Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Lipsia, 1754

 perdo e consumo invan la miglior dote.
 
    Ogn’anno passa un anno,
 l’età non torna più;
1255passar la gioventù
 io non vorrei così.
 Ci penso notte e dì.
 
    Vorrei un giovinetto,
 civile e graziosetto,
1260che non dicesse un no,
 quand’io gli chiedo un sì. (Entra nella casa suddetta)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Di Nardo nell’albergo,
 che fu già mio rival, ci porta il fatto
 ma Nardo ho ritrovato
1265meco condiscendente e non pavento;
 ed ho cuor d’incontrare ogni cimento. (Entra nella casa sudetta)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO e poi LA LENA
 
 DON TRITEMIO
 Figlia, figlia sgraziata,
 dove sei? Non ti trovo; ah se Rinaldo
 mi capita alle mani,
1270lo vuo’ sbranar, come fa l’orso i cani.
 Invan l’ho ricercato al proprio albergo;
 sa il cielo se il briccon se l’ha nascosta
 o se via l’ha menata per la posta.
 Son fuor di me; son pieno
1275di rabbia e di veleno.
 Se li trovassi, li farei pentire.
 Li vuo’ trovar, se credo di morire.
 LA LENA
 Signor che cosa avete
 che sulle furie siete?
1280Fin là dentro ho sentito
 che siete malamente inviperito.
 DON TRITEMIO
 Ah! Son assassinato.
 M’han la figlia involato;
 non la trovo, non so dov’ella sia.
 LA LENA
1285E non vi è altro?
 DON TRITEMIO
                                 Una minchioneria!
 LA LENA
 Eugenia vostra figlia
 è in sicuro, signor, ve lo prometto,
 è collo sposo suo nel nostro tetto.
 DON TRITEMIO
 Là dentro?
 LA LENA
                       Signorsì.
 DON TRITEMIO
1290Collo sposo?
 LA LENA
                          Con lui.
 DON TRITEMIO
                                           Ma Nardo dunque...
 LA LENA
 Nardo, mio zio, l’ha caro,
 per ordin suo vo a prender il notaro. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 DON TRITEMIO, poi NARDO
 
 DON TRITEMIO
 Oh questa sì ch’è bella,
 Nardo, a cui l’ho promessa,
1295me l’ha fatta involar? Per qual ragione.
 Sì sì, l’ha fatta da politicone.
 Eugenia non voleva...
 Rinaldo pretendeva...
 Ei l’ha menata via.
1300Anche questa sarà filosofia.
 NARDO
 Io crepo dalle risa.
 O che caso ridicolo e giocondo!
 O che gabbia de pazzi è questo mondo.
 DON TRITEMIO
 (Eccolo qui l’amico). (Vedendo Nardo)
 NARDO
                                         (Ecco il buon padre).
 DON TRITEMIO
1305Galantuomo, che fa la figlia mia?
 NARDO
 Bene, al comando di vussignoria.
 DON TRITEMIO
 Rapirmela mi pare
 una bella insolenza.
 NARDO
 La cosa è fatta e vi vorrà pazienza.
 DON TRITEMIO
1310E lei, quella sfacciata,
 cosa dice di me?
 NARDO
                                 Non dice niente.
 DON TRITEMIO
 Non teme il padre?
 NARDO
                                      Non l’ha neanco in mente.
 DON TRITEMIO
 Basta, chi ha fatto il male
 farà la penitenza.
1315Dote non ne darò certo, certissimo.
 NARDO
 Sì sì, fate benissimo.
 Stimo quei genitori,
 cui profittan dei figli anco gli errori.
 DON TRITEMIO
 Dov’è? La vuo’ veder.
 NARDO
                                          Per ora no.
 DON TRITEMIO
1320Eh lasciatemi andar...
 NARDO
                                           Ma non si può.
 DON TRITEMIO
 La volete tener sempre serrata?
 NARDO
 Sì, finch’è sposata.
 DON TRITEMIO
 Questa è una mala azion che voi mi fate.
 NARDO
 No, caro amico, non vi riscaldate.
 DON TRITEMIO
1325Mi riscaldo, perché
 si poteva con me meglio trattare.
 Se l’aveva promessa,
 lo sposo aveva le ragioni sue.
 NARDO
 I sposi erano due;
1330v’erano dei contrasti, onde per questo
 quel che aveva più amor fatto ha più presto.
 DON TRITEMIO
 Io l’ho promessa a voi.
 NARDO
 Ma lei voleva il suo Rinaldo amato.
 DON TRITEMIO
 Ma questo...
 NARDO
                          Orsù, quello che è stato è stato.
 DON TRITEMIO
1335È ver, non vuo’ impazzire;
 l’ho trovata alla fine e ciò mi basta,
 dopo il fatto si loda.
 Chi l’ha avuta l’ha avuta e se la goda.
 
