Artaserse, libretto, Stoccarda, Cotta, 1756

 SCENA VII
 
 ARTABANO e detti
 
 ARTABANO
                                                        È vana
 la tua, la mia pietà. La sua salvezza
 o non cura o dispera.
 ARTASERSE
                                         E vuol ridurmi
 l'ingrato a condannarlo?
 SEMIRA
560Condannarlo! Ah crudel!
 ARTASERSE
                                                Semira, a torto
 m'accusi di crudel! Che far poss'io,
 se difesa non ha? Tu che faresti?
 Che farebbe Artabano? Olà custodi,
 Arbace a me si guidi; il padre istesso
565sia giudice del figlio. Egli l'ascolti,
 ei l'assolva, se può. Tutta in sua mano
 la mia depongo autorità reale.
 ARTABANO
 Come!
 MANDANE
                E tanto prevale
 l'amicizia al dover? Punir nol vuoi,
570se la pena del reo commetti al padre.
 ARTASERSE
 A un padre io la commetto
 di cui nota è la fé.
 MANDANE
                                   Ma sempre è padre.
 ARTASERSE
 Perciò doppia ragione ha di punirlo.
 MANDANE
 Dunque così...
 ARTASERSE
                             Così se Arbace è il reo
575la vittima assicuro al re svenato;
 ed al mio difensor non sono ingrato.
 ARTABANO
 Ah signor, qual cimento...
 ARTASERSE
 Degno di tua virtù.
 ARTABANO
                                      Di questa scelta
 che si dirà?
 ARTASERSE
                         Che si può dir? Parlate, (A’ grandi)
580se v'è ragion che a dubitar vi muova.
 MEGABISE
 Il silenzio d'ognun la scelta approva.
 SEMIRA
 Ecco il germano. (Va in trono ed i grandi siedono)
 MANDANE
                                 (Aimè!)
 
 ARTABANO
                                                   (Affetti,
 ah tollerate il freno). (Nell’andare a sedere al tavolino)
 MANDANE
 (Povero cor non palpitarmi in seno).