Il mondo alla roversa o sia Le donne che comandano, libretto, Lipsia, 1754

 LA LENA ed il suddetto
 
 LA LENA
 Eccolo qui. La vanga
180è tutto il suo diletto. (Da sé)
 Se foste un poveretto, (A Nardo)
 compatir vi vorrei; ma siete ricco,
 avete dei poderi e dei contanti;
 la fatiga lasciate ai lavoranti.
 NARDO
185Cara nipote mia,
 più tosto che parlar come una sciocca,
 fareste meglio maneggiar la rocca.
 LA LENA
 Colla rocca e col fuso e coi famigli
 stanca son d’annoiarmi;
190voi dovreste pensare a maritarmi.
 NARDO
 Sì, volentieri. Presto (Accenna un villano)
 comparisca un marito. Eccolo qui.
 Vuoi sposar mia nipote? Signorsì.
 Eccolo; io ve lo do.
195Lo volete? Vi piace? (Alla Lena)
 LA LENA
                                        Signor no.
 NARDO
 Va’ a veder se passasse
 a caso per la strada
 qualche affamato con parrucca e spada. (Al villano, il quale parte ridendo)
 Vedi? Ride Mingone e ti corbella.
200Povera vanarella,
 tu sposeresti un conte od un marchese,
 perché in meno d’un mese,
 strapazzata la dote e la fanciulla,
 la nobiltà ti riducesse al nulla.
 LA LENA
205Io non voglio un signor né un contadino;
 mi basta un cittadino.
 NARDO
 Per lo più i cittadini
 hanno pochi quattrini e troppe voglie,
 e non usano molto amar la moglie.
 LA LENA
210Il signor don Tritemio
 è cittadino, eppure
 della figliuola sua
 v’han proposte le nozze, io ben lo so.
 NARDO
 Ed io la sposerò,
215perché la dote e il padre suo mi piace,
 con patto che non sia
 gonfia di vento e piena d’albagia.
 LA LENA
 L’avete ancor veduta?
 NARDO
 Ieri solo è venuta.
220Oggi la vederò.
 LA LENA
                               Dunque chi sa
 s’ella vi piacerà?
 NARDO
                                 Basta non abbia
 visibili magagne;
 sono le donne poi tutte compagne.
 LA LENA
 Ammogliatevi presto, signor zio.
225Ma voglio poscia maritarmi anch’io. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 NARDO solo
 
 NARDO
 Sì signora, non dubiti,
 che contenta sarà.
 La si mariterà la poverina;
 ma la vuo’ maritar da contadina.
230Ecco; il mondo è così. Niuno è contento
 del grado in cui si trova
 e lo stato cambiare ognun si prova.
 Vorrebbe il contadino
 diventar cittadino; il cittadino
235cerca nobilitarsi;
 ed il nobile ancor vorrebbe alzarsi.
 D’un gradino alla volta
 qualchedun si contenta;
 alcuno due o tre ne fa in un salto;
240ma lo sbalzo è peggior quanto è più alto.
 
    Vedo quell’albero
 che ha un pero grosso;
 pigliar nol posso,
 si sbalzi in su.
 
245   Ma fatto il salto,
 salito in alto,
 vedo un perone
 grosso assai più.
 
    Prender lo bramo,
250m’alzo sul ramo,
 vado più in su.
 Ma poi precipito
 col capo in giù. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 Salotto in casa di don Tritemio con varie porte.
 
 EUGENIA e RINALDO
 
 EUGENIA
 Deh se mi amate, o caro,
255ite lontan da queste soglie. Oh dio!
 Temo che ci sorprenda il padre mio.
 RINALDO
 Del vostro genitore
 il soverchio rigor vi vuole oppressa.
 Deh pensate a voi stessa.
 EUGENIA
                                                Ai numi il giuro,
260non sarò d’altri, se di voi non sono.
 RINALDO
 Gradisco il vostro cor ma della mano
 il possesso mi cale...
 EUGENIA
                                       Ohimè! Chi viene?
 RINALDO
 Non temete; è Lesbina.
 EUGENIA
                                             Io vivo in pene.
 