    Da me non speri
1340d’aver un soldo,
 se il manigoldo
 vedessi lì.
 
    Se se n’è andata,
 se si è sposata,
1345da me non venga,
 non verrò qui.
 
    Chi ha avuto ha avuto;
 chi ha fatto ha fatto,
 non son sì matto,
1350non vuo’ gettare,
 non vuo’ dottare
 la figlia ardita
 che se n’è gita
 da me così. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO, poi LA LENA e CAPOCCIO notaro
 
 NARDO
1355A Rinaldo per ora
 basterà la consorte;
 poi dopo la sua morte il padre avaro
 a suo dispetto lascierà il denaro.
 LA LENA
 Venite a stipulare
1360delle nozze il contratto. (A Capoccio)
 CAPOCCHIO
 Eccolo qui, l’avevo mezzo fatto.
 NARDO
 Andate in casa mia,
 l’opera terminate.
 L’ordine seguitate
1365dei due sponsali in un contratto espressi,
 colle stesse notizie e i nomi stessi.
 CAPOCCHIO
 Sì signor, si farà.
 Ma poi chi pagherà?
 NARDO
                                        Bella domanda!
 Pagherà chi è servito e chi comanda.
 LA LENA
1370Sentite, se si fanno
 scritture in casa mia,
 voglio la senseria.
 CAPOCCHIO
                                   Come!
 LA LENA
                                                  Dirò,
 se mi mariterò,
 come spero di farlo prestamente,
1375la scrittura m’avete a far per niente. (Entra in casa)
 
 SCENA VIII
 
 NARDO e CAPOCCIO
 
 CAPOCCHIO
 Vostra nipote è avara, come va.
 NARDO
 Credetemi, lo fa senza malizia;
 delle donne un costume è l’avarizia.
 CAPOCCHIO
 Son lente nello spendere,
1380egli è vero, ma son leste nel prendere.
 
    Voi, che filosofo
 chiamato siete,
 dirmi saprete
 come si dia
1385di simpatia
 forza e virtù.
 
    La calamita
 tira l’acciaro.
 Tira l’avaro
1390l’oro ancor più. (Entra in casa)
 
 SCENA IX
 
 NARDO, poi LESBINA
 
 NARDO
 Nato son contadino,
 non ho studiato niente
 ma però colla mente
 talor filosofando a discrezione,
1395trovo di molte cose la ragione.
 LESBINA
 Ma capperi! Si vede,
 affé, che mi volete poco bene.
 Nel giardino v’aspetto e non si viene.
 NARDO
 Un affar di premura
1400m’ha trattenuto un poco,
 concludiam, se volete, in questo loco.
 LESBINA
 Il notaro dov’è?
 NARDO
                                Là dentro. Ei scrive
 il solito contratto
 e si faranno i due sponsali a un tratto.
 LESBINA
1405Ma se Eugenia fuggì...
 NARDO
                                           Fu ritrovata.
 Là dentro è ricovrata
 e si fa con Rinaldo l’istrumento.
 LESBINA
 Don Tritemio che dice?
 NARDO
                                              Egli è contento.
 LESBINA
 Dunque, quand’è così, facciamo presto.
1410Andiam, caro sposino.
 NARDO
 Aspettate, Lesbina, anche un pochino.
 LESBINA
 (Non vorrei che venisse...)
 NARDO
                                                   A me badate;
 prima che mia voi siate,
 a voi vuo’ render note
1415alcune condizion sopra la dote.
 LESBINA
 Ho inteso il genio vostro.
 Non vi sarà pericolo
 che vi voglia spiacer neanche in un piccolo.
 NARDO
 Quand’è così, mia cara,
1420porgetemi la mano.
 LESBINA
                                       Eccola pronta.
 NARDO
 Del nostro matrimonio
 invochiamo Cupido in testimonio.
 LESBINA
 
    Lieti canori augelli
 che tenerelli amate,
1425deh testimon voi siate
 del mio sincero amor.
 
 NARDO
 
    Alberi, piante e fiori
 i vostri ardori ascosi
 insegnino a due sposi
1430il naturale amor.
 
 LESBINA
 
    Par che l’augel risponda:
 «Ama lo sposo ognor».
 
