Ciro riconosciuto, libretto, Ferrara, Barbieri, 1744

 scende Catone. Io di favor sì grande
 la novella ti reco.
 EMILIA
                                  (Ancor costui
860mi lusinga e m’inganna).
 CESARE
                                                 E così presto
 si cangiò di pensiero?
 FULVIO
                                           Anzi il suo pregio
 è l’animo ostinato.
 Ma il popolo adunato,
 i compagni, gli amici, Utica intera
865desiosa di pace a forza ha svelto
 il consenso da lui. Da’ prieghi astretto,
 non persuaso, ei con sdegnosi accenti
 aspramente assentì, quasi da lui
 tu dipendessi e la commun speranza.
 CESARE
870Che fiero cor! Che indomita costanza!
 EMILIA
 (E tanto ho da soffrir!)
 MARZIA
                                            Signor, tu pensi? (A Cesare)
 Una privata offesa ah non seduca
 il tuo gran cor. Vanne a Catone e insieme
 fatti amici serbate
875tanto sangue latino. Al mondo intero
 del turbato riposo
 sei debitor. Tu non rispondi? Almeno
 guardami; io son che priego.
 CESARE
                                                       Ah Marzia...
 MARZIA
                                                                                Io dunque
 a moverti a pietà non son bastante?
 EMILIA
880(Più dubitar non posso, è Marzia amante).
 FULVIO
 Eh che non è più tempo
 che si parli di pace. A vendicarci
 andiam coll’armi; il rimaner che giova?
 CESARE
 No, facciam del suo cor l’ultima prova.
 FULVIO
885Come!
 MARZIA
                (Respiro).
 EMILIA
                                     Or vanta
 vile che sei quel tuo gran cor. Ritorna
 supplice a chi t’offende e fingi a noi
 ch’è rispetto il timor.
 CESARE
                                         Chi può gli oltraggi
 vendicar con un cenno e si raffrena
890vile non è. Marzia, di nuovo al padre
 vuo’ chieder pace e soffrirò fintanto
 ch’io perda di placarlo ogni speranza.
 Ma se tanto s’avanza
 l’orgoglio in lui che non si pieghi, allora
895non so dirti a qual segno
 giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
 
    Soffre talor del vento
 i primi insulti il mare;
 né a cento legni e cento
900che van per l’onde chiare
 intorbida il sentier.
 
    Ma poi se il vento abbonda
 il mar s’innalza e freme;
 e colle navi affonda
905tutta la ricca speme
 dell’avido nocchier. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 MARZIA, EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Lode agli dei. La fuggitiva speme
 a Marzia in sen già ritornar si vede.
 FULVIO
 Ne fa sicura fede
910la gioia a noi che le traspare in volto.
 MARZIA
 Nol niego, Emilia. È stolto
 chi non sente piacer, quando placato
 l’altrui genio guerriero
 può sperar la sua pace il mondo intero.
 EMILIA
915Nobil pensier, se i pubblici riposi
 di tutti i voti tuoi sono gli oggetti.
 Ma spesso avvien che questi
 siano illustri pretesti,
 ond’altri asconda i suoi privati affetti.
 MARZIA
920Credi ciò che a te piace. Io spero intanto;
 e alla speranza mia
 l’alma si fida e i suoi timori oblia.
 EMILIA
 Or va’, di’ che non ami; assai ti accusa
 l’esser credula tanto. È degli amanti
925questo il costume. Io non m’inganno; e pure
 la tua lusinga è vana;
 e sei da quel che speri assai lontana.