 SCENA IX
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 V’è chi cerca di voi, signora. È giunto (Ad Eugenia)
265adesso, in questo punto,
 forte, lesto e gagliardo,
 il bellissimo Nardo; e il padre vostro
 ha detto, ha comandato
 che gli dobbiate far buona accoglienza,
270se non per genio, almen per obbedienza.
 EUGENIA
 Misera! Che farò?
 RINALDO
                                    Coraggio avrete
 di tradir chi v’adora?
 EUGENIA
                                          È ver, son figlia;
 ma sono amante ancor. Chi mi consiglia?
 LESBINA
 Ambi pietà mi fate.
275A me condur lasciate la faccenda.
 Ritiratevi presto.
 EUGENIA
                                  Vado. (In atto di partire)
 RINALDO
                                               Anch’io. (In atto di seguire Eugenia)
 LESBINA
 Con grazia, padron mio,
 ritiratevi, sì; questo mi preme;
 ma non andate a ritirarvi insieme.
280Voi di qua, voi di là; così va bene.
 EUGENIA
 Soffrite, idolo mio. (Si ritira in una stanza)
 RINALDO
                                      Soffrir conviene. (Si ritira in un’altra stanza)
 
 SCENA X
 
 LESBINA, poi NARDO
 
 LESBINA
 Ecco il ricco villano.
 Ora son nell’impegno;
 tutta l’arte vi vuol, tutto l’ingegno.
 NARDO
285Chi è qui?
 LESBINA
                       Non ci vedete?
 Per ora ci son io.
 NARDO
 Bondì a vossignoria.
 LESBINA
                                        Padrone mio.
 NARDO
 Don Tritemio dov’è?
 LESBINA
                                         Verrà fra poco.
 Potete in questo loco
290aspettar, se v’aggrada.
 NARDO
                                           Aspettarò.
 Voi chi siete, signora?
 LESBINA
                                           Io non lo so. (Affettando modestia)
 NARDO
 Sareste per ventura
 la figliuola di lui, venuta qui?...
 LESBINA
 Potria darsi di sì.
 NARDO
295Alla ciera mi par...
 LESBINA
                                     Così sarà.
 NARDO
 Mi piacete davver.
 LESBINA
                                     Vostra bontà.
 NARDO
 Sapete chi son io?
 LESBINA
                                    No, mio signore.
 NARDO
 Né ve lo dice il core?
 LESBINA
 Il cor d’una fanciulla,
300se si tratta d’un uom, non sa dir nulla.
 NARDO
 Eh furbetta, furbetta; voi mi avete
 conosciuto a drittura.
 Delle fanciulle al cor parla natura.
 LESBINA
 Siete forse?
 NARDO
                         Via, chi?
 LESBINA
                                            Nardino bello?
 NARDO
305Sì, carina, son quello,
 quello che vostro sposo è destinato.
 LESBINA
 Con licenza, signor, m’hanno chiamato.
 NARDO
 Dove andate?
 LESBINA
                            Non so.
 NARDO
 Eh restate, carina.
 LESBINA
                                    Signor no.
 NARDO
310Vi spiace il volto mio?
 LESBINA
                                           Anzi... mi piace...
 ma...
 NARDO
             Che ma?
 LESBINA
                                Non so dir... che cosa sia.
 Con licenza, signor, voglio andar via.
 NARDO
 Fermatevi un momento.
 (Si vede dal rossor ch’è figlia buona).
 LESBINA
315(Servo me stessa e servo la padrona).
 
    Compatite, signor, s’io non so.
 Son così, non so far all’amor.
 Una cosa mi sento nel cor
 che col labbro spiegar non si può.
 
320   Miratemi qua,
 saprete cos’è.
 Voltatevi in là,
 lontano da me.
 
    Vuo’ partire, mi sento languire.
325Ah!... Col tempo spiegarmi saprò. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 NARDO e poi DON TRITEMIO
 