 NARDO
 
    Dice la terra e l’onda:
 «Ama la sposa ancor».
 
 LESBINA
 
1435   La rondinella
 vezzosa e bella
 solo il compagno
 cercando va.
 
 NARDO
 
    L’olmo e la vite,
1440due piante unite
 ai sposi insegnano
 la fedeltà.
 
 LESBINA
 
    Io son la rondinella
 ed il rondon tu sei.
 
 NARDO
 
1445Tu sei la vite bella,
 io l’olmo esser vorrei.
 
 LESBINA
 
    Rondone fido
 nel caro nido
 vieni, t’aspetto.
 
 NARDO
 
1450Prendimi stretto,
 vite amorosa,
 diletta sposa.
 
 A DUE
 
    Soave amore,
 felice ardore,
1455alma del mondo,
 vita del cor.
 
    No, non si trova,
 no, non si prova
 più bella pace,
1460più caro ardor. (Partono ed entrano in casa)
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO
 
 DON TRITEMIO
 Diamine! Che ho sentito?
 Di Lesbina il marito
 pare che Nardo sia.
 Che la filosofia
1465colle ragioni sue
 accordasse ad un uom sposarne due?
 Quel che pensar non so;
 all’uscio picchierò. Verranno fuori;
 scoprirò i tradimenti e traditori.
 
 SCENA ULTIMA
 
 LA LENA e detto
 
 LA LENA
1470Chi è qui?
 DON TRITEMIO
                       Ditemi presto;
 cosa si fa là dentro?
 LA LENA
 Finito è l’istrumento;
 si fan due matrimoni.
 Tra gli altri testimoni,
1475che sono cinque o sei,
 se comanda venir, sarà anco lei.
 DON TRITEMIO
 Questi sposi quai son?
 LA LENA
                                            La vostra figlia
 col cavalier Rinaldo.
 DON TRITEMIO
 Cospetto! Mi vien caldo.
 LA LENA
1480E l’altro, padron mio,
 è la vostra Lesbina con mio zio.
 DON TRITEMIO
 Come? Lesbina oimè; no non lo credo.
 LA LENA
 Eccoli tutti quattro.
 DON TRITEMIO
                                      Ah! Cosa vedo?
 EUGENIA
 
    Ah genitor, perdono...
 
 RINALDO
 
1485Suocero per pietà...
 
 LESBINA
 
    Sposa, signor, io sono.
 Quest’è la verità.
 
 DON TRITEMIO
 
    Perfidi scellerati,
 vi siete accomodati?
1490Senza la figlia mesto,
 senza la sposa resto.
 Che bella carità!
 
 LA LENA
 
    Quando di star vi preme
 con una sposa insieme,
1495ecco per voi son qua.
 
 DON TRITEMIO
 
    Per far dispetto a lei,
 per disperar colei,
 Lena mi sposerà.
 
 TUTTI
 
    Sia per diletto,
1500sia per dispetto,
 amore al core
 piacer darà.
 
 
 Fine del dramma
 
 
 
 IL FILOSOFO DI CAMPAGNA
 
 
    Dramma giocoso per musica da rappresentarsi alla corte elettorale palatina per comando del serenissimo elettore.
    Mannheim, nella Stamperia Accademica Elettorale.
 
 
 DECORAZIONI
 
    Atto primo: giardino; casa rustica in campagna; salotto con diverse porte.
    Atto secondo: camera; casa rustica suddetta; camera suddetta.
    Atto terzo: casa rustica suddetta.
 
 
 ATTORI
 
 EUGENIA figlia nubile di don Tritemio
 (la signora Dorotea Wendeling, virtuosa di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 RINALDO gentiluomo amante d’Eugenia
 (il signor Silvio Giorgetti, virtuoso di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 NARDO ricco contadino detto il Filosofo
 (il signor Giuseppe Giardini, virtuoso di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 LESBINA cameriera in casa di don Tritemio
 (la signora Elisabetta Wendeling, virtuosa di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 DON TRITEMIO cittadino abitante in villa
 (il signor Pietro Paolo Carnoli, virtuoso di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 LENA nipote di Nardo
 (la signora Madalena Héroux, virtuosa di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 CAPOCCHIO notaro della villa
 (il signor Giovanni Battista Coraucci, virtuoso di camera di sua altezza serenissima elettorale)
 
    La musica è del celebre Galluppi detto Buranello.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Giardino in casa di don Tritemio.
 
 EUGENIA, con un ramo di gelsomini. LESBINA, con una rosa in mano
 
 EUGENIA
 
    Candidetto gelsomino
 che sei vago in sul mattino,
 perderai, vicino a sera,
 la primiera tua beltà.
 
