La clemenza di Tito, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1771

 SCENA VII
 
 TITO solo
 
 TITO
 E dove mai s'intese
 più contumace infedeltà! Poteva
 il più tenero padre un figlio reo
930trattar con più dolcezza? Anche innocente
 d'ogn'altro error, saria di vita indegno
 per questo sol. Deggio alla mia negletta
 disprezzata clemenza una vendetta. (Va con isdegno verso il tavolino e s’arresta)
 Vendetta! Ah Tito! E tu sarai capace
935d'un sì basso desio, che rende eguale
 l'offeso all'offensor! Merita invero
 gran lode una vendetta, ove non costi
 più che il volerla. Il torre altrui la vita
 è facoltà comune
940al più vil della terra; il darla è solo
 de' numi e de' regnanti. Eh viva... Invano
 parlan dunque le leggi? Io lor custode
 l'eseguisco così? Di Sesto amico
 non sa Tito scordarsi? Han pur saputo
945obbliar d'esser padri e Manlio e Bruto.
 Sieguansi i grandi esempi. (Siede) Ogn'altro affetto
 d'amicizia e pietà taccia per ora.
 Sesto è reo; Sesto mora. (Sottoscrive) Eccoci alfine
 su le vie del rigore. (S’alza) Eccoci aspersi
950di cittadino sangue; e s'incomincia
 dal sangue d'un amico. Or che diranno
 i posteri di noi? Diran che in Tito
 si stancò la clemenza
 come in Silla e in Augusto
955la crudeltà; forse diran che troppo
 rigido io fui, ch'eran difese al reo
 i natali e l'età, che un primo errore
 punir non si dovea, che un ramo infermo
 subito non recide
960saggio cultor, se a risanarlo invano
 molto pria non sudò, che Tito alfine
 era l'offeso e che le proprie offese,
 senza ingiuria del giusto,
 ben poteva obbliar... Ma dunque io faccio
965sì gran forza al mio cor; né almen sicuro
 sarò ch'altri m'approvi! Ah non si lasci
 il solito cammin. Viva l'amico (Lacera il foglio)
 benché infedele; e se accusarmi il mondo
 vuol pur di qualche errore,
970m'accusi di pietà, non di rigore. (Getta il foglio lacerato)
 Publio.