Demofoonte, libretto, Stoccarda, Cotta, 1764

 SCENA V
 
 TIMANTE e poi DIRCEA in bianca veste e coronata di fiori tra le guardie ed i ministri del tempio
 
 TIMANTE
 Gran passo è la mia fuga. Ella mi rende
 e povero e privato. Il regno e tutte
 le paterne ricchezze
680io perderò. Ma la consorte e il figlio
 vaglion di più... Ma... Chi s'appressa? È forse
 il re? Veggo i custodi. Ah no; vi sono
 ancor sacri ministri; e in bianche spoglie
 fra lor... Misero me! La sposa! Oh dio!
685Fermatevi. Dircea, che avvenne?
 DIRCEA
                                                              Alfine
 ecco l'ora fatale. Ecco l'estremo
 istante ch'io ti veggo. Ah prence, ah questo
 è pur l'amaro passo.
 TIMANTE
                                        E come! Il padre...
 DIRCEA
 Mi vuol morta a momenti.
 TIMANTE
                                                   Infin ch'io vivo... (Volendo snudar la spada)
 DIRCEA
690Signor, che fai? Sol contro tanti, invano
 difendi me, perdi te stesso.
 TIMANTE
                                                    È vero.
 Miglior via prenderò. (Volendo partire)
 DIRCEA
                                           Dove?
 TIMANTE
                                                          A raccorre
 quanti amici potrò. Va' pure; al tempio
 sarò prima di te. (Come sopra)
 DIRCEA
                                   No. Pensa... Oh dio!
 TIMANTE
695Non v'è più che pensar. La mia pietade
 già diventa furor. Tremi qualunque
 oppormisi vorrà; se fosse il padre,
 non risparmio delitti, il ferro, il fuoco.
 Vuo' che abbatta, consumi
700la reggia, il tempio, i sacerdoti e i numi. (Parte)