 LESBINA
 
5   Vaga rosa, onor de’ fiori,
 fresca piaci ed innamori;
 ma vicino è il tuo flagello
 e il tuo bello sparirà.
 
 A DUE
 
    Tal di donna la bellezza
10più ch’è fresca, più s’apprezza;
 s’abbandona allorché perde
 il bel verde dell’età.
 
 EUGENIA
 Basta, basta, non più,
 che codesta canzon, Lesbina mia,
15troppo mi desta in sen malinconia.
 LESBINA
 Anzi cantarla spesso,
 padrona, io vi consiglio,
 per sfuggir della rosa il rio periglio.
 EUGENIA
 Ah, che sotto d’un padre
20asprissimo e severo
 far buon uso non spero
 di questa età che della donna è il fiore!
 Troppo, troppo nemico ho il genitore!
 LESBINA
 Pur delle vostre nozze
25lo intesi ragionar.
 EUGENIA
                                   Dell’uomo vile,
 che Nardo ha nome, ei mi vorria consorte.
 L’abborrisco e mi scelgo anzi la morte.
 LESBINA
 Non così parlereste,
 s’ei proponesse al vostro cor Rinaldo.
 EUGENIA
30Lesbina... Ohimè!...
 LESBINA
                                       V’ho fatto venir caldo?
 EUGENIA
 Ma il genitor mi nega...
 LESBINA
 Si supplica, si prega.
 EUGENIA
 Ah mi manca il coraggio!
 LESBINA
                                                Io vi offerisco
 quel che so, quel che posso.
 EUGENIA
35Cara, di te mi fido. Amor, pietade
 per la padrona tua serba nel seno;
 se non felice appieno,
 almen fa’ ch’io non sia sì sventurata.
 LESBINA
 Meglio sola che male accompagnata.
40Così volete dir; sì sì, v’intendo.
 EUGENIA
 Dunque da te qualche soccorso attendo.
 
    A te mi fido, o cara,
 consiglia il genitore.
 Non sarò teco avara.
45Sai ch’ho piagato il core;
 non mi negar pietà.
 
    Oh dio! S’ei non t’ascolta,
 io moro questa volta.
 L’affanno mio tiranno,
50il duol m’ucciderà. (Parte)
 
 SCENA II
 
 LESBINA, poi DON TRITEMIO
 
 LESBINA
 Povera padroncina!
 Affé la compatisco.
 DON TRITEMIO
 Che si fa, signorina?
 LESBINA
 Un po’ d’insalatina
55raccogliere volea pel desinare.
 DON TRITEMIO
 Poco fa v’ho sentito a cantuzzare.
 LESBINA
 È ver, colla padrona
 mi divertiva un poco. Alla signora
 pensar, caro padrone,
60dovreste.
 DON TRITEMIO
                    Ho a lei pensato;
 sposo le ho destinato e avrallo presto.
 LESBINA
 Posso saper chi sia?
 DON TRITEMIO
                                       Nardo è cotesto.
 LESBINA
 Di quella tenerina
 erbetta cittadina
65la bocca d’un villan non mi par degna.
 DON TRITEMIO
 Eh la prudenza insegna
 che ogni erba si contenti
 d’aver qualche governo,
 purch’esposta non resti al crudo verno.
 LESBINA
70Io mi contentarei,
 pria di vederla così mal troncata,
 per la neve lasciar la mia insalata.
 DON TRITEMIO
 Tu sei un bocconcino
 per il tuo padroncino.
 LESBINA
                                          Oh oh sentite
75la bella canzonetta ch’ho imparata
 sul proposito mio dell’insalata.
 
    Son fresca e son bella
 cicoria novella;
 mangiatemi presto,
80coglietemi su.
 
    Se resto nel prato
 radicchio invecchiato,
 nessuno si degna
 raccogliermi più. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO e poi RINALDO
 
