Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Praga, Prussa, 1754 (Il mondo alla roverscia)

    Un occhio modesto,
925un animo onesto.
 
 NARDO
 
 Scrivete; seimila
 li voglio apprezzar.
 
 LESBINA
 
    Scrivete; una lingua
 che sa ben parlar.
 
 NARDO
 
930Fermate; cessate.
 Tremila per questo
 ne voglio levar.
 
 CAPOCCHIO
 
    Duemila, seimila,
 battuti tremila,
935saran cinquemila...
 ma dite di che?...
 
 LESBINA E NARDO
 
 Contenti ed affetti,
 diletti per me.
 
 A TRE
 
    Ciascuno lo crede,
940ciascuno lo vede
 che dote di quella
 più bella non v’è.
 
 DON TRITEMIO
 
    Corpo di satanasso!
 Cieli, son disperato!
945Ah! M’hanno assassinato!
 Arde di sdegno il cor.
 
 LESBINA E NARDO
 
    Il contratto è bello e fatto.
 
 CAPOCCHIO
 
 Senta, senta, mio signor.
 
 DON TRITEMIO
 
    Dove la figlia è andata?
950Dove me l’han portata?
 Empio Rinaldo indegno,
 perfido rapitor!
 
 CAPOCCHIO
 
    Senta, senta, mio signor.
 
 DON TRITEMIO
 
 Sospendete. Non sapete?
955Me l’han fatta i traditor.
 
 LESBINA
 
    Dov’è Eugenia?
 
 DON TRITEMIO
 
                                   Non lo so.
 
 NARDO
 
 Se n’è ita?
 
 DON TRITEMIO
 
                       Se n’andò.
 
 CAPOCCHIO
 
 Due contratti?
 
 DON TRITEMIO
 
                              Signor no.
 
 CAPOCCHIO
 
    Casso Eugenia cum etcaetera,
960non sapendosi, etcaetera
 se sia andata o no, etcaetera.
 
 A QUATTRO
 
    Oh che caso! Oh che avventura!
 Si sospenda la scrittura,
 che dappoi si finirà.
 
965   Se la figlia fu involata,
 a quest’ora è maritata.
 E presente la servente,
 quest’ancor si sposerà.
 
 Fine dell’atto secondo
 
 
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Casa rustica in campagna.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Misera! A che m’indusse
970un eccesso d’amor! Tremo, pavento...
 RINALDO
 Datevi pace; alfine
 siete con chi v’adora;
 siete mia sposa.
 EUGENIA
                                Ah non la sono ancora.
 RINALDO
 Venite al tetto mio; colà potrassi
975compire il rito e con gli usati modi
 celebrare i sponsali.
 EUGENIA
                                       Ove s’intese
 che onesta figlia a celebrare andasse
 dello sposo in balia nozze furtive?
 No, non fia ver; Rinaldo,
980ponetemi in sicuro;
 salvatemi l’onore;
 o pentita ritorno al genitore.
 RINALDO
 Tutto farò per compiacervi, o cara.
 
 SCENA II
 
 LA LENA uscendo di casa e detti
 
 LA LENA
 Questa, se non m’inganno,
985di don Tritemio è la figliuola.
 EUGENIA
                                                        Dite,
 pastorella gentile, è albergo vostro
 questo di dove uscite?
 LA LENA
                                           Sì signora.
 EUGENIA
 Altri vi son?
 LA LENA
                          Per ora
 altri non v’è che io
990ed un uomo da ben, qual è mio zio.
 EUGENIA
 D’una grazia pregarvi
 vorrei, se nol sdegnate...
 LA LENA
 Dite pur, comandate.
 EUGENIA
 Vorrei nel vostro tetto
995passar per un momento.
 LA LENA
 Sola passate pur, che mi contento.
 RINALDO
 Perché sola? Son io,
 pastorella gentile, il di lei sposo.
 LA LENA
 Davvero? Compatite;
1000sì sì; ve lo permetto.
 Andate nel mio tetto, se vi aggrada.
 Non v’ho difficoltà. Quella è la strada.
 EUGENIA
 Andiam, Rinaldo amato;
 l’innocente desio seconda il fato.
 RINALDO ed EUGENIA A DUE
 
1005   Se provai severo il fato,
 se penai costante ognor,
 del mio ben felice a lato
 più non chiamo ingrato amor. (Entrano insieme nella casa di Nardo)
 
 SCENA III
 
 LA LENA sola
 
 LA LENA
 Felici sposi! Oh quanto
1010volentier la mia sorte
 con loro io cangerei!
 Che se in casa più resto
 col zio, che poco pensa alla nipote,
 perdo e consumo invan la miglior dote.
 
