Ciro riconosciuto, libretto, Mantova, Pazzoni, 1758

890vile non è. Marzia, di nuovo al padre
 vuo’ chieder pace; e soffrirò fintanto
 ch’io perda di placarlo ogni speranza.
 Ma se tanto s’avanza
 l’orgoglio in lui che non si pieghi, allora
895non so dirti a qual segno
 giunger potrebbe un trattenuto sdegno.
 
    Soffre talor del vento
 i primi insulti il mare;
 né a cento legni e cento,
900che van per l’onde chiare,
 intorbida il sentier.
 
    Ma poi, se il vento abbonda,
 il mar s’innalza e freme
 e colle navi affonda
905tutta la ricca speme
 dell’avido nocchier. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 MARZIA, EMILIA e FULVIO
 
 EMILIA
 Lode agli dei; la fuggitiva speme
 a Marzia in sen già ritornar si vede.
 FULVIO
 Ne fa sicura fede
910la gioia a noi che le traspare in volto.
 MARZIA
 Nol niego, Emilia. È stolto
 chi non sente piacer quando, placato
 l’altrui genio guerriero,
 può sperar la sua pace il mondo intero.
 EMILIA
915Nobil pensier, se i publici riposi
 di tutti i voti tuoi sono gli oggetti;
 ma spesso avvien che questi
 siano illustri pretesti,
 ond’altri asconda i suoi privati affetti.
 MARZIA
920Credi ciò che a te piace; io spero intanto;
 e alla speranza mia
 l’alma si fida e i suoi timori obblia.
 EMILIA
 Or va’, di’ che non ami. Assai ti accusa
 l’esser credula tanto; è degli amanti
925questo il costume. Io non m’inganno; e pure
 la tua lusinga è vana;
 e sei da quel che speri assai lontana.
 MARZIA
 
    In che ti offende