Catone in Utica, libretto, Stoccarda, Cotta, 1754

 SCENA XII
 
 MARZIA da un lato, ARBACE dall’altro e detto
 
 MARZIA
 Padre.
 ARBACE
                Signor.
 MARZIA, ARBACE
                                T'arresta.
 CATONE
                                                    Al guardo mio
925ardisci ancor di presentarti ingrata?
 ARBACE
 Una misera figlia
 lasciar potresti in servitù sì dura?
 CATONE
 Ah questa indegna oscura
 la gloria mia.
 MARZIA
                           Che crudeltà! Deh ascolta
930i prieghi miei.
 CATONE
                              Taci.
 MARZIA
                                          Perdono o padre, (S’inginocchia)
 caro padre, pietà. Questa che bagna
 di lagrime il tuo piede è pur tua figlia.
 Ah volgi a me le ciglia,
 vedi almen la mia pena,
935guardami una sol volta e poi mi svena.
 ARBACE
 Placati alfine.
 CATONE
                            Or senti.
 Se vuoi che l'ombra mia vada placata
 al suo fatal soggiorno, eterna fede
 giura ad Arbace e giura
940all'oppressore indegno
 della patria e del mondo eterno sdegno.
 MARZIA
 (Morir mi sento).
 CATONE
                                   E pensi ancor? Conosco
 l'animo averso. Ah da costei lontano
 volo a morir.
 MARZIA
                           No, genitore, ascolta. (S’alza)
945Tutto farò. Vuoi che ad Arbace io serbi
 eterna fé? La serberò. Nemica
 di Cesare mi vuoi? Dell'odio mio
 contro lui t'assicuro.
 CATONE
 Giuralo.
 MARZIA
                   (Oh dio!). Su questa man lo giuro. (Prende la mano di Catone e la bacia)
 ARBACE
950Mi fa pietade.
 CATONE
                             Or vieni
 fra queste braccia e prendi
 gli ultimi amplessi miei, figlia infelice.
 Son padre alfine e nel momento estremo
 cede ai moti del sangue
955la mia fortezza. Ah non credea lasciarti
 in Africa così.
 MARZIA
                            Questo è dolore. (Piange)
 CATONE
 Non seduca quel pianto il mio valore.
 
    Per darvi alcun pegno
 d'affetto il mio core
960vi lascia uno sdegno,
 vi lascia un amore;
 ma degno di voi,
 ma degno di me.
 
    Io vissi da forte,
965più viver non lice.
 Almen sia la sorte
 ai figli felice
 se al padre non è. (Parte)
 
 MARZIA
 Seguiamo i passi suoi.
 ARBACE
                                            Non s'abbandoni
970al suo crudel desio. (Parte)
 MARZIA
 Deh serbatemi, o numi, il padre mio. (Parte)