Ciro riconosciuto, libretto, Ferrara, Barbieri, 1744

 la mestizia, il silenzio
15è segno di viltade; e agli occhi altrui
 si confondon sovente
 la prudenza e il timor. Se penso e taccio,
 taccio e penso a ragion. Tutto ha sconvolto
 di Cesare il furor. Per lui Farsaglia
20è di sangue civil tiepida ancora;
 per lui più non s’adora
 Roma, il Senato, al di cui cenno un giorno
 tremava il Parto, impallidia lo Scita;
 da barbara ferita
25per lui sugli occhi al traditor d’Egitto
 cadde Pompeo trafitto; e solo in queste
 d’Utica anguste mura
 mal sicuro riparo
 trova alla sua ruina
30la fuggitiva libertà latina.
 Cesare abbiamo a fronte
 che d’assedio ne stringe; i nostri armati
 pochi sono e mal fidi; in me ripone
 la speme che le avanza
35Roma che geme al suo tiranno in braccio;
 e chiedete ragion s’io penso e taccio?
 MARZIA
 Ma non viene a momenti
 Cesare a te?
 ARBACE
                          Di favellarti ei chiede;
 dunque pace vorrà.
 CATONE
                                      Sperate invano
40che abbandoni una volta
 il desio di regnar. Troppo gli costa
 per deporlo in un punto.
 MARZIA
 Chi sa? Figlio è di Roma
 Cesare ancor.
 CATONE
                            Ma un dispietato figlio
45che serva la desia, ma un figlio ingrato
 che per domarla appieno
 non sente orror nel lacerarle il seno.
 ARBACE
 Tutta Roma non vinse
 Cesare ancora. A superar gli resta
50il riparo più forte al suo furore.
 CATONE
 E che gli resta mai?