Didone abbandonata, libretto, Roma, de’ Rossi, 1747

 SCENA VI
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
                                        Non son contento
 se non trafiggo Enea.
 SELENE
                                         (Numi, che sento!)
 ARASPE
 Mio re qual nuovo affanno
1080t'ha così di furor l'anima accesa.
 IARBA
 Pria saprai la vendetta e poi l'offesa.
 SELENE
 (Che mai farà?)
 OSMIDA
                                 Signore (Piano a Iarba)
 le tue schiere son pronte, è tempo alfine
 che vendichi i tuoi torti.
 IARBA
                                               Araspe andiamo.
 ARASPE
1085Io sieguo i passi tuoi.
 OSMIDA
                                          Deh pensa allora
 che vendicato sei,
 che la mia fedeltà premiar tu dei.
 IARBA
 È giusto, anzi preceda
 la tua mercede alla vendetta mia.
 OSMIDA
1090Generoso monarca...
 IARBA
                                        Olà costui (Alcune delle guardie di Iarba disarmano Osmida)
 si disarmi e s'uccida.
 OSMIDA
 Come! Questo ad Osmida?
 Quale ingiusto furore...
 IARBA
 Questo è il premio dovuto a un traditore. (Parte)
 OSMIDA
1095Parla amico per me, fa' ch'io non resti
 così vilmente oppresso. (Ad Araspe)
 ARASPE
 Non fa poco chi sol pensa a sé stesso. (Parte)
 OSMIDA
 Pietà, pietà Selene, ah non lasciarmi
 in sì misero stato e vergognoso.
 SELENE
1100Qualche volta è viltà l'esser pietoso. (Partendo s’incontra in Enea)