 NARDO
 Si vede chiaramente
 che la natura in lei parla innocente.
 Finger anche potrebbe, è ver purtroppo;
 ma è un cattivo animale
330quel che senza ragion sospetta male.
 DON TRITEMIO
 Messer Nardo da bene,
 compatite se troppo trattenuto
 m’ha un domestico impaccio.
 Vi saluto di core.
 NARDO
                                  Ed io vi abbraccio.
 DON TRITEMIO
335Or verrà la figliuola.
 NARDO
                                        È già venuta.
 DON TRITEMIO
 La vedeste?
 NARDO
                         Gnorsì, l’ho già veduta.
 DON TRITEMIO
 Che vi par?
 NARDO
                         Mi par bella.
 DON TRITEMIO
                                                   È un po’ ritrosa.
 NARDO
 La fanciulla va ben sia vergognosa.
 DON TRITEMIO
 Disse niente? Parlò?
 NARDO
                                        Mi disse tanto
340che sperare mi fa d’esser amato.
 DON TRITEMIO
 È vero?
 NARDO
                  È ver.
 DON TRITEMIO
                                (Oh ciel sia ringraziato!) (Da sé)
 Ma perché se n’andò?
 NARDO
                                           Perché bel bello
 amor col suo martello
 il cor le inteneriva
345e ne aveva rossore.
 DON TRITEMIO
                                     E viva, e viva.
 Eugenia, dove sei? Facciamo presto;
 concludiamo l’affar.
 NARDO
                                       Per me, son lesto.
 DON TRITEMIO
 Chi è quella?
 NARDO
                           È mia nipote.
 
 SCENA XII
 
 LA LENA e detti, poi LESBINA
 
 NARDO
 Che volete voi qui? (Alla Lena)
 LA LENA
                                       Con sua licenza,
350alla sposa vorrei far riverenza.
 DON TRITEMIO
 Ora la chiamerò.
 NARDO
 Concludiamo le nozze.
 DON TRITEMIO
                                           Io presto fo. (Parte)
 LA LENA
 Signor zio, com’è bella?
 NARDO
 La vedrai. È una stella.
 LA LENA
355È galante, è graziosa?
 NARDO
 È galante, è gentile ed è amorosa.
 LA LENA
 Vi vorrà ben?
 NARDO
                            Si vede
 da un certo non so che
 che l’ha la madre sua fatta per me.
360Appena ci siam visti,
 un incognito amor di simpatia
 ha messo i nostri cori in allegria.
 
    Son pien di giubilo,
 ridente ho l’animo,
365nel sen mi palpita
 brillante il cor.
 
 LA LENA
 
    Il vostro giubilo
 nelle mie viscere
 risveglia ed agita
370novello ardor.
 
 LESBINA
 
    Sposino amabile, (Esce da una camera)
 per voi son misera;
 mi sento mordere
 dal dio d’amor.
 
 NARDO
 
375   Vieni al mio seno,
 sposina mia.
 
 LA LENA
 
 Signora zia,
 a voi m’inchino.
 
 A TRE
 
 Dolce destino!
380Felice amor!
 
 LESBINA
 
    Parto, parto; il genitore...
 
 NARDO
 
 Perché partir?
 
 LESBINA
 
                              Il mio rossore
 non mi lascia restar qui. (Entra nella camera di dove è venuta)
 
 NARDO
 
    Vergognosetta
385la poveretta
 se ne fuggì.
 
 LA LENA
 
    Se fossi in lei,
 non fuggirei
 chi mi ferì.
 
 DON TRITEMIO
 
390   La ricerco e non la trovo.
 Oh che smania in seno io provo!
 Dove diavolo sarà?
 
 NARDO E LA LENA
 
 Ah ah ah! (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
    L’ho cercata su e giù;
395l’ho cercata qua e là.
 
 NARDO E LA LENA
 
 Ah ah ah! (Ridono)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete? Come va?
 
 NARDO
 
 Fin adesso è stata qua.
 
 DON TRITEMIO
 
 Dov’è andata?
 
 LA LENA
 
                             È andata là. (Accenna dov’è entrata)
 
 DON TRITEMIO
 
400Quando è là, la troverò
 e con me la condurrò. (Entra in quella camera)
 
 NARDO
 
    Superar il genitore
 potrà ben il suo rossore.
 
 LA LENA
 
 Non è tanto vergognoso
405il suo core collo sposo.
 
 A DUE
 
 Si confonde nel suo petto
 il rispetto coll’amor.
 
 LESBINA
 
    Presto, presto, sposo bello,
 via porgetemi l’anello,
410che la sposa allor sarò.
 
 LA LENA
 
 Questa cosa far si può.
 
 NARDO
 
 Ecco, ecco; ve lo do. (Le dà un anello)
 
 LESBINA
 
    Torna il padre! Vado via.
 
 NARDO
 
 Ma perché tal ritrosia?
 
 LESBINA
 
415Il motivo non lo so.
 
 LA LENA
 
 Dallo sposo non fuggite.
 
 LESBINA
 
 Compatite, tornerò. (Torna nella camera di prima)
 
 NARDO E LA LENA
 
    Caso raro, caso bello!
 Una sposa coll’anello
420ha rossor del genitor!
 
