Ciro riconosciuto, libretto, Ferrara, Barbieri, 1744

70di sposo a lei la mano;
 non mi sdegni la figlia e son romano.
 MARZIA
 Come! Allor che paventa
 la nostra libertà l’ultimo fato,
 che a’ nostri danni armato
75arde il mondo di bellici furori,
 parla Arbace di nozze e chiede amori?
 CATONE
 Deggion le nozze, o figlia,
 più al pubblico riposo
 che alla scelta servir del genio altrui.
80Con tal cambio di affetti
 si meschiano le cure. Ognun difende
 parte di sé nell’altro, onde muniti
 di nodo sì tenace
 crescon gl’imperi e stanno i regni in pace.
 ARBACE
85Felice me, se approva
 al par di te con men turbate ciglia
 Marzia gli affetti miei.
 CATONE
                                            Marzia è mia figlia.
 MARZIA
 Perché tua figlia io sono e son romana,
 custodisco gelosa
90le ragioni, il decoro
 della patria e del sangue. E tu vorrai
 che la tua prole istessa, una che nacque
 cittadina di Roma e fu nudrita
 all’aura trionfal del Campidoglio,
95scenda al nodo d’un re?
 ARBACE
                                              (Che bell’orgoglio!)
 CATONE
 Come cangia la sorte
 si cangiano i costumi. In ogni tempo
 tanto fasto non giova; e a te non lice
 esaminar la volontà del padre.
100Principe, non temer, fra poco avrai
 Marzia tua sposa. In queste braccia intanto (Catone abbraccia Arbace)
 del mio paterno amore
 prendi il pegno primiero e ti rammenta
 ch’oggi Roma è tua patria. Il tuo dovere,
105or che romano sei,
 è di salvarla o di cader con lei.
 
    Con sì bel nome in fronte
 combatterai più forte.
 Rispetterà la sorte
110di Roma un figlio in te.
 
    Libero vivi; e quando
 tel nieghi il fato ancora,
 almen come si mora
 apprenderai da me. (Parte)
 
 SCENA II
 
 MARZIA, ARBACE
 
 ARBACE
115Poveri affetti miei,
 se non sanno impetrar dal tuo bel core
 pietà, se non amore.
 MARZIA
 M’ami, Arbace?
 ARBACE
                                Se t’amo! E così poco
 si spiegano i miei sguardi
120che se il labbro nol dice ancor nol sai?
 MARZIA
 Ma qual prova finora
 ebbi dell’amor tuo?
 ARBACE
                                       Nulla chiedesti.
 MARZIA
 E s’io chiedessi, o prence,
 questa prova or da te?
 ARBACE
                                           Fuor che lasciarti
125tutto farò.
 MARZIA
                      Già sai
 qual di eseguir necessità ti stringa,
 se mi sproni a parlar.
 ARBACE
                                          Parla; ne brami
 sicurezza maggior? Su la mia fede,
 sul mio onor ti assicuro;
130il giuro ai numi, a que’ begli occhi il giuro.
 Che mai chieder mi puoi? La vita? Il soglio?
 Imponi, eseguirò.
 MARZIA
                                    Tanto non voglio.
 Bramo che in questo giorno
 non si parli di nozze; a tua richiesta
135il padre vi acconsenta;
 non sappia ch’io l’imposi e son contenta.
 ARBACE
 Perché voler ch’io stesso
 la mia felicità tanto allontani?
 MARZIA
 Il merto di ubbidir perde chi chiede
140la ragion del comando.
 ARBACE
                                            Ah so ben io
 qual ne sia la cagion. Cesare ancora
 è la tua fiamma. All’amor mio perdona
 un libero parlar; so che l’amasti.
 Oggi in Utica ei viene; oggi ti spiace
145che si parli di nozze; i miei sponsali
 oggi ricusi al genitore in faccia;
 e vuoi da me ch’io t’ubbidisca e taccia?
 MARZIA
 Forse i sospetti tuoi
 dileguare io potrei ma tanto ancora
150non deggio a te. Servi al mio cenno e pensa
 a quanto promettesti, a quanto imposi.
 ARBACE
 Ma poi quegli occhi amati
 mi saranno pietosi o pur sdegnati?
 MARZIA
 
    Non ti minaccio sdegno,
155non ti prometto amor.
 Dammi di fede un pegno,
 fidati del mio cor,
 vedrò se m’ami.
 
    E di premiarti poi
160resti la cura a me
 né domandar mercé
 se pur la brami. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ARBACE
 
 ARBACE
 Che giurai! Che promisi! A qual comando
 ubbidir mi conviene! E chi mai vide
165più misero di me? La mia tiranna
 quasi sugli occhi miei si vanta infida
 ed io l’armi le porgo, onde m’uccida.
 
    Che legge spietata,
 che sorte crudele
170d’un’alma piagata,
 d’un core fedele
 servire, soffrire,