Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Praga, 1755 (Il mondo alla roverscia o sia Le donne che comandano)

 Concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
945Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
 e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
 Ma se Eugenia fugì...
 NARDO
                                         Fu ritrovata.
 Là dentro è ricovrata
950e si fa con Rinaldo l’istrumento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
 Dunque, quand’è così, faciamo presto.
 Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
955(Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate;
 prima che mia voi siate,
 a voi vuo’ render note
 alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
 Ho inteso il genio vostro.
960Non vi sarà pericolo
 che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
 NARDO
 Quand’è così, mia cara,
 porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
965invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
 deh testimonio voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
970   Alberi, piante e fiori
 i vostri ardori ascosi
 insegnino a due sposi
 il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
975«Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama la sposa ancor».
 
 LESBINA
 
    La rondinella
 vezzosa e bella
980solo il compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olme e la vite,
 due piante unite
 ai sposi insegnano
985la fideltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
 Tu sei la vita bella.
 Io l’olme esser vorrei.
 
 LESBINA
 
990   Rondone fido
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
 Prendimi stretto,
 vite amorosa,
995diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
 alma del mondo,
 vita del cor.
 
1000   No, non si trova,
 no, non si prova
 più bella pace,
 più caro ardor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito!
1005Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
 colle raggioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
1010Quel che pensar non so;
 all’uscio picchierò. Verranno fuori;
 scoprirò i tradimenti e i traditori.
 
 SCENA VI
 
 LENA e ditto
 
 LENA
 Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto,
 cosa si fa là dentro?
 LENA
1015Finito è l’instrumento;
 si fan due matrimoni.
 Tra gli altri testimoni,
 che sono cinque o sei,
 se commanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
1020Questi sposi? Quai son?
 LENA
                                               La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LENA
 E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
1025Come; Lesbina? Oimè; no non lo credo.
 LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ahi! Cosa vedo?
 LESBINA
 
    Ah signore, perdono...
 
 RINALDO
 
 Suocero, per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 
 NARDO
 
1030Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi scelerati,
 vi siete accommodati?
 Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
1035Che bella carità!
 
 LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
 ecco, per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
1040per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
 sia per dispetto,
 amore al core
1045piacer darà.
 
 
 Fine del dramma giocoso
 
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    [Torino, Antonio Guibert e Gaetano Orgeas, 1777].
 
 
 INTERLOCUTORI
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 RINALDO gentiluomo amante di Eugenia
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 LENA nipote di Nardo
 CAPOCCHIO notaro della villa
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA con un ramo di gelsomini, LESBINA con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza,
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più.
 Che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah! Che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore,
 troppo, troppo nemico ho il genitore.
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Nozze infelici
 sarebbero al cuor mio le divisate
 dall’avarizia sua. Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborrisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
30Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
 Lesbina... Oimè...
 LESBINA
                                   V’ho fatto venir caldo?
 Vi compatisco, un cavalier gentile
 in tutto a voi simile,
35nell’età, nel costume e nell’amore,
 far potrebbe felice il vostro cuore.
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega,
 si sospira, si piange e se non basta
40si fa un po’ la sdegnosa e si contrasta.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio.
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso. È ver che sono
 in una età da non prometter molto;
 ma posso, se m’impegno,
45far valere per voi l’arte e l’ingegno.
 EUGENIA
 Cara di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno,
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
50Meglio sola che male accompagnata.
 Così volete dir, sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco,
55quest’anch’io la capisco.
 Insegna la prudenza,
 se non si ha quel che piace, è meglio senza.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
60raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco.
 DON TRITEMIO
                                          E mi figuro
 che cantate s’avranno
65canzonette d’amor.
 LESBINA
                                      Oh non signore;
 di questo o di quel fiore,
 di questo o di quel frutto
 si cantavan le lodi.
 DON TRITEMIO
                                     Il crederò?
 LESBINA
 Le volete sentir?
 DON TRITEMIO
                                 Le sentirò.
 LESBINA
70(Qualche stroffetta a proposito). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 (Oh ragazza!... Farei uno sproposito). (Da sé)
 LESBINA
 Sentite, padron mio,
 la canzonetta sopra il ravanello.
 
