Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 SCENA V
 
 FULVIO e detti
 
 FULVIO
                                       Ormai
 consolati, signor, la tua fortuna
 degna è d'invidia; ad ascoltarti alfine
 scende Catone. Io di favor sì grande
445la novella ti reco.
 EMILIA
                                  (Ancor costui
 mi lusinga e m'inganna).
 CESARE
                                                 E così presto
 si cangiò di pensiero?
 FULVIO
                                           Anzi il suo pregio
 è l'animo ostinato.
 Ma il popolo adunato,
450i compagni, gli amici, Utica intera
 desiosa di pace a forza ha svelto
 il consenso da lui.
 MARZIA
                                   Signor che pensi? (A Cesare)
 Una privata offesa ah non seduca
 il tuo gran cor, vanne a Catone e insieme
455tutti amici serbate
 tanto sangue latino. Al mondo intero
 del turbato riposo
 sei debitor; tu non rispondi? Almeno
 guardami, io son che priego.
 CESARE
                                                      Ah Marzia...
 MARZIA
                                                                               Io dunque
460a muoverti a pietà non son bastante?
 EMILIA
 (Più dubitar non posso, è Marzia amante).
 CESARE
 Marzia, di nuovo al padre
 vuo' chieder pace e soffrirò fintanto
 ch'io perda di placarlo ogni speranza.
465Ma se tanto s'avanza
 l'orgoglio in lui che non si pieghi, allora
 non so dirti a qual segno
 giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
 
    Soffre talor del vento
470i primi insulti il mare
 né a cento legni e cento
 che van per l'onde chiare
 intorbida il sentier.
 
    Ma poi se il vento abbonda
475il mar s'innalza e freme
 e colle navi affonda
 tutta la ricca speme
 dell'avido nocchier. (Parte)