1015   Ogni anno passa un anno,
 l’età non torna più.
 Passar la gioventù
 io non vorrei così;
 ci penso notte e dì.
 
1020   Vorrei un giovinetto,
 civile e graziosetto,
 che non dicesse un no
 quand’io gli chiedo un sì. (Entra in casa)
 
 SCENA IV
 
 DON TRITEMIO e LA LENA
 
 DON TRITEMIO
 Figlia, figlia sgraziata,
1025dove sei? Non ti trovo! Ah se Rinaldo
 mi capita alle mani,
 lo vuo’ sbranar, come fa l’orso i cani.
 LA LENA
 Signor, che cosa avete
 che sulle furie siete?
1030Fin là dentro ho sentito
 che siete malamente inviperito.
 DON TRITEMIO
 Ah, son assassinato!
 M’han la figlia involato;
 non la trovo, non so dov’ella sia.
 LA LENA
1035E non vi è altro?
 DON TRITEMIO
                                 Una minchioneria!
 LA LENA
 Eugenia, vostra figlia,
 è in sicuro, signor, ve lo prometto.
 È collo sposo suo nel nostro tetto.
 DON TRITEMIO
 Là dentro?
 LA LENA
                       Signorsì.
 DON TRITEMIO
1040Collo sposo!
 LA LENA
                         Con lui.
 DON TRITEMIO
                                          Ma Nardo dunque?...
 LA LENA
 Nardo, mio zio, l’ha a caro;
 per ordin suo vo a prender il notaro. (Parte)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO, poi NARDO
 
 DON TRITEMIO
 Oh questa sì ch’è bella!
 Nardo, a cui l’ho promessa,
1045me l’ha fatta involar! Per qual ragione?...
 Sì sì; l’ha fatta da politicone.
 Eugenia non voleva...
 Rinaldo pretendeva...
 Ei l’ha menata via.
1050Anche questa sarà filosofia.
 NARDO
 Io crepo dalle risa.
 Oh che caso ridicolo e giocondo!
 Oh che gabbia di pazzi è questo mondo!
 DON TRITEMIO
 (Eccolo qui l’amico). (Vedendo Nardo)
 NARDO
                                         (Ecco il buon padre).
 DON TRITEMIO
1055Galantuomo, che fa la figlia mia?
 NARDO
 Bene, al comando di vossignoria.
 DON TRITEMIO
 Rapirmela mi pare
 una bella insolenza.
 NARDO
 La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
 DON TRITEMIO
1060Basta; chi ha fatto il male
 farà la penitenza.
 Dote non ne darò certo, certissimo.
 L’ho trovata alla fine e ciò mi basta.
 Dopo il fatto si loda;
1065chi l’ha avuta l’ha avuta; e se la goda. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 NARDO, poi LA LENA e CAPOCCHIO notaro
 
 NARDO
 A Rinaldo per ora
 basterà la consorte;
 poi dopo la sua morte, il padre avaro,
 a suo dispetto, lascierà il denaro.
 LA LENA
1070Venite a stipolare
 delle nozze il contratto. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
 Eccolo qui; l’avevo mezzo fatto.
 NARDO
 Andate in casa mia,
 l’opera terminate;
1075l’ordine seguitate
 dei due sponsali in un contratto espressi
 colle stesse notizie e i nomi stessi.
 CAPOCCHIO
 Sì signor; si farà.
 Ma poi chi pagherà?
 NARDO
                                        Bella dimanda!
1080Pagherà chi è servito e chi comanda.
 LA LENA
 Sentite; se si fanno
 scritture in casa mia,
 voglio la sensaria.
 CAPOCCHIO
                                   Come?
 LA LENA
                                                   Dirò,
 se mi mariterò,
1085come spero di farlo prestamente,
 la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
 
 SCENA VII
 
 NARDO e CAPOCCHIO
 
 CAPOCCHIO
 Vostra nipote è avara, come va!
 NARDO
 Credetemi, lo fa senza malizia.
 Delle donne un costume è l’avarizia.
 CAPOCCHIO
1090Son lente nello spendere,
 egli è vero; ma son leste nel prendere.
 
    Voi che filosofo
 chiamato siete,
 dirmi saprete
1095come si dia
 di simpatia
 forza e virtù.
 
