Demofoonte, libretto, Lisbona, Stamperia Reale, 1775

 SCENA II
 
 Orti pensili corrispondenti a diversi appartamenti della reggia di Demofoonte.
 
 DIRCEA e MATUSIO
 
 DIRCEA
 Credimi, o padre, il tuo soverchio affetto
 un mal dubbioso ancora
 rende sicuro. A domandar che solo
 il mio nome non vegga
50l'urna fatale, altra ragion non hai
 che il regio esempio.
 MATUSIO
                                         E ti par poco? Io forse
 perché suddito nacqui
 son men padre del re? D'Apollo il cenno
 d'una vergine illustre
55vuol che su l'are sue si sparga il sangue
 ogni anno in questo dì; ma non esclude
 le vergini reali. Ei che si mostra
 delle leggi divine
 sì rigido custode agli altri insegni
60con l'esempio costanza. A sé richiami
 le allontanate ad arte
 sue regie figlie. I nomi loro esponga
 anch'egli al caso. All'agitar dell'urna
 provi egli ancor d'un infelice padre
65come palpita il cor, come si trema
 quando al temuto vaso
 la mano accosta il sacerdote e quando
 in sembianza funesta
 l'estratto nome a pronunziar s'appresta.
70E arrossisca una volta
 ch'abbia a toccar sempre la parte a lui
 di spettator nelle miserie altrui.
 DIRCEA
 Ma sai pur che a' sovrani
 è suddita la legge.
 MATUSIO
75Le umane sì, non le divine.
 DIRCEA
                                                    E queste
 a lor s'aspetta interpretar.
 MATUSIO
                                                  Non quando
 parlan chiaro gli dei.
 DIRCEA
                                         Mai chiari a segno...
 MATUSIO
 Non più Dircea. Son risoluto.
 DIRCEA
                                                       Ah meglio
 pensaci, o genitor. Già il re purtroppo
80bieco ti guarda. Ah che sarà se aggiunge
 ire novelle all'odio antico.
 MATUSIO
                                                 Invano
 l'odio di lui tu mi rammenti e l'ira.
 La ragion mi difende, il ciel m'inspira.
 
    O più tremar non voglio
85fra tanti affanni e tanti;
 o ancor chi preme il soglio
 ha da tremar con me.
 
    Ambo siam padri amanti;
 ed il paterno affetto
90parla egualmente in petto
 del suddito e del re. (Parte)