Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 SCENA X
 
 IARBA senza spada e detti
 
 IARBA
 Didone a che mi chiedi?
885Sei folle se mi credi
 dall'ira tua, da tue minaccie oppresso,
 non si cangia il mio cor, sempre è l'istesso.
 ENEA
 (Che arroganza!)
 DIDONE
                                  Deh placa
 il tuo sdegno o signor. Tu col tacermi
890il tuo grado, il tuo nome
 a gran rischio esponesti il tuo decoro.
 Ed io... Ma qui t'assidi
 e con placido volto
 ascolta i sensi miei.
 IARBA
                                       Parla, t'ascolto. (Siedono Iarba e Didone)
 ENEA
895Permettimi che ormai... (In atto di partire)
 DIDONE
                                                Fermati e siedi.
 Troppo lunghe non sian le tue dimore.
 (Resister non potrà).
 ENEA
                                         (Costanza o core).
 IARBA
 Eh vada. Allor che teco
 Iarba soggiorna ha da partir costui.
 ENEA
900(Ed io lo soffro!).
 DIDONE
                                  In lui
 invece d'un rival trovi un amico.
 Ei sempre a tuo favore
 meco parlò. Per suo consiglio io t'amo.
 Se credi menzognero
905il labro mio, dillo tu stesso? (Ad Enea)
 ENEA
                                                     È vero.
 IARBA
 Dunque nel re de' Mori
 altro merto non v'è che un suo consiglio?
 DIDONE
 No Iarba, in te mi piace
 quel regio ardir che ti conosco in volto.
910Amo quel cor sì forte,
 sprezzator de' perigli e della morte.
 E se il ciel mi destina
 tua compagna e tua sposa...
 ENEA
                                                    Addio regina. (S’alza di nuovo)
 Basta che fin ad ora
915t'abbia ubbidito Enea.
 DIDONE
                                            Non basta ancora.
 Siedi pur un momento.
 (Comincia a vacillar).
 ENEA
                                          (Questo è tormento!) (Torna a sedere)
 IARBA
 Troppo tardi o Didone
 conosci il tuo dover. Ma pure io voglio
920donar gli oltraggi miei
 tutti alla tua beltà.
 ENEA
                                    (Che pena o dei!)
 IARBA
 In pegno di tua fede
 dammi dunque la destra.
 DIDONE
                                                 Io son contenta.
 A più gradito laccio amor pietoso
925stringer non mi potea.
 ENEA
 Più soffrir non si può. (Si leva agitato)
 DIDONE
                                            Qual ira Enea?
 ENEA
 Ma che vuoi? Non ti basta
 quanto finor soffrì la mia costanza?
 DIDONE
 Eh taci.
 ENEA
                  Che tacer? Tacqui abbastanza.
930Vuoi darti al mio rivale,
 brami che tel consigli,
 tutto faccio per te, che più vorresti?
 Ch'io ti vedessi ancor fra le sue braccia?
 Dimmi che mi vuoi morto e non ch'io taccia. (In atto di partire)
 DIDONE
935Odi; a torto ti sdegni. (S’alza Didone)
 Sai che per ubbidirti...
 ENEA
                                            Intendo intendo.
 Io sono il traditor, son io l'ingrato,
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio
940ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)