Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 SCENA XI
 
 ARBACE e detti
 
 ARBACE
255Deh t'arresta o signor. (A Catone)
 MARZIA
                                            (Sarai contento). (Piano ad Arbace)
 CATONE
 Vieni o principe, andiamo
 a compir l'imeneo; potea più pronto
 donar quanto promisi?
 ARBACE
                                             A sì gran dono
 è poco il sangue mio, ma se pur vuoi
260che si renda più grato, all'altra aurora
 differirlo ti piaccia.
 CATONE
 No, già fumano l'are,
 son raccolti i ministri ed importuna
 sarebbe ogni dimora.
 ARBACE
                                          Oh dio!... Non sai... (Che pena!)
 CATONE
265Ma qual freddezza è questa! Io non l'intendo.
 Fosse Marzia l'audace
 che si oppone a' tuoi voti? (Ad Arbace)
 MARZIA
                                                   Io! Parli Arbace.
 ARBACE
 No, son io che ti priego.
 CATONE
                                              Ah qualche arcano
 qui si nasconde. (Ei chiede... (Da sé)
270poi ricusa la figlia... Il giorno stesso
 che vien Cesare a noi, tanto si cangia...
 Sì lento... Sì confuso... Io temo...) Arbace
 non ti sarebbe già tornato in mente
 che nascesti africano?
 ARBACE
                                           Io da Catone
275tutto sopporto e pure...
 CATONE
 E pure assai diverso
 io ti credea.
 ARBACE
                         Vedrai...
 CATONE
                                           Vidi abbastanza;
 e nulla ormai più da veder m'avanza. (Parte)
 ARBACE
 Brami di più, crudele? Ecco adempito
280il tuo comando, ecco in sospetto il padre
 ed eccomi infelice. Altro vi resta
 per appagarti?
 MARZIA
                              Ad ubbidirmi Arbace
 incominciasti appena e in faccia mia
 già ne fai sì gran pompa?
 ARBACE
                                                 O tirannia! (Parte)