    Quando son giovine,
75son fresco e bello,
 son tenerello,
 di buon sapor.
 
    Ma quando invecchio
 gettato sono;
80non son più buono
 col pizzicor.
 
 DON TRITEMIO
 Scaccia questa canzon dalla memoria.
 LESBINA
 Una ne vo’ cantar sulla cicoria.
 
    Son fresca e son bella
85cicoria novella,
 mangiatemi presto;
 coglietemi su.
 
    Se resto nel prato,
 radicchio invecchiato,
90nessuno si degna
 raccogliermi più.
 
 DON TRITEMIO
 Senti ragazza mia,
 questa canzone ha un poco d’allegria;
 tu sei, Lesbina bella,
95cicorietta novella;
 prima che ad invecchiar ti veda il fato,
 esser colta dovresti in mezzo al prato.
 LESBINA
 Per me v’è tempo ancora.
 Dovreste alla signora
100pensar, caro padrone.
 Or ch’è buona stagione,
 or ch’è un frutto maturo e saporito,
 non la fate invecchiar senza marito.
 DON TRITEMIO
 A lei ho già pensato,
105sposo le ho destinato; avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
 la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
110Eh la prudenza insegna
 che ogn’erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 purché esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
 Io mi contenterei,
115pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
 un’altra canzonetta ch’ho imparata
120sul proposito mio dell’insalata.
 
    Non raccoglie le mie foglie
 vecchia mano di pastor,
 
    voglio un bello pastorello;
 o vo’ star nel prato ancor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
125Allegoricamente
 m’ha detto che con lei non farò niente.
 Eppure io mi lusingo
 che a forza di finezze
 tutto supererò,
130che col tempo con lei tutto farò.
 Per or d’Eugenia mia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà, ricco, riccone,
 un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
135(Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato.
 E da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
140(Sorte, non mi tradir). Signor.
 DON TRITEMIO
                                                          Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
 Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
145Di me si può informare,
 son cavaliere, sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia.
 DON TRITEMIO
                                 Sì signor.
 RINALDO
                                                     Dirò...
 Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
150Ma! Mi sprona l’amore.
 DON TRITEMIO
                                              Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor...
 DON TRITEMIO
                                   Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
 Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
155non venite a morir in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe una increanza.
 RINALDO
 Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
160ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
 Ma la ragione almeno
165dite perché nemmen si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                 Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta.
 La figlia mi chiedeste
170e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui.
 Non posso dirvi sì,
 perché vo’ dir di no.
 
    Se non vi basta ancora,
175un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no.
 Perché la vo’ così».
 E son padron di dirlo;
 la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
180Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
 ch’io debb’andar villanamente inulto.
185O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
 SCENA V
 
 Campagna con casa rustica.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
190con diletto e libertà.
 
    Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato,
 presto, presto a lavorare,
 a prodare, a seminare,
195e doppoi si mangerà;
 del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
200tu sei lo scettro e questi campi il regno.
 Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo.
 E fur sudditi lor la zucca, il cavolo.
 Nelle città famose
205ogni generazion si cambia stato.
 Se il padre ha accumulato
 con fatica, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
210il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
 sono gl’uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI
 
