Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 mi sovvien che son padre. Io lascio in Roma
925due figli, il sai, Publio ed Attilia; e questi
 son del mio cor, dopo la patria, il primo,
 il più tenero affetto. In lor traluce
 indole non volgar; ma sono ancora
 piante immature e di cultor prudente
930abbisognano entrambi. Il ciel non volle
 che l’opera io compissi. Ah tu ne prendi
 per me pietosa cura;
 tu di lor con usura
 la perdita compensa. Al tuo bel core
935debbano e a’ tuoi consigli
 la gloria il padre e l’assistenza i figli.
 MANLIO
 Sì tel prometto. I preziosi germi
 custodirò geloso. Avranno un padre,
 se non degno così, tenero almeno
940al par di te. Della virtù romana
 io lor le tracce additerò. Né molto
 sudor mi costerà. Basta a quell’alme,
 di bel desio già per natura accese,
 l’istoria udir delle paterne imprese.
 REGOLO
945Or sì più non mi resta...
 
 SCENA II
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
 Manlio! Padre!
 REGOLO
                               Che avvenne?
 PUBLIO
 Roma tutta è in tumulto. Il popol freme;
 non si vuol che tu parta.
 REGOLO
                                              E sarà vero
 che un vergognoso cambio
950possa Roma bramar?
 PUBLIO
                                          No; cambio o pace
 Roma non vuol; vuol che tu resti.
 REGOLO
                                                              Io! Come?
 E la promessa? E il giuramento?
 PUBLIO
                                                              Ognuno
 grida che fé non dessi
 a perfidi serbar.
 REGOLO
                                 Dunque un delitto,
955scusa è dell’altro. E chi sarà più reo
 se l’esempio è discolpa?
 PUBLIO
                                              Or si raduna
 degli auguri il colleggio. Ivi deciso
 il gran dubbio esser deve.
 REGOLO
                                                  Uopo di questo
 oracolo io non ho. So che promisi;
960voglio partir. Potea
 della pace o del cambio
 Roma deliberar. Del mio ritorno
 a me tocca il pensier. Pubblico quello,
 questo è privato affar. Non son qual fui;
965né Roma ha dritto alcun sui servi altrui.
 PUBLIO
 Degli auguri il decreto
 s’attenda almen.
 REGOLO
                                 No; se l’attendo, approvo