 DON TRITEMIO
85Ah furbetta, furbetta!
 Tu sei la cicorietta che sul prato
 invecchiar non vorria. Ma pria d’Eugenia
 liberarmi mi preme. Un buon partito
 Nardo per lei sarà. Ricco, riccone,
90un villano, egli è ver, ma sapientone.
 RINALDO
 (Ecco della mia bella
 il genitor felice). (Da sé in disparte)
 DON TRITEMIO
 Per la villa si dice
 che Nardo ha un buono stato
95e da tutti filosofo è chiamato. (Da sé)
 RINALDO
 (Sorte, non mi tradir). Signor...
 DON TRITEMIO
                                                            Padrone.
 RINALDO
 S’ella mi permettesse,
 le direi due parole.
 DON TRITEMIO
 Anche quattro ne ascolto e più, se vuole.
 RINALDO
100Non so se mi conosca.
 DON TRITEMIO
                                          Non mi pare.
 RINALDO
 Di me si può informare;
 son cavaliere e sono i beni miei
 vicini ai suoi.
 DON TRITEMIO
                            Mi rallegro con lei.
 RINALDO
 Ell’ha una figlia?
 DON TRITEMIO
                                  Sì signor.
 RINALDO
                                                      Dirò...
105Se fossi degno... Troppo ardire è questo...
 Ma!... Mi sprona l’amore...
 DON TRITEMIO
                                                   Intendo il resto.
 RINALDO
 Dunque, signor?...
 DON TRITEMIO
                                     Dunque, signor mio caro,
 per venir alle corte, io vi dirò...
 RINALDO
 M’accordate la figlia?
 DON TRITEMIO
                                          Signor no.
 RINALDO
110Ahi mi sento morir!
 DON TRITEMIO
                                        Per cortesia,
 non venite a morire in casa mia.
 RINALDO
 Ma perché sì aspramente
 mi togliete alla prima ogni speranza?
 DON TRITEMIO
 Lusingarvi sarebbe un’increanza.
 RINALDO
115Son cavalier.
 DON TRITEMIO
                           Benissimo.
 RINALDO
                                                  De’ beni
 ricco son quanto voi.
 DON TRITEMIO
                                        Son persuaso.
 RINALDO
 Il mio stato, i miei fondi,
 le parentele mie vi mostrerò.
 DON TRITEMIO
 Credo tutto.
 RINALDO
                         Che speri?
 DON TRITEMIO
                                               Signor no.
 RINALDO
120Ma la ragione almeno
 dite perché né men si vuol ch’io speri.
 DON TRITEMIO
 La ragion?...
 RINALDO
                          Vuo’ saper...
 DON TRITEMIO
                                                   Sì, volentieri.
 
    La mia ragion è questa...
 Mi par ragione onesta;
125la figlia mi chiedeste
 e la ragion voleste...
 La mia ragion sta qui;
 non posso dir di sì,
 perché vuo’ dir di no.
 
130   Se non vi basta ancora,
 un’altra ne dirò;
 rispondo: «Signor no,
 perché la vuo’ così».
 E son padron di dirlo;
135la mia ragion sta qui. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 RINALDO solo
 
 RINALDO
 Sciocca ragione indegna
 d’anima vil dell’onestà nemica.
 Ma non vuo’ che si dica
 ch’io soffra un tale insulto,
140ch’io debb’andar villanamente inulto.
 O Eugenia sarà mia
 o tu, padre inumano,
 ti pentirai del tuo costume insano.
 
    Taci, amor, nel seno mio,
145finché parla il giusto sdegno;
 o prendete ambi l’impegno
 i miei torti a vendicar.
 
    Fido amante, è ver, son io,
 ogni duol soffrir saprei;
150ma il mio ben non soffrirei
 con viltate abbandonar. (Parte)
 
 SCENA V
 
 Casa rustica in campagna.
 
 NARDO esce di casa con una vanga accompagnato da alcuni villani
 
 NARDO
 
    Al lavoro, alla campagna,
 poi si gode, poi si magna
 con diletto e libertà.
 
155   Oh che pane delicato,
 se da noi fu coltivato!
 Presto, presto a lavorare,
 a potare, a seminare,
 e dappoi si mangerà;
160del buon vin si beverà
 ed allegri si starà. (Partono i contadini, restandone uno impiegato)
 
 Vanga mia benedetta,
 mio diletto conforto e mio sostegno,
 tu sei lo scettro e questi campi il regno.
165Quivi regnò mio padre,
 l’avolo ed il bisavolo e il tritavolo;
 e fur sudditi lor la zucca e il cavolo.
 Nelle città famose
 ogni generazion si cambia stato.
170Se il padre ha accumulato
 con fatiga, con arte e con periglio,
 distrugge i beni suoi prodigo il figlio.
 Qui, dove non ci tiene
 il lusso, l’ambizion, la gola oppressi,
175sono gli uomini ognor sempre gl’istessi.
 Non cambierei, lo giuro,
 col piacer delle feste e dei teatri
 zappe, trebbie, rastrei, vanghe ed aratri.
 
 SCENA VI