Attilio Regolo, libretto, Parigi, Quillau, 1755

 SEMIRA
 Qual serie di sventure un giorno solo
 unisce a’ danni miei! Mandane, ah senti.
 MANDANE
830Non m’arrestar, Semira.
 SEMIRA
                                               Ove t’affretti?
 MANDANE
 Vado al real consiglio.
 SEMIRA
                                          Io tua seguace
 sarò, se giova all’infelice Arbace.
 MANDANE
 L’interesse è distinto;
 tu salvo il brami ed io lo voglio estinto.
 SEMIRA
835E un’amante d’Arbace
 parla così?
 MANDANE
                       Parla così, Semira,
 una figlia di Serse.
 SEMIRA
                                     Il mio germano
 o non ha colpa o per tua colpa è reo,
 perché troppo t’amò...
 MANDANE
                                           Questo è il maggiore
840de’ falli suoi. Col suo morir degg’io
 giustificar me stessa e vendicarmi
 di quel rossor che soffre
 il mio genio real, che a lui donato
 dovea destarlo a generose imprese
845e per mia pena un traditor lo rese.
 SEMIRA
 E non basta a punirlo
 delle leggi il rigor che a lui sovrasta,
 senza gl’impulsi tuoi?
 MANDANE
                                           No che non basta.
 Io temo in Artaserse
850la tenera amistà; temo l’affetto
 ne’ satrapi e ne’ grandi; e temo in lui
 quell’ignoto poter, quell’astro amico
 che in fronte gli risplende,
 che degl’animi altrui signor lo rende.
 SEMIRA
855Va’, sollecita il colpo,
 accusalo, spietata,
 riducilo a morir. Però misura
 prima la tua costanza. Hai da scordarti
 le speranze, gli affetti,
860la data fé, le tenerezze, i primi
 scambievoli sospiri, i primi sguardi
 e l’idea di quel volto
 dove apprese il tuo core
 la prima volta a sospirar d’amore.
 MANDANE
865Ah barbara Semira,
 io che ti feci mai! Perché risvegli
 quella al dover ribelle
 colpevole pietà che opprimo in seno
 a forza di virtù? Perché ritorni
870con quest’idea che ’l mio coraggio atterra
 fra miei pensieri a rinovar la guerra.
 
    Se d’un amor tiranno
 credei di trionfar,
 lasciami nell’inganno,
875lasciami lusingar
 che più non amo.
 
    Se l’odio è il mio dover,
 barbara, e tu lo sai,
 perché avveder mi fai
880che invan lo bramo? (Parte)
 
 SCENA VII
 
 SEMIRA
 
 SEMIRA
 A qual di tanti danni
 prima oppormi degg’io? Mandane, Arbace,
 Megabise, Artaserse, il genitore,
 tutti son miei nemici. Ognun m’assale
885in alcuna del cor tenera parte;
 mentre ad uno m’oppongo, io resto agli altri
 senza difesa esposta; ed il contrasto
 sola di tutti a sostener non basto.
 
    Se del fiume altera l’onda
890tenta uscir dal letto usato,
 corre a questa, a quella sponda
 l’affannato agricoltor.
 
    Ma disperde in su l’arene
 il sudor, le cure, l’arti,
895che se in una ei lo trattiene,
 si fa strada in cento parti
 il torrente vincitor. (Parte)
 
 
 SCENA VIII
 
 Gran sala del real consiglio con trono da un lato, sedili dall’altro per i grandi del regno. Tavolino e sedia alla destra del sudetto trono.
 
 ARTASERSE preceduto da una parte delle guardie e da’ grandi del regno, seguito dal restante delle guardie, poi MEGABISE
 
 ARTASERSE
 Eccomi, o della Persia
 fidi sostegni, del paterno soglio
900le cure a tolerar. Son del mio regno
 sì torbidi i principi e sì funesti
 che l’inesperta mano
 teme di questo avvicinarsi al freno.
 Voi che nudrite in seno
905zelo, valore, esperienza e fede,
 dell’affetto in mercede,