 DON TRITEMIO
 
    Non la trovo.
 
 NARDO E LA LENA
 
                              Ah ah ah! (Ridendo)
 
 DON TRITEMIO
 
 Voi ridete?
 
 NARDO E LA LENA
 
                        È stata qua.
 
 LA LENA
 
 Collo sposo ha favellato.
 
 NARDO
 
 E l’anello già le ho dato.
 
 DON TRITEMIO
 
425Alla figlia?...
 
 NARDO E LA LENA
 
                          Signorsì.
 
 DON TRITEMIO
 
 Alla sposa?...
 
 NARDO E LA LENA
 
                           Messersì.
 
 DON TRITEMIO
 
    Quel ch’è fatto fatto sia.
 
 A TRE
 
 Stiamo dunque in allegria,
 che la sposa vergognosa
430alla fin si cangerà;
 e l’amore nel suo core
 con piacer trionferà.
 
 Fine dell’atto primo
 
 
 ATTO SECONDO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera di don Tritemio.
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 LESBINA
 Venite qui, signora padroncina;
 tenete quest’anello,
435ponetevelo in dito,
 fate che il genitore ve lo veda;
 lasciate che la sposa egli vi creda.
 EUGENIA
 Ecco mio padre.
 LESBINA
                                 Presto;
 ponetevelo al dito.
 EUGENIA
440Una sposa son io senza marito. (Si mette l’anello)
 
 SCENA II
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 A che gioco giochiamo? (Ad Eugenia)
 Corro, ti cerco e chiamo;
 mi fuggi e non rispondi?
 Quando vengo da te, perché ti ascondi?
 EUGENIA
445Perdonate, signore...
 DON TRITEMIO
 Basta; veniamo al fatto. È ver che avesti
 dallo sposo l’anello? (Ad Eugenia)
 LESBINA
                                        Signorsì.
 DON TRITEMIO
 Parlo teco? Rispondi. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                          Eccolo qui. (Mostra l’anello a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
 Capperi! È bello assai.
450Non mi credevo mai
 che Nardo avesse di tai gioie in dito.
 Vedi se t’ho trovato un buon marito?
 EUGENIA
 (Misera me, se tal mai fosse!) (Da sé)
 DON TRITEMIO
                                                          Oh via,
 cotesta ritrosia scaccia dal petto;
455queste smorfie oramai mi fan dispetto.
 LESBINA
 Amabile sposina,
 mostrate la bocchina un po’ ridente.
 EUGENIA
 (Qualche volta Lesbina è impertinente).
 DON TRITEMIO
 È picchiato, mi par.
 LESBINA
                                       Vedrò chi sia.
460(Ehi, badate non far qualche pazzia). (Piano ad Eugenia e parte)
 
 SCENA III
 
 DON TRITEMIO, EUGENIA e poi LESBINA che torna
 
 EUGENIA
 (È molto s’io resisto). (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Affé non ho mai visto
 una donna di te più scimunita.
 Figlia che si marita
465suol esser lieta, al suo gioir condotta;
 e tu stai lì che pari una marmotta!
 EUGENIA
 Che volete ch’io dica?
 DON TRITEMIO
                                          Parla o taci,
 non me n’importa più.
 Sposati e in avvenir pensaci tu.
 LESBINA
470Signor, è un cavaliero
 col notar della villa in compagnia
 che brama riverir vossignoria.
 DON TRITEMIO
 Vengano. (Col notaro?...
 Qualchedun che bisogno ha di denaro).
 LESBINA
475(È Rinaldo, padrona. Io vi consiglio
 d’evitar il periglio). (Piano ad Eugenia)
 EUGENIA
                                        (Andiam, Lesbina). (A Lesbina)
 Con licenza. (S’inchina a don Tritemio)
 DON TRITEMIO
                          Va’ pure.
 EUGENIA
                                             (Ahi me meschina!) (Da sé e parte con Lesbina)
 
