoltar; ma tu dovevi
1105di giudice il rigor porre in oblio;
 questo era il tuo dover, quello era il mio.
 
    Va’ tra le selve ircane,
 barbaro genitor;
 fiera di te peggior,
1110mostro peggior non v’è.
 
    Quanto di reo produce
 l’Africa al sol vicina,
 l’inospita marina,
 tutto s’aduna in te. (Parte)
 
 SCENA XIII
 
 ARTASERSE, SEMIRA ed ARTABANO
 
 ARTASERSE
1115Quanto, amata Semira,
 congiura il ciel del nostro Arbace a danno!
 SEMIRA
 Inumano! Tiranno!
 Così presto ti cangi?
 Prima uccidi l’amico e poi lo piangi?
 ARTASERSE
1120All’arbitrio del padre
 la sua vita commisi;
 ed io sono il tiranno ed io l’uccisi?
 SEMIRA
 Questa è la più ingegnosa
 barbara crudeltà. Giudice il padre
1125era servo alla legge. A te sovrano
 la legge era vassalla. Ei non poteva
 esser pietoso e tu dovevi. Eh dimmi
 che godi di veder svenato un figlio
 per man del genitore,
1130che amicizia non hai, non senti amore.
 ARTASERSE
 Parli la Persia e dica
 se ad Arbace son grato,
 se ho pietà del tuo duol, se t’amo ancora.
 SEMIRA
 Ben ti credei finora,
1135lusingata ancor io dal genio antico,
 pietoso amante e generoso amico;
 ma ti scopre un istante
 perfido amico e dispietato amante.
 
    Per quell’affetto
1140che l’incatena,
 l’ira depone
 la tigre armena,
 lascia il leone
 la crudeltà.
 
1145   Tu delle fiere
 più fiero ancora,
 alle preghiere
 di chi t’adora
 spogli il tuo petto
1150d’ogni pietà. (Parte)
 
 SCENA XIV
 
 ARTASERSE ed ARTABANO
 
 ARTASERSE
 Dell’ingrata Semira
 i rimproveri udisti?
 ARTABANO
                                        Udisti i sdegni
 dell’ingiusta Mandane?
 ARTASERSE
                                              Io son pietoso
 e tiranno mi chiama!
 ARTABANO
                                          Io giusto sono
1155e mi chiama crudel!
 ARTASERSE
                                        Di mia clemenza
 è questo il prezzo!
 ARTABANO
                                    La mercede è questa
 d’un’austera virtù!
 ARTASERSE
                                     Quanto in un giorno,
 quanto perdo, Artabano!
 ARTABANO
                                                Ah non lagnarti;
 lascia a me le querele. Oggi d’ogn’altro
1160più misero son io.
 ARTASERSE
 Grande è il tuo duol ma non è lieve il mio.
 
    Non conosco in tal momento
 se l’amico o il genitore
 sia più degno di pietà.
 
1165   So però per mio tormento
 ch’era scelta in me l’amore,
 ch’era in te necessità. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 ARTABANO
 
 ARTABANO
 Son pur solo una volta e dall’affanno
 respiro in libertà. Quasi mi persi
1170nel sentirmi d’Arbace
 giudice nominar; ma superato
 non si pensi al periglio.
 Salvai me stesso, or si difenda il figlio.
 
    Così stupisce e cade
1175pallido e smorto in viso
 al fulmine improvviso
 l’attonito pastor.
 
    Ma quando poi s’avvede
 del vano suo spavento,
1180sorge, respira, e riede
 a numerar l’armento
 disperso dal timor.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
  Parte interna della fortezza, nella quale è ritenuto prigione Arbace. Cancelli in prospetto. Picciola porta a mano destra, per la quale si ascende alla reggia.
 
 ARBACE, poi ARTASERSE
 
 ARBACE
 
    Perché tarda è mai la morte,
 quando è termine al martir!
 
1185   A chi vive in lieta sorte
 è sollecito il morir.
 
 ARTASERSE
 Arbace.
 ARBACE
                  Oh dei, che miro! In questo albergo
 di mestizia e d’orror chi mai ti guida?
 ARTASERSE
 La pietà, l’amicizia.
 ARBACE
                                       A funestarti
1190perché vieni, o signor?
 ARTASERSE
                                            Vengo a salvarti.
 ARBACE
 A salvarmi!
 ARTASERSE
                         Non più. Per questa via,
 che in solitaria parte
 termina della reggia, i passi affretta;
 fuggi cauto da questo
1195in altro regno e quivi
 rammentati Artaserse, amalo e vivi.
 ARBACE
 Mio re, se reo mi credi,
 perché vieni a salvarmi? E se innocente,
 perché debbo fuggir?
 ARTASERSE
                                          Se reo tu sei,
1200io ti rendo una vita
 che a me donasti; e se innocente, io t’offro
 quello scampo che solo
 puoi tacendo ottener. Fuggi, risparmia
 d’un amico all’affetto
1205d’ucciderti il dolor. Placa i tumulti
 di quest’alma agitata. O sia che cieco
 l’amicizia mi renda o sia che un nume
 protegga l’innocenza, io non ho pace,
 se tu salvo non sei. Parmi nel seno
1210una voce ascoltar che ognor mi dica,
 qualor bilancio e la tua colpa e ’l merto,
 che il fallo è dubbio, il benefizio è certo.
 ARBACE
 Signor lascia ch’io mora. In faccia al mondo
 colpevole apparisco ed a punirmi
1215t’obbliga l’onor tuo. Morrò felice,
 se all’amico conservo e al mio signore
 una volta la vita, una l’onore.
 ARTASERSE
 Sensi non anco intesi
 su le labbra d’un reo! Diletto Arbace,
1220non perdiamo i momenti. All’onor mio
 basterà che si sparga
 che un segreto castigo
 già ti punì, che funestar non volli
 di questo dì la pompa, in cui mirarmi
1225l’Asia dovrà la prima volta in trono.
 ARBACE
 Ma potrebbe il tuo dono
 un giorno esser palese. E allora...
 ARTASERSE
                                                              Ah parti,
 amico, io te ne priego; e se pregando
 nulla ottener poss’io, re tel comando.
 ARBACE
1230Ubbidisco al mio re. Possa una volta
 esserti grato Arbace. Ascolti intanto
 il cielo i voti miei;
 regni Artaserse e gli anni
 del suo regno felice
1235distinguano i trionfi; allori e palme
 tutto il mondo vassallo a lui raccolga;
 lentamente ravvolga
 i suoi giorni la parca; e resti a lui
 quella pace ch’io perdo,
1240che non spero trovar fino a quel giorno
 che alla patria e all’amico io non ritorno.
 
