Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 chiamar l’intesi! E a quanti
 molle osservai per tenerezza il ciglio!
190Che spettacolo Attilia al cor d’un figlio!
 ATTILIA
 Ah Licinio dov’è? Di lui si cerchi;
 imperfetta saria,
 non divisa con lui, la gioia mia.
 
    Goda con me s’io godo
195l’oggetto di mia fé;
 come penò con me,
 quand’io penai.
 
    Provi felice il nodo
 in cui l’avvolse amor;
200assai tremò finor,
 sofferse assai. (Parte)
 
 SCENA V
 
 PUBLIO e BARCE
 
 PUBLIO
 Addio Barce vezzosa.
 BARCE
                                         Odi. Non sai
 dell’orator cartaginese il nome?
 PUBLIO
 Sì. Amilcare s’appella.
 BARCE
                                           È forse il figlio
205d’Annone?
 PUBLIO
                       Appunto.
 BARCE
                                           (Ah l’idol mio!)
 PUBLIO
                                                                          Tu cangi
 color! Perché? Fosse costui cagione
 del tuo rigor con me?
 BARCE
                                          Signor, trovai
 tal pietà di mia sorte
 in Attilia ed in te che non m’avvidi
210finor di mie catene; e troppo ingrata
 sarei se t’ingannassi. A te sincera
 tutto il cor scoprirò. Sappi...
 PUBLIO
                                                     T’accheta.
 Mi prevedo funesta
 la tua sincerità. Fra le dolcezze
215di questo dì non mescoliam veleno.
 Se d’altri sei, vo’ dubitarne almeno.
 
    Se più felice oggetto
 occupa il tuo pensiero,
 taci; non dirmi il vero;
220lasciami nell’error.
 
    È pena che avvelena
 un barbaro sospetto;
 ma una certezza è pena
 che opprime affatto un cor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 BARCE sola
 
 BARCE
225Dunque è ver che a momenti
 il mio ben rivedrò! L’unico, il primo
 onde m’accesi! Ah, che farai cor mio!
 d’Amilcare all’aspetto,