Ciro riconosciuto, libretto, Mantova, Pazzoni, 1758

 SCENA XI
 
 MANDANE e poi ARPALICE
 
 MANDANE
 Che dolcezza fallace!
850Che voci insidiose! A poco, a poco
 cominciava a sedurmi. Un inquieto
 senso partendo ei mi lasciò nell'alma
 che non è tutto sdegno. Affatto priva
 non sono alfin d'umanità. Mi mosse
855quel sembiante gentil, que' molli accenti,
 quella tenera età. Povera madre!
 se madre ha pur, quando saprà che il figlio
 lacero il sen da mille colpi... Oh folle
 ch'io son! Gli altri compiango
860e mi scordo di me. Mora l'indegno,
 se ne affligga chi vuole. Il figlio mio
 vendicato esser dee. Son madre anch'io.
 ARPALICE
 Principessa, ah perdona
 l'impazienze mie. D'Alceo che avvenne?
865È assoluto? È punito? È giusto? È reo?
 MANDANE
 Deh per pietà non mi parlar d'Alceo.
 
    Mi credi spietata,
 mi chiama crudele;
 di tanto rigore
870di tante querele
 mi veste un dolore
 da farmi morir.
 
    Ch'io merto ogni lode
 fra poco vedrai;
875sì barbara frode
 non posso soffrir. (Parte)