    L’onda dal mar divisa
 bagna la valle e ’l monte;
 va passaggiera in fiume,
1245va prigioniera in fonte,
 mormora sempre e geme,
 fin che non torna al mar.
 
    Al mar dov’ella nacque,
 dove acquistò gli umori,
1250dove da’ lunghi errori
 spera di riposar. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ARTASERSE
 
 ARTASERSE
 Quella fronte sicura e quel sembiante
 non l’accusano reo. L’esterna spoglia
 tutta d’un’alma grande
1255la luce non ricopre;
 e in gran parte dal volto il cor si scopre.
 
    Nuvoletta opposta al sole
 spesso il giorno adombra e vela
 ma non cela il suo splendor.
 
1260   Copre invan le basse arene
 picciol rio col velo ondoso,
 che rivela il fondo algoso
 la chiarezza dell’umor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ARTABANO con seguito di congiurati, poi MEGABISE, tutti da’ cancelli, a guardia de’ quali restano i congiurati
 
 ARTABANO
 Figlio, Arbace, ove sei? Dovrebbe pure
1265ascoltar le mie voci! Arbace? Oh stelle!
 Dove mai si celò! Compagni, intanto
 ch’io ritrovo il mio figlio,
 custodite l’ingresso. (Entra fra le scene a mano destra)
 MEGABISE
                                        E ancor si tarda? (Ai congiurati)
 Ormai tempo saria... Ma qui non vedo
1270né Artabano né Arbace!
 Che si fa? Che si pensa? In tanta impresa
 che lentezza è mai questa?
 Artabano, signore. (Entrando fra le scene a mano sinistra)
 ARTABANO
                                      Oh me perduto! (Uscendo dall’istesso lato per il quale entrò ma da strada diversa)
 Non trovo il figlio mio. Gelar mi sento;
1275temo... Dubito... Ascoso
 forse in quest’altra parte io non invano...
 Megabise! (Incontrandosi in Megabise, quale esce dall’istesso lato, per il quale entrò, ma da strada diversa)
 MEGABISE
                        Artabano!
 ARTABANO
 Trovasti Arbace?
 MEGABISE
                                  E non è teco?
 ARTABANO
                                                             Oh dei!
 Crescono i dubbi miei.
 MEGABISE
                                             Spiegati, parla;
1280che fu d’Arbace?
 ARTABANO
                                  E chi può dirlo? Ondeggio
 fra mille affanni e mille
 orribili sospetti. Il mio timore
 quante funeste idee forma e descrive!
 Chi sa che fu di lui! Chi sa se vive!
 MEGABISE
1285Troppo presto all’estremo
 precipiti i sospetti. E non potrebbe
 Artaserse, Mandane, amico, amante
 aver del prigioniero
 procurata la fuga? Ecco la via
1290che alla reggia conduce.
 ARTABANO
                                              E per qual fine
 la sua fuga celarmi? Ah Megabise,
 no, più non vive Arbace
 e ognun pietoso al genitor lo tace.
 MEGABISE
 Cessin gli dei l’augurio. Ah ricomponi
1295i tumulti del cor. Sia la tua mente
 men torbida e più pronta,
 che l’impresa il richiede.
 ARTABANO
                                                E quale impresa
 vuoi ch’io pensi a compir, perduto il figlio?
 MEGABISE
 Signor che dici? Avrem sedotti invano
1300tu i reali custodi ed io le schiere?
 Risolviti; a momenti
 va del regno le leggi
 Artaserse a giurar. La sacra tazza
 già per tuo cenno avvelenai. Vogliamo
1305perder così vilmente
 tanto sudor, cure sì grandi?
 ARTABANO
                                                     Amico,
 se Arbace io non ritrovo,
 per chi deggio affannarmi? Era il mio figlio
 la tenerezza mia. Per dargli un regno
1310divenni traditor; per lui mi resi
 orribile a me stesso; e lui perduto
 tutto dispero e tutto
 veggio de’ falli miei rapirmi il frutto.
 MEGABISE
 Arbace estinto o vivo
1315dalla tua mano aspetta
 il regno o la vendetta.
 ARTABANO
                                          Ah questa sola
 in vita mi trattien. Sì Megabise
 guidami dove vuoi, di te mi fido.