 SCENA IV
 
 DON TRITEMIO, poi RINALDO e CAPOCCHIO notaro
 
 DON TRITEMIO
 Se denaro vorrà, gli ne darò,
 purché sicuro sia con fondamento
480e che almeno mi paghi il sei per cento.
 Ma che vedo! È colui
 che mi ha chiesto la figlia. Or che pretende?
 Col notaro che vuol? Che far intende?
 RINALDO
 Compatite, signor...
 DON TRITEMIO
                                       La riverisco.
 RINALDO
485Compatite se ardisco
 replicarvi l’incomodo. Temendo
 che non siate di me ben persuaso,
 ho condotto il notaro,
 il qual patente e chiaro
490di me vi mostrerà
 titoli, parentele e facoltà.
 DON TRITEMIO
 (È ridicolo invero).
 CAPOCCHIO
                                      Ecco, signore,
 l’istrumento rogato
 d’un ricco marchesato;
495ecco l’albero suo, da cui si vede
 che per retto camino
 vien l’origine sua dal re Pipino.
 DON TRITEMIO
 Oh capperi! Che vedo!
 Questa è una cosa bella in verità.
500Ma della nobiltà, signor mio caro,
 come andiamo del par con il denaro?
 RINALDO
 Mostrategli i poderi,
 mostrategli sinceri i fondamenti. (A Capocchio)
 CAPOCCHIO
 Questi sono istrumenti
505di comprede, di censi e di livelli;
 questi sono contratti buoni e belli. (Mostrando alcuni fogli a guisa d’istrumenti antichi)
 
    Nel Quattrocento
 sei possessioni,
 nel Cinquecento
510quattro valloni;
 anno millesimo
 una duchea;
 milletrentesimo
 una contea
515emit etcaetera.
 
    Case e casoni,
 giurisdizioni,
 frutti annuali,
 censi e cambiali.
520Sic etcaetera,
 cum etcaetera. (Parte)
 
 SCENA V
 
 DON TRITEMIO e RINALDO
 
 DON TRITEMIO
 La riverisco etcaetera.
 Vada, signor notaro, co’ suoi etcaetera.
 RINALDO
 Ei va per ordin mio
525a prendere altri fogli, altri capitoli,
 per provarvi di me lo stato e i titoli.
 DON TRITEMIO
 Sì sì; la vostra casa
 ricca, nobile e grande ogni ora fu.
 Credo quel che mi dite e ancora più.
 RINALDO
530Dunque di vostra figlia
 mi credete voi degno?
 DON TRITEMIO
 Chiamerò la figliuola.
 S’ella non fosse in caso,
 del mio buon cor sarete persuaso.
 RINALDO
535Sì, chiamatela pur, contento io sono;
 se da lei son escluso, io vi perdono.
 DON TRITEMIO
 Bravo. Un uom di ragion si loda e stima.
 S’ella non puole, amici come prima.
 
    Sono di tutti amico,
540son vostro servitor;
 un uomo di buon cor
 conoscerete in me.
 
    La chiamo subito;
 verrà; ma dubito,
545sconvolta trovisi
 da un non so che.
 
    Farò il possibile
 pel vostro merito;
 che per i titoli,
550per i capitoli,
 anche in preterito
 famoso egli è. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 RINALDO, poi DON TRITEMIO ed EUGENIA
 
 RINALDO
 Se da Eugenia dipende il piacer mio,
 di sua man, del suo cor certo son io.
 DON TRITEMIO
555Eccola qui; vedete se son io
 un galantuomo.
 RINALDO
                                Ognor tal vi credei,
 benché foste nemico ai desir miei.
 DON TRITEMIO
 Eugenia, quel signore
 ti vorrebbe in isposa; e tu che dici?
 EUGENIA
560Tra le donne felici
 la più lieta sarò, padre amoroso,
 se Rinaldo, che adoro, avrò in isposo.
 DON TRITEMIO
 Brava, figliuola mia;
 il rossor questa volta è andato via.
 RINALDO
565L’udiste? Ah non tardate (A don Tritemio)
 entrambi a consolare.
 DON TRITEMIO
                                          Eppur pavento...
 RINALDO
 Ogni timor è vano.
 In faccia al genitor mi dia la mano.
 DON TRITEMIO
 La mano? In verità
570s’ha da far; s’ha da far... se si potrà,
 dammi la destra tua. (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                          Eccola. (Don Tritemio le prende la mano)
 DON TRITEMIO
                                                         A voi; (Chiede la mano a Rinaldo)
 prendetela... bel bello,
 che nel dito d’Eugenia evvi un anello.
 Ora che mi ricordo,
575Nardo con quell’anello la sposò;
 e due volte sposarla non si può.
 RINALDO
 Come!
 DON TRITEMIO
                Non è così? (Ad Eugenia)
 EUGENIA
                                       Sposa non sono.
 DON TRITEMIO
 Ma se l’anello in dono
 prendesti già delle tue nozze in segno,
580non si può, figlia mia, scioglier l’impegno.
 Voi che dite, signor? (A Rinaldo)
 RINALDO
                                         Dico che tutti,
 perfidi, m’ingannate,
 che di me vi burlate, e che son io
 bersaglio del destin barbaro e rio.
 DON TRITEMIO
585La colpa non è mia.
 EUGENIA
                                      (Tacer non posso).
 Udite; ah svelar deggio
 l’arcano onde ingannato...
 
