Ciro riconosciuto, libretto, Mantova, Pazzoni, 1758

 CIRO RICONOSCIUTO
 
    Dramma per musica del signor abate Pietro Metastasio, poeta cesareo, da rappresentarsi nel Regio Ducal teatro vecchio di Mantova il carnovale dell’anno 1758.
    In Mantova, per l’erede di Alberto Pazzoni, regio ducale stampatore, con licenza de’ superiori.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Il crudelissimo Astiage, ultimo re de’ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl’indovini, sopra alcun suo sogno, e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno; ond’egli per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciolo Ciro, che tale era il nome del nato infante, e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l’altra appresso di sé, affinché non nascesser da loro, insieme con altri figli, nuove cagioni a’ suoi timori. Arpago non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l’esponesse in un bosco. Trovò che la consorte di Mitridate avea, in quel giorno appunto, partorito un fanciullo, ma senza vita, onde la natural pietà, secondata dal comodo del cambio, persuase ad entrambi ch’esponesse Mitridate il proprio figliuolo già morto, ed il picciolo Ciro, sotto nome d’Alceo, in abito di pastore in luogo di quello educasse. Scorsi da questo tempo presso a tre lustri, destossi una voce che Ciro ritrovato in una foresta bambino fosse stato dalla pietà d’alcuno conservato e che fra gli Sciti vivesse. Vi fu impostore così ardito che approfittandosi di questa favola, o avendola forse a bello studio inventata, assunse il nome di Ciro. Turbato Astiage a tal novella, fece a sé venir Arpago e dimandollo di nuovo, se avesse egli veramente ucciso il picciolo Ciro, quando gli fu imposto da lui. Arpago che dagli esterni segni avea ragion di sperare pentito il re, stimò questa una opportuna occasione di tentar l’animo suo e rispose di non aver avuto coraggio d’ucciderlo ma d’averlo esposto in un bosco, preparato a scuoprir tutto il vero, quando il re si compiacesse della sua pietosa disubbidienza, e sicuro frattanto che quando se ne sdegnasse non potean cadere i suoi furori che sul finto Ciro, di cui, con questa dimezzata confessione, accreditava l’impostura. Sdegnossene Astiage ed in pena del trasgredito comando privò Arpago d’un figlio e con sì barbare circostanze che non essendo necessarie all’azione che si rappresenta trascuriamo volontieri di rammentarle. Sentì trafiggersi il cuore l’infelice Arpago nella perdita del figlio; ma pure avido di vendetta, non lasciò di libertà alle smanie paterne, se non quanta ne bisognava, perché la soverchia tranquillità non iscemasse credenza alla sua simulata rassegnazione; fece credere al re che nelle lagrime sue avesse parte maggiore il pentimento del fallo che il dolor del castigo, e rassicurollo a segno che se non gli rese interamente la confidenza primiera, almeno non si guardava da lui. Incominciarono quindi Arpago a meditar le sue vendette ed Astiage le vie d’assicurarsi il trono con l’oppressione del creduto nipote. Il primo si applicò a sedurre, ad irritare i grandi contro del re ed ad eccitare il principe Cambise fino in Persia, dove viveva in esilio, il secondo a simular pentimento della sua crudeltà usata contro di Ciro, tenerezza per lui, desiderio di rivederlo e risoluzione di riconoscerlo per suo successore. Ed all’uno ed all’altro riuscì così felicemente il disegno, che non mancava ormai che lo stabilimento del giorno e del luogo ad Arpago per opprimere il tiranno con l’acclamazione del vero Ciro, ad Astiage per aver nelle sue forze il troppo credulo impostore col mezzo d’un fraudolento invito. Era costume de’ re di Media il celebrare ogn’anno su’ confini del regno, dov’erano appunto le capanne di Mitridate, un solenne sacrificio a Diana. Il giorno ed il luogo di tal sacrificio, che saran quelli dell’azione che si rappresenta, parvero opportuni ad entrambi all’esecuzione de’ loro disegni. Ivi per vari accidenti ucciso il finto Ciro, scoperto ed acclamato il vero, si vide Astiage assai vicino a perdere il regno e la vita; ma difeso dal generoso nipote, pieno di rimorso e di tenerezza depone su la fronte di lui il diadema reale e lo conforta sul proprio esempio a non abusarne, come egli ne aveva abusato (Erodoto, Clio, libro I; Giustino, libro I; Ctesia, Historiae excerpta; Valerius Maximus, libro I, capitolo 7, eccetera).
    L’azione si rappresenta in una campagna su’confini della Media.
 
 
 PERSONAGGI
 
 ASTIAGE re de’ Medi, padre di Mandane
 (il signor Pietro de Mezzo)
 MANDANE moglie di Cambise, madre di Ciro
 (la signora Rosa Curioni)
 CIRO sotto nome d’Alceo in abito di pastore, creduto figliuolo di Mitridate
 (il signor Giuseppe Aprile, virtuoso di sua maestà il re delle Due Sicilie)
 ARPAGO confidente d’Astiage, padre di
 (il signor Giuseppe Cicognani)
 ARPALICE confidente di Mandane
 (la signora Clementina Baglioni)
 CAMBISE principe persiano, consorte di Mandane e padre di Ciro, in abito pastorale
 (il signor Antonio Cattaneo)
 MITRIDATE pastore degli armenti reali
 (la signora Angela Meneghezzi)
 
    Inventore e direttore de’ balli sarà monsieur Giorgio Binetti ed eseguiti da’ seguenti: monsieur Giorgio Binetti, madame Ramón Binetti, signor Giovanni Neri, signora Anna Nadi, signor Antonio Tassoni, signora Clarice Bini, signor Vincenzo Tagliavini, signora Rosa Minarelli.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: campagna su’ confini della Media, sparsa d’alberi e di numerose tende, per comodo d’Astiage e di sua corte; da un lato gran padiglione; campagna sparsa di capanne pastorali, una delle quali con porta aperta.
    Nell’atto secondo: vasta pianura ingombrata di ruine d’antica città, già per lungo tempo inselvatichita.
    Nell’atto terzo: montuosa; aspetto esteriore di magnifico tempio dedicato a Diana, posto su d’un piccolo colle.
 
    La musica sarà del signor Niccola Jommella, maestro di cappella napoletano. Lo scenario sarà d’invenzione del signor Giovanni Cardioli, architetto teatrale, unitamente al signor Gaetano Creola, pittori mantovani. Il vestiario sarà di ricca e bizzarra invenzione del signor Francesco Mainino di Milano.