    La calamita
 tira l’acciaro;
1100tira l’avaro
 l’oro ancor più. (Entra in casa)
 
 SCENA VIII
 
 NARDO e LESBINA che sopraviene
 
 LESBINA
 Ma capperi! Si vede,
 affé, che mi volete poco bene.
 Nel giardino v’aspetto e non si viene.
 NARDO
1105Un affar di premura
 m’ha trattenuto un poco;
 concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
 Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
1110e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Ma se Eugenia fuggì?...
 NARDO
                                             Fu ritrovata;
 là dentro è ricovrata
 e si fa con Rinaldo l’istrumento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
1115Dunque, quand’è così, facciamo presto.
 Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
 (Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate.
 Prima che mia voi siate,
1120a voi vuo’ render note
 alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
 So qual è il genio vostro.
 Non vi sarà pericolo
 che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
 NARDO
1125Quand’è così, mia cara,
 porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
 invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
    Lieti, canori augelli
1130che tenerelli amate,
 deh testimon voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
    Alberi, piante e fiori,
 i vostri ardori ascosi
1135insegnino a due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
 «Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
1140«Ama lo sposo ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella
 vezzosa e bella
 solo il compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
1145   L’olmo e la vite,
 due piante unite,
 ai sposi insegnano
 la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella;
1150ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vite bella;
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
    Rondone fido,
 esci dal nido;
1155vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Meco t’allaccia,
 vite amorosa,
 diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
1160felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor!
 
    No, non si trova,
 no, non si prova
1165più bella unione
 del nostro amor. (Entrano in casa)
 
 SCENA IX
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diammine! Che ho sentito!
 Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
1170Che la filosofia
 colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
 Quel che pensar non so...
 All’uscio picchierò; verranno fuori;
1175scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA ULTIMA
 
 LA LENA e detto, indi tutti
 
 LA LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto
 cosa si fa là dentro.
 LA LENA
 Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni.
1180Tra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà ancor lei.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LA LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
1185Cospetto! Mi vien caldo.
 LA LENA
 E l’altra, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina, ohimè! No, non lo credo.
 LA LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Cosa vedo!
 EUGENIA
 
1190   Ah, genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
 Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi, scellerati!
1195Vi siete accomodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto...
 Che bella carità!
 
 LA LENA
 
    Quando di star vi preme
1200con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
1205   Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica da rappresentarsi nel Regio teatro di corte il carnevale MDCCLXXII.
    In Parma, nella Stamperia Reale.
 
 
 PERSONAGGI
 
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Benedetto Bianchi)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (la signora Gertrude Allegretti Falchini)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Vincenzo Focchetti)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Teresa Montanari)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (il signor Gioachino Cirri)
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (la signora Antonia Zaccarini)
 RINALDO gentiluomo amante di Eugenia
 (il signor Francesco Crespi)
 
 BALLERINI
 
    Compositore de’ balli il signor Giacomo Romolo, eseguiti dalli seguenti: signor Giacomo Romolo suddetto, signori Silvestro e Maddalena Mej ed altri venti della scuola stabilita dalla real direzione.
    Le scene saranno d’invenzione del signor cavaliere Francesco Grassi parmigiano, architetto ed ingegnere teatrale all’attual servigio di sua altezza reale ed accademico professore di prospettiva di sua Reale Accademia delle Belle Arti.
    Il vestiario tanto dell’opera che de’ balli sarà di nuova e vaga invenzione del signor Giovanni Betti al servigio di sua altezza reale.
    La musica è del signor Baldassarre Galuppi detto Buranello.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini. LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai vicino a sera
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona, allor che perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore;
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborrisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Ohimè...
 LESBINA
                                      V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco; un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro core.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange; e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    Se perde il caro lido,
 sopporta il mar che freme.
55Lo scoglio è quel che teme
 il misero nocchier.
 
    Lontan dal caro bene
 soffro costante e peno;
 ma questo core almeno
60rimanga in mio poter. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 Quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
65se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
 raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
70È ver; colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
 canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
75di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
 (Qualche stroffetta canterò a proposito). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
80Sentite, padron bello,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine
 son fresco e bello,
 son tenerello,
85di buon sapor;
 
    ma quando invecchio,
 gettato sono;
 non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
90Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vuo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella.
 Mangiatemi presto;
95coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
100Senti, ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria.
 Tu sei, Lesbina bella,
 cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
105esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
 pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
110or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è codesto.
 LESBINA
115Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogni erba si contenti
120d’aver qualche governo,
 purché esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
125Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
130vecchia mano di pastor.
 
    Voglio un bello pastorello
 o vuo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
135Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
 che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
140liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà. Ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
145(Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
 e da tutti filosofo è chiamato). (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                         Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
150le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO