Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 s’oppone a miei consigli?
 ATTILIA
                                                 Ah di giovarti
 dunque il desio d’inimicizia è prova?
 REGOLO
 Che sai tu quel che nuoce o quel che giova?
 Delle pubbliche cure (Con isdegno)
645chi a parte ti chiamò? Della mia sorte
 chi ti fe’ protettrice? Onde...
 LICINIO
                                                      Ah signore
 troppo...
 REGOLO
                   Parla Licinio! Assai tacendo (Come sopra)
 meglio si difendea; pareva almeno
 pentimento il silenzio. Eterni dei!
650Una figlia!... Un roman!
 ATTILIA
                                              Perché son figlia...
 LICINIO
 Perché roman son io, credei che oppormi
 al tuo fato inumano...
 REGOLO
 
   Taci; non è romano (A Licinio)
 chi una viltà consiglia.
655Taci; non è mia figlia (Ad Attilia)
 chi più virtù non ha.
 
    Or sì de’ lacci il peso
 per vostra colpa io sento;
 or sì la mia rammento
660perduta libertà. (Parte)
 
 SCENA V
 
 ATTILIA e LICINIO
 
 ATTILIA
 Ma di’ , credi o Licinio
 che mai di me nascesse
 più sfortunata donna? Amare un padre,
 affannarsi a suo pro, mostrar per lui
665di tenera pietade il cor trafitto
 saria merito ad altri; è a me delitto.
 LICINIO
 No; consolati Attilia e non pentirti
 dell’opera pietosa. Altro richiede
 il dover nostro ed altro
670di Regolo il dover; se gloria è a lui
 della vita il disprezzo, a noi sarebbe
 empietà non salvarlo. Alfin vedrai
 che grato ei ci sarà. Non ti spaventi
 lo sdegno suo; spesso l’infermo accusa
675di crudel, d’inumana
 quella medica man che lo risana.
 ATTILIA
 Que’ rimproveri acerbi
 mi trafiggono il cor; non ho costanza
 per soffrir l’ire sue.