 SCENA VII
 
 LESBINA e detti
 
 LESBINA
 Signor padron, voi siete dimandato. (A don Tritemio)
 EUGENIA
 (Ci mancava costei).
 DON TRITEMIO
                                        Chi è che mi vuole? (A Lesbina)
 LESBINA
590Un famiglio di Nardo.
 DON TRITEMIO
 Sente, signor? Del genero un famiglio
 favellarmi desia,
 onde vossignoria,
 s’altra cosa non ha da comandare,
595per cortesia, se ne potrebbe andare.
 RINALDO
 Sì sì; me n’anderò; ma giuro ai numi,
 vendicarmi saprò.
 EUGENIA
                                    (Destin crudele!)
 Rinaldo, questo cor...
 RINALDO
                                         Taci, infedele.
 
    Perfida figlia ingrata!
600Padre spietato, indegno!
 Non so frenar lo sdegno,
 l’alma si scuote irata.
 Empio! Crudele! Audace!
 Pace per me non v’è. (Or all’una, or all’altro)
 
605   E tu che alimentasti (A Lesbina)
 sinora il foco mio,
 colla speranza, oh dio!
 così tu m’ingannasti?
 L’offeso cor aspetta
610vendetta ancor di te. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 EUGENIA, DON TRITEMIO e LESBINA
 
 LESBINA
 Obbligata davver del complimento!
 DON TRITEMIO
 (Ho un tantin di paura). (Da sé)
 EUGENIA
                                                (Ahi che tormento!) (Da sé)
 DON TRITEMIO
 Orsù, signora pazza, (Ad Eugenia)
 ho capito il rossor che cosa sia.
615Quel che voglia colui vado a sentire;
 poi la discorrerem. S’ha da finire. (In atto di partire)
 LESBINA
 Sì signor, dite bene.
 DON TRITEMIO
                                        E tu, fraschetta,
 tu alimentasti dell’amante il foco?
 Vado e ritorno. Parlerem fra poco.
 
 SCENA IX
 
 EUGENIA e LESBINA
 
 EUGENIA
620Ah Lesbina crudele!
 Solo per tua cagion sono in periglio.
 LESBINA
 Loderete nel fine il mio consiglio.
 EUGENIA
 Prenditi quest’anello.
 LESBINA
 Eh no, signora mia.
 EUGENIA
625Prendilo o giuro al ciel lo getto via.
 LESBINA
 Ma perché?
 EUGENIA
                         Fu cagione
 che Rinaldo, il mio ben, mi crede infida.
 Quest’anello omicida
 dinnanzi agli occhi miei soffrir non vuo’.
 LESBINA
630Se volete così, lo prenderò.
 Eccolo nel mio dito.
 Che vi par? Mi sta bene?
 EUGENIA
 Ah tu sei la cagion delle mie pene!
 
 SCENA X
 
 DON TRITEMIO e dette
 
 DON TRITEMIO
 Oh genero garbato!
635Alla sposa ha mandato (Mostra un gioiello)
 questo ricco gioiello.
 Prendilo, Eugenia mia; guarda s’è bello.
 EUGENIA
 Non lo curo, signore...
 DON TRITEMIO
                                          Ed io comando
 che tu prender lo debba; il ricusarlo
640sarebbe un’insolenza.
 EUGENIA
 Dunque lo prendo per ubbidienza. (Prende il gioiello)
 Ma... vi chiedo perdono, (Lo dà a Lesbina)
 non mi piace, nol voglio, a te lo dono.
 LESBINA
 Grazie. (Lo prende)
 DON TRITEMIO
                  Rendilo a me. (A Lesbina)
 LESBINA
                                              Signor padrone,
645sentite una parola.
 (Se la vostra figliuola
 è meco generosa,