 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
215Eccolo qui, la vanga
 è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto,
 compatirvi vorrei ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
220la fatica lasciate ai lavoranti.
 NARDO
 Cara nipote mia,
 piuttosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca, col fuso e coi famigli
225stanca son d’annoiarmi;
 voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto
 comparisca un marito. Eccolo qui. (Accenna un villano)
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
230Eccolo io ve lo do.
 Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
235Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
 Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
240la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
 Io non voglio un signor né un contadino,
 mi basta un cittadino
 che stia bene...
 NARDO
                              Di che?
 LA LENA
                                               Ch’abbia un’entrata
 qual a mediocre stato si conviene,
245che sia discreto e che mi voglia bene.
 NARDO
 Lena, pretendi assai,
 se lo brami così, nol troverai.
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie
250e non usano molto amar la moglie.
 Per pratica comune
 nelle cittadi usata,
 è maggiore l’uscita dell’entrata.
 LA LENA
 Il signor don Tritemio
255è cittadino, eppure
 così non usa.
 Ma in villa se ne sta,
 perché nella città vede il pericolo
 d’esser vizioso o diventar ridicolo.
260Della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
 perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
265gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta.
 Oggi la vederò.
 LA LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà.
 NARDO
                                Basta non abbia
270visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto signor zio.
 Ma voglio poscia maritarmi anch’io.
 
    Di questa poverella
275abbiate carità.
 Io son un’orfanella
 che madre più non ha.
 Voi siete il babbo mio.
 Vedete caro zio
280ch’io cresco nell’età.
 
    La vostra nipotina
 vorrebbe poverina...
 Sapete... M’intendete...
 Movetevi a pietà. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
285Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vo’ maritar da contadina.
 Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
290del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino, il cittadino
 cerca nobilitarsi
295ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto
 ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
300   Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso,
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
    Ma fatto il salto,
305salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
 m’alzo sul ramo,
310vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
 ite lontan da queste soglie. Oh dio!
315Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro;
 non sarò d’altri, se di voi non sono.
320Ah se il mio cuor vi dono
 per or vi basti e non vogliate, ingrato,
 render lo stato mio più sventurato.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Oimè! Chi viene?
 RINALDO
325Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora mia. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
 Il genitore?
 LESBINA
                         Oibò. Sta il mio padrone
 col suo fattore e contano denari
 né si spiccia sì presto in tali affari.
 RINALDO
330Dunque chi è che la dimanda?
 LESBINA
                                                          Bravo!
 Voi pur siete curioso?
 Chi la cerca, signore, è il di lei sposo.
 RINALDO
 Come?
 EUGENIA
                 Che dici?
 LESBINA
                                     È giunto
 adesso, in questo punto,
335forte, lesto e gagliardo
 il bellissimo Nardo. E il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
 se non per genio, almen per ubbidienza.
 EUGENIA
340Misera, che farò?
 RINALDO
                                   Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate;
 a me condur lasciate la faccenda.
345Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguitarla)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì, questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
 Voi di qua; voi di là; così va bene.
 EUGENIA
350Soffrite, idolo mio.
 RINALDO
                                     Soffrir conviene.
 EUGENIA
 
    Se amor provasti mai,
 se sai che cosa è affetto,
 ben puoi vedermi in petto
 a palpitare il cor.
 
355   E palpitar se il vedi,
 se credi a’ miei sospiri,
 perché da’ suoi martiri
 non lo ritogli ancor?
 
 RINALDO
 Parto, Lesbina, anch’io; ma tu frattanto
360rassicura pietosa il mio tesoro.
 Dille che vivo in pene e che l’adoro.
 
    Al mio ben tu le dirai
 che nel laccio amor m’ha preso
 e ferito è questo cor.
 
365   Senti senti le dirai
 che quegli occhi suoi furbetti,
 quelle guancie, quei labretti
 m’hanno fatto innamorar.
 
    Se mai l’amabile
370mia bella Eugenia
 alle mie lagrime,
 alle mie suppliche
 spietata e rigida
 si vuol mostrar,
 
375   dille che smanio,
 dille ch’io peno;
 dille che l’anima
 sta per andar.
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Capperi! S’attaccava
380prestamente al partito.
 Troppo presto volea far da marito,
 ecco il ricco villano;
 ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
385Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
390aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspetterò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
395Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Non ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
400se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta. Voi mi avete
 conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse...
 NARDO
                          Via, chi?
 LESBINA
                                             Nardino bello?
 NARDO
405Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
410Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO