Didone abbandonata, libretto, Madrid, Mojados, 1752

990questo foglio ne fa.
 TIMANTE
                                     Che foglio è quello?
 Porgilo a me. (Con impazienza)
 MATUSIO
                            Sentimi pria. Morendo
 chiuso mel diè la mia consorte; e volle
 giuramento da me che, tolto il caso
 che a Dircea sovrastasse alcun periglio,
995aperto non l’avrei.
 TIMANTE
                                    Quand’ella adunque
 oggi dal re fu destinata a morte,
 perché non lo facesti?
 MATUSIO
                                          Eran tant’anni
 scorsi di già ch’io l’obbliai.
 TIMANTE
                                                   Ma come
 or ti sovvien?
 MATUSIO
                            Quando a fuggir m’accinsi,
1000fra le cose più care
 il ritrovai che trassi meco al mare.
 TIMANTE
 Lascia alfin ch’io lo vegga. (Come sopra)
 MATUSIO
                                                   Aspetta.
 TIMANTE
                                                                     Oh stelle!
 MATUSIO
 Rammenti già che alla real tua madre
 fu amica sì fedel la mia consorte
1005che in vita l’adorò, seguilla in morte?
 TIMANTE
 Lo so.
 MATUSIO
              Questo ravvisi
 reale impronto?
 TIMANTE
                                 Sì.
 MATUSIO
                                         Vedi ch’è il foglio
 di propria man della regina impresso?
 TIMANTE
 Sì; non straziarmi più. (Come sopra)
 MATUSIO
                                             Leggilo adesso. (Gli porge il foglio)
 TIMANTE
1010(Mi trema il cor). (Legge) «Non di Matusio è figlia
 ma del tronco reale
 germe è Dircea. Demofoonte è il padre,
 nacque da me. Come cambiò fortuna
 altro foglio dirà. Quello si cerchi
1015nel domestico tempio a piè del nume,
 ladove altri non osa
 accostarsi che il re. Prova sicura
 eccone intanto; una regina il giura.
 Argia».
 MATUSIO
                 Tu tremi, o prence!
1020Questo è più che stupor. Perché ti copri
 di pallor sì funesto?
 TIMANTE
 (Onnipotenti dei, che colpo è questo!)
 MATUSIO
 Narrami adesso almeno
 le tue felicità.
 TIMANTE
                            Matusio, ah parti.
 MATUSIO
1025Ma che t’affligge? Una germana acquisti
 ed è questa per te cagion di duolo?
 TIMANTE
 Lasciami per pietà, lasciami solo. (Si getta a sedere)
 MATUSIO
 Quanto le menti umane
 son mai varie fra lor! Lo stesso evento
1030a chi reca diletto, a chi tormento. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 TIMANTE solo
 
 TIMANTE
 Misero me! Qual gelido torrente
 mi ruina sul cor! Qual nero aspetto
 prende la sorte mia! Tante sventure
 comprendo alfin. Perseguitava il cielo
1035un vietato imeneo. Le chiome in fronte
 mi sento sollevar. Suocero e padre
 m’è dunque il re! Figlio e nipote Olinto!
 Dircea moglie e germana! Ah qual funesta
 confusion d’opposti nomi è questa.
1040Ah non t’avessi mai
 conosciuta, Dircea. Moti del sangue
 eran quei ch’io credevo
 violenze d’amor. Che infausto giorno
 fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
1045che orribili memorie
 saran per noi! Che mostruoso oggetto
 a me stesso io divengo! Odio la luce;
 ogni aura mi spaventa; al piè tremante
 parmi che manchi il suol; strider mi sento
1050cento folgori intorno; e leggo, oh dio!
 scolpito in ogni sasso il fallo mio.
 
 SCENA V
 
 CREUSA, DEMOFOONTE, ADRASTO con OLINTO per mano e DIRCEA, l’uno dopo l’altro da parti opposte, e detto
 
 CREUSA
 Timante.
 TIMANTE
                    Ah principessa, ah perché mai
 morir non mi lasciasti?
 DEMOFOONTE
                                             Amato figlio!
 TIMANTE
 Ah no; con questo nome
1055non chiamarmi mai più.
 CREUSA
                                                Forse non sai...
 TIMANTE
 Troppo, troppo ho saputo.
 DEMOFOONTE
                                                  Un caro amplesso
 pegno del mio perdon... Come, t’involi
 dalle paterne braccia!
 TIMANTE
 Ardir non ho di rimirarti in faccia.
 CREUSA
1060Ma perché?
 DEMOFOONTE
                         Ma che avvenne?
 ADRASTO
                                                           Ecco il tuo figlio;
 consolati, signor.
 TIMANTE
                                  Dagli occhi, Adrasto,
 toglimi quel bambin.
 DIRCEA
                                          Sposo adorato.
 TIMANTE
 Parti, parti, Dircea.
 DIRCEA
                                      Da te mi scacci
 in dì così giocondo?
 TIMANTE
1065Dove, misero me, dove m’ascondo?
 DIRCEA
 Ferma.
 DEMOFOONTE
                 Senti.
 CREUSA
                               T’arresta.
 TIMANTE
                                                   Ah voi credete
 consolarmi, crudeli, e m’uccidete.
 DEMOFOONTE
 Ma da chi fuggi?
 TIMANTE
                                  Io fuggo
 dagli uomini, da’ numi,
1070da voi tutti e da me.
 DIRCEA
                                        Ma dove andrai?
 TIMANTE
 Ove non splenda il sole,
 ove non sian viventi, ove sepolta
 la memoria di me sempre rimanga.
 DEMOFOONTE
 E il padre?
 ADRASTO
                        E il figlio?
 DIRCEA
                                             E la tua sposa?
 TIMANTE
                                                                          Oh dio!
1075Non parlate così. Padre, consorte,
 figlio, german son dolci nomi agli altri;
 ma per me sono orrori.
 CREUSA
                                             E la cagione?
 TIMANTE
 Non curate saperla;
 scordatevi di me.
 DIRCEA
                                   Deh per quei primi
1080fortunati momenti in cui ti piacqui...
 TIMANTE
 Taci, Dircea.
 DIRCEA
                          Per que’ soavi nodi...
 TIMANTE
 Ma taci per pietà. Tu mi trafiggi
 l’anima e non lo sai.
 DIRCEA
                                       Giacché sì poco
 curi la sposa, almen ti muova il figlio.
1085Guardalo, è quell’istesso
 ch’altre volte ti mosse;
 guardalo; è sangue tuo.
 TIMANTE
                                             Così nol fosse.
 DIRCEA
 Ma in che peccò? Perché lo sdegni? A lui
 perché nieghi uno sguardo? Osserva, osserva
1090le pargolette palme
 come solleva a te, quanto vuol dirti
 con quel riso innocente.
 TIMANTE
                                              Ah se sapessi,
 infelice bambin, quel che saprai
 per tua vergogna un giorno,
1095lieto così non mi verresti intorno.
 
    Misero pargoletto,
 il tuo destin non sai.
 Ah non gli dite mai
 qual era il genitor.
 
1100   Come in un punto, oh dio,
 tutto cambiò d’aspetto!
 Voi foste il mio diletto,
 voi siete il mio terror. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 DEMOFOONTE, CREUSA, DIRCEA, ADRASTO
 
 DEMOFOONTE
 Sieguilo, Adrasto. Ah chi di voi mi spiega
1105se il mio Timante è disperato o stolto?
 Ma voi smarrite in volto,
 mi guardate e tacete? Eterni dei
 datemi voi consiglio;
 fate almen ch’io conosca il mio periglio.
 
1110   Odo il suono de’ queruli accenti;
 veggo il fumo che intorbida il giorno;
 strider sento le fiamme d’intorno;
 né comprendo l’incendio dov’è.
 
    La mia tema fa il dubbio maggiore;
1115nel mio dubbio s’accresce il timore,
 tal ch’io perdo, per troppo spavento,
 qualche scampo che v’era per me. (Parte)
 
 SCENA VII
 
 DIRCEA e CREUSA
 
 CREUSA
 E tu, Dircea, che fai? Di te si tratta;
 si tratta del tuo sposo. Appresso a lui
1120corri, cerca saper... Ma tu non m’odi?
 Tu le attonite luci
 non sollevi dal suol? Dal tuo letargo
 svegliati alfin. Sfoga il duol che nascondi;
 piangi, lagnati almen: parla, rispondi.
 DIRCEA
 
1125   Che mai risponderti,
 che dir potrei?
 Vorrei difendermi,
 fuggir vorrei;
 né so qual fulmine
1130mi fa tremar.
 
    Divenni stupida
 nel colpo atroce;
 non ho più lagrime,
 non ho più voce,
1135non posso piangere,
 non so parlar. (Parte)
 
 SCENA VIII
 
 CREUSA sola
 
 CREUSA
 Qual terra è questa! Io perché venni a parte
 delle miserie altrui! Quante in un giorno,
 quante il caso ne aduna. Ah troppo, o sorte,
1140è violento il tuo furor. Conviene
 che passi o scemi. In così rea fortuna
 parte è di speme il non averne alcuna.
 
    Non dura una sventura
 quando a tal segno avanza.
1145Principio è di speranza
 l’eccesso del timor.
 
    Tutto si muta in breve;
 e il nostro stato è tale
 che se mutar si deve
1150sempre sarà miglior. (Parte)
 
 SCENA IX
 
 Luogo magnifico nella reggia festivamente adornato per le nozze di Creusa.
 
 TIMANTE, CHERINTO, poi ADRASTO
 
 TIMANTE
 Dove, crudel, dove mi guidi? Ah queste
 liete pompe festive
 son pene a un disperato.
 CHERINTO
 Che debolezza è questa...
 ADRASTO
                                                Il re per tutto
1155ti ricerca, o Timante. Or con Matusio
 dal domestico tempio uscir lo vidi.
 Ambo son lieti in volto
 né chiedon che di te.
 TIMANTE
                                         Fuggasi. Io temo
 troppo l’incontro del paterno ciglio.
 
 SCENA X
 
 MATUSIO, poi DIRCEA con OLINTO e detti
 
 MATUSIO
1160Figlio mio, caro figlio. (Abbracciandolo)
 TIMANTE
                                            A me tal nome!
 Come? Perché?
 MATUSIO
                                Perché mio figlio sei,
 perché son padre tuo.
 TIMANTE
                                          Tu sogni... Oh stelle!
 Torna Dircea.
 DIRCEA
                            No; non fuggirmi, o sposo;
 tua germana io non son.
 TIMANTE
                                               Voi m’ingannate
1165per rimetter in calma il mio pensiero.
 
 SCENA XI
 
 DEMOFOONTE con seguito e detti
 
 DEMOFOONTE
 Non t’ingannan, Timante; è vero, è vero.
 TIMANTE
 Se mi tradiste adesso
 sarebbe crudeltà.
 DEMOFOONTE
                                   Ti rassicura.
 No, mio figlio non sei. Tu con Dircea
1170fosti cambiato in fasce. Ella è mia prole,
 tu di Matusio. Alla di lui consorte
 la mia ti chiese in dono. Utile al regno
 il cambio allor credé. Ma quando poi
 nacque Cherinto, al proprio figlio il trono
1175d’aver tolto s’avvide e a me l’arcano
 non ardì palesar, che troppo amante
 già di te mi conobbe. All’ore estreme
 ridotta alfin, tutto in due fogli il caso
 scritto lasciò. L’un diè all’amica; e quello
1180Matusio ti mostrò; l’altro nascose;
 Ed è questo che vedi. Or leggi in esso
 di quanto ti narrai la serie accolta.
 TIMANTE
 Non deludermi, o sorte, un’altra volta. (Prende il foglio e legge tra sé)
 
 SCENA ULTIMA
 
 CREUSA e detti
 
 CREUSA
 Signor veraci sono
1185le felici novelle onde la reggia
 tutta si riempì?
 DEMOFOONTE
                                Sì, principessa.
 Ecco lo sposo tuo. L’erede, il figlio
 io ti promisi; ed in Cherinto io t’offro
 ed il figlio e l’erede.
 CHERINTO
                                       Il cambio forse
1190spiace a Creusa.
 CREUSA
                                 A quel che il ciel destina
 invan farei riparo.
 CHERINTO
 Ancora non vuoi dir ch’io ti son caro?
 CREUSA
 L’opra stessa il dirà.
 TIMANTE
                                        Dunque son io
 quell’innocente usurpator di cui
1195l’oracolo parlò!
 DEMOFOONTE
                              Sì. Vedi come
 ogni nube sparì. Libero è il regno
 dall’annuo sagrificio; al vero erede
 la corona ritorna; io le promesse
 mantengo al re di Frigia,
1200senza usar crudeltà; Cherinto acquista
 la sua Creusa, ella uno scettro; abbracci
 sicuro tu la tua Dircea; non resta
 una cagion di duolo;
 e scioglie tanti nodi un foglio solo.
 TIMANTE
1205Oh caro foglio! Oh me felice! Oh numi
 DIRCEA
 Che fortunato istante!
 CREUSA
 Che teneri trasporti!
 TIMANTE
                                         A’ piedi tuoi (S’inginocchia)
 eccomi un’altra volta,
 mio giustissimo re. Scusa gli eccessi
1210d’un disperato amor. Sarò, lo giuro,
 sarò miglior vassallo
 che figlio non ti fui.
 DEMOFOONTE
                                       Sorgi, tu sei
 mio figlio ancor. Chiamami padre. Io voglio
 esserlo fin che vivo. Era finora
1215obbligo il nostro amor ma quindi innanzi
 elezion sarà. Nodo più forte
 fabbricato da noi, non dalla sorte.
 CORO
 
    Par maggiore ogni diletto,
 se in un’anima si spande,
1220quand’oppressa è dal timor.
 
    Qual piacer sarà perfetto,
 se convien per esser grande
 che cominci dal dolor!
 
 Fine dell’atto terzo
 
 
 
 
 ATALANTA ED IPPOMENE
 ballo
 
    Atalanta figlia di Seneo, re dell’isola di Sciro, oltre l’essere ornata di tutti i pregi della bellezza, fu dotata ancora d’una somma destrezza in tirar l’arco e d’una leggerezza infinita nel corso. Molti giovani principi contemporanei la bramarono e la chiesero in isposa. Atalanta determinossi alfine ad accordar la sua destra al solo che avria saputo superarla nel corso. Ippomene riporta questa vittoria coll’aiuto però de’ pomi d’oro che Venere gli consigliò di gettare per la carriera che furono occasione di qualche ritardo alla giovane Atalanta. Atalanta contrasta con diversi principi che aspirano alle di lei nozze. Ella ne disfida uno colla mazza; l’altro alla lotta e l’ultimo al corso. Ippomene ne riporta la vittoria e la corona. Il popolo parte nobile e parte villereccio concorre a formarne la festa. Ognuno secondo il rango suo va a coronare il vittorioso, chi con rami d’alloro e chi con ghirlande di fiori. L’azione del ballo viene interrotta da differenti passi a questo soggetto sempre però convenevoli. Termina il ballo con un gruppo piramidale composto di sessanta fra ballerini e ballerine. Ippomene e Atalanta che stanno al centro di questo gruppo sono coronati da quanti li stanno loro d’intorno.
 
 
 DEMOFOONTE
 
    Dramma per musica da rappresentarsi nel real teatro dell’Ajuda nel felicissimo giorno natalizio del fedelissimo monarca don Giuseppe I, re di Portogallo e Algarve, etcetera, etcetera, nel dì 6 giugno 1775.
    In Lisbona, nella Stamperia Reale.
 
 
 ARGOMENTO
 
    Regnando Demofoonte nella Chersoneso di Tracia, consultò l’oracolo d’Apollo, per intendere quando dovesse aver fine il crudel rito già dall’oracolo istesso prescritto di sacrificare ogni anno una vergine innanzi al di lui simulacro, e n’ebbe in risposta:
 
 Con voi del ciel si placherà lo sdegno
 quando noto a sé stesso
 fia l’innocente usurpator d’un regno.
 
    Non poté il re comprenderne l’oscuro senso ed aspettando che il tempo lo rendesse più chiaro, si dispose a compire intanto l’annuo sacrificio, facendo estrarre a sorte dall’urna il nome della sventurata vergine che doveva esser la vittima. Matusio, uno de’ grandi del regno, pretese che Dircea, di cui credevasi padre, non corresse la sorte delle altre, producendo per ragione l’esempio del re medesimo che per non esporre le proprie figlie le tenea lontane di Tracia. Irritato Demofoonte dalla temerità di Matusio, ordina barbaramente che senza attendere il voto della fortuna sia tratta al sagrificio l’innocente Dircea.
    Era questa già moglie di Timante, creduto figlio ed erede di Demofoonte; ma occultavano con gran cura i consorti il loro pericoloso imeneo, per timore d’una antica legge di quel regno che condannava a morire qualunque suddita divenisse sposa del real successore. Demofoonte, a cui erano affatto ignote le segrete nozze di Timante con Dircea, avea destinata a lui per isposa la principessa Creusa, impegnando solennemente la propria fede col re di Frigia, padre di lei. Ed in esecuzione di sue promesse, inviò il giovane Cherinto, altro suo figliuolo, a prendere e condurre in Tracia la sposa, richiamando intanto dal campo Timante che di nulla informato volò sollecitamente alla reggia. Giuntovi e compreso il pericoloso stato di sé e della sua Dircea, volle scusarsi e difenderla; ma le scuse appunto, le preghiere, le smanie e le violenze, alle quali trascorse, scopersero al sagace re il loro nascosto imeneo.
    Timante come colpevole d’aver disubbidito il comando paterno, nel ricusar le nozze di Creusa, e d’essersi opposto con l’armi a’ decreti reali, Dircea, come rea d’aver contravvenuto alla legge del regno nello sposarsi a Timante, son condannati a morire. Sul punto d’eseguirsi l’inumana sentenza, risentì il feroce Demofoonte i moti della paterna pietà, che secondata dalle preghiere di molti, gli svelsero dalle labbra il perdono. Fu avvertito Timante di così felice cambiamento; ma in mezzo a’ trasporti della sua improvvisa allegrezza, è sorpreso da chi gli scuopre, con indubitate pruove, che Dircea è figlia di Demofoonte. Ed ecco che l’infelice, sollevato appena dall’oppressione delle passate avversità, precipita più miseramente che mai in un abisso di confusione e d’orrore, considerandosi marito della propria germana. Pareva ormai inevitabile la sua disperazione, quando, per inaspettata via meglio informato della vera sua condizione, ritrova non esser egli il successore della corona né il figlio di Demofoonte, ma bensì di Matusio. Tutto cambia d’aspetto. Libero Timante dal concepito orrore abbraccia la sua consorte; trovando Demofoonte in Cherinto il vero suo erede, adempie le sue promesse destinandolo sposo alla principessa Creusa; e scoperto in Timante quell’innocente usurpatore, di cui l’oracolo oscuramente parlava, resta disciolto anche il regno dall’obbligo funesto dell’annuo crudel sagrificio (Hyginus, ex Philarcho, liber II).
    Il luogo della scena è la reggia di Demofoonte nella Chersoneso di Tracia.
 
 
 MUTAZIONI DI SCENE
 
    Nell’atto primo: cortile del palazzo reale. Nel fondo del quale da una parte aspetto esteriore del gran tempio d’Apollo con magnifica scala per cui vi si ascende e dall’altra vista di alcune superbe fabbriche della città; orti pensili corrispondenti a diversi appartamenti della reggia; porto di mare festivamente adornato per l’arrivo della principessa di Frigia.
    Nell’atto secondo: gabinetti; portici; atrio del tempio d’Apollo. Magnifica ma breve scala per cui si ascende al tempio medesimo, la parte interna del quale è tutta scoperta agli spettatori, se non quanto ne interrompono la vista le colonne che sostengono la gran tribuna. Veggonsi l’are cadute, il fuoco estinto, i sacri vasi roversciati, i fiori, le bende, le scuri e gli altri stromenti del sagrificio sparsi per le scale e sul piano.
    Nell’atto terzo: cortile interno d’un carcere; luogo magnifico nella reggia festivamente adornato.
 
    Il dramma è del celebre abate Metastasio poeta cesareo. La musica è composizione del fu Jommelli celebre maestro di cappella, già pensionario all’attual servizio di sua maestà fedelissima. Le scene sono d’invenzione del signor Giacomo Azzolini, architetto teatrale all’attual servizio di sua maestà fedelissima. Le macchine e decorazioni sono del signor Petronio Mazzoni, macchinista all’attual servizio di sua maestà fedelissima. Li abiti de’ virtuosi cantanti e comparse sono d’invenzione e disegno degl’eredi Mainino di Milano, quelli de’ danzerini del signor Paolo Solenghi, all’attual servizio di sua maestà fedelissima.
 
 
 BALLI
 
    Li balli sono del signor Andrea Alberti, detto il Tedeschino, ed eseguiti dalli seguenti: signor Pietro Colonna, signor Niccola Midossi, signor Luigi Bellucci, signor Francesco Curioni, signor Francesco Pichi, signor Pietro Pedrelli, signor Francesco Zucchelli, signor Paolo Orlandi, signor Luigi Bardotti, signor Antonio Villa, signor Francesco Fontanella, signor Luigi Gori, signor Ridolfo Buti, tutti all’attual servizio di sua maestà fedelissima.
 
 
 PERSONAGGI
 
 DEMOFOONTE re di Tracia
 (il signor Luigi Torriani)
 DIRCEA segreta moglie di Timante
 (il signor Giambattista Vasques)
 TIMANTE creduto principe ereditario, figlio di Demofoonte
 (il signor Carlo Reyna)
 CREUSA principessa di Frigia destinata sposa di Timante
 (il signor Giuseppe Orti)
 CHERINTO figlio di Demofoonte, amante di Creusa
 (il signor Giovanni Ripa)
 MATUSIO creduto padre di Dircea
 (il signor Loreto Franchi)
 ADRASTO capitano delle guardie reali
 (il signor Giuseppe Romanini)
 OLINTO fanciullo che non parla, figlio di Timante e Dircea
 Tutti virtuosi della Real Cappella di sua maestà fedelissima.
 
 Comparse: grandi del regno, sacerdoti, donzelle frigie del seguito di Creusa, cavalieri del seguito di Creusa, paggi del seguito di Creusa, guardie reali, soldati traci, soldati frigi, marinari, popolo.
 
 
 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Cortile del palazzo reale. Nel fondo del quale, da una parte aspetto esteriore del gran tempio di Apollo, con magnifica scala per cui vi si ascende, e dall’altra di alcune superbe fabbriche della città.
 
 DEMOFOONTE, accompagnato da ADRASTO, preceduto dalle guardie reali e seguito da’ grandi del regno, discende dal tempio
 
 DEMOFOONTE
 Adrasto! Ah dunque esser può il ciel cotanto
 avido ancora d’innocente sangue!
 Sì, m’ero lusingato
 che dovesse esser questo
5il giorno fortunato
 che prescrivesse il fine al crudel rito
 dall’oracol richiesto. Io volo al tempio,
 formo preghiere e voti a’ pié del nume,
 lo consulto di nuovo
10su i casi nostri orribili e funesti
 ma qual risposta, oh dio, tu l’intendesti.
 ADRASTO
 Né mi so ancor riscuoter dall’orrore.
 Ella è oscura e crudel: ma che vuol farsi?
 Convien piegar la fronte, ove si tratta
15di un decreto divino
 e dal tempo sperar miglior destino.
 DEMOFOONTE
 Miserabil conforto! E sempre intanto
 son costretto a tremar.
 ADRASTO
                                            Per chi, signor,
 poiché dal rito orrendo
20lontante dalla Tracia, il cielo assolve
 le figlie del monarca?
 DEMOFOONTE
 Ah, che il monarca, Adrasto,
 d’gni fedel vassallo che l’adora
 perché appunto è monarca, e padre ancora.
 ADRASTO
25Ma nella lor sventura i tuoi vassalli
 lamentarsi di te però non odi.
 Piange ciascun: ma le sue figlie all’urna
 non ricusa d’offrir. Matusio solo...
 DEMOFOONTE
 Compatirei Matusio
30come padre: ma troppo
 con pertinace orgoglio
 uguagliandosi a me troppo pretende
 e la reale maestade offende.
 So quanto può l’amor paterno e questo
35forse ingiusto mi rese allontanando
 le figlie mie... Deh quanto,
 oh figlie mi costate!... Ahi tutti veggo,
 gli obblighi di chi regna,
 ma la necessità gran cose insegna.
 
40   Per lei fra l’armi dorme il guerriero,
 Per lei fra l’armi canta il nocchiero,
 per le la morte terror non ha.
 
    Fin le più timide belve fugaci
 valor dimostrano, si fanno audaci
45quando è il combattere necessità. (Parte, seguito da Adrasto e da tutti).
 
 SCENA II
 
 Orti pensili corrispondenti a diversi appartamenti della reggia di Demofoonte.
 
 DIRCEA e MATUSIO
 
 DIRCEA
 Credimi, o padre, il tuo soverchio affetto
 un mal dubbioso ancora
 rende sicuro. A domandar che solo
 il mio nome non vegga
50l’urna fatale, altra ragion non hai
 che il regio esempio.
 MATUSIO
                                         E ti par poco? Io forse
 perché suddito nacqui
 son men padre del re? D’Apollo il cenno
 d’una vergine illustre
55vuol che su l’are sue si sparga il sangue
 ogni anno in questo dì; ma non esclude
 le vergini reali. Ei che si mostra
 delle leggi divine
 sì rigido custode agli altri insegni
60con l’esempio costanza. A sé richiami
 le allontanate ad arte
 sue regie figlie. I nomi loro esponga
 anch’egli al caso. All’agitar dell’urna
 provi egli ancor d’un infelice padre
65come palpita il cor, come si trema
 quando al temuto vaso
 la mano accosta il sacerdote e quando
 in sembianza funesta
 l’estratto nome a pronunziar s’appresta.
70E arrossisca una volta
 ch’abbia a toccar sempre la parte a lui
 di spettator nelle miserie altrui.
 DIRCEA
 Ma sai pur che a’ sovrani
 è suddita la legge.
 MATUSIO
75Le umane sì, non le divine.
 DIRCEA
                                                    E queste
 a lor s’aspetta interpretar.
 MATUSIO
                                                  Non quando
 parlan chiaro gli dei.
 DIRCEA
                                         Mai chiari a segno...
 MATUSIO
 Non più Dircea. Son risoluto.
 DIRCEA
                                                       Ah meglio
 pensaci, o genitor. Già il re purtroppo
80bieco ti guarda. Ah che sarà se aggiunge
 ire novelle all’odio antico.
 MATUSIO
                                                 Invano
 l’odio di lui tu mi rammenti e l’ira.
 La ragion mi difende, il ciel m’inspira.
 
    O più tremar non voglio
85fra tanti affanni e tanti;
 o ancor chi preme il soglio
 ha da tremar con me.
 
    Ambo siam padri amanti;
 ed il paterno affetto
90parla egualmente in petto
 del suddito e del re. (Parte)
 
 SCENA III
 
 DIRCEA e poi TIMANTE
 
 DIRCEA
 Se ’l mio principe almeno
 quindi lungi non fosse... Oh ciel! Che miro?
 Ei viene a me!
 TIMANTE
                              Dolce consorte...
 DIRCEA
                                                              Ah taci,
95potrebbe udirti alcun. Rammenta, o caro,
 che qui non resta in vita
 suddita sposa a regio figlio unita.
 TIMANTE
 Non temer mia speranza. Alcun non ode;
 io ti difendo.
 DIRCEA
                           E quale amico nume
100ti rende a me?
 TIMANTE
                              Del genitore un cenno
 mi richiama dal campo
 né la cagion ne so. Ma tu, mia vita,
 m’ami ancor? Ti ritrovo
 qual ti lasciai? Pensasti a me?
 DIRCEA
                                                         Ma come
105chieder lo puoi? Puoi dubitarne?
 TIMANTE
                                                              Oh dio!
 Non dubito ben mio; lo so che m’ami.
 Ma da quel dolce labbro
 troppo, soffrilo in pace,
 sentirlo replicar, troppo mi piace.
110Ed il picciolo Olinto, il caro pegno
 de’ nostri casti amori
 che fa? Cresce in bellezza?
 Ah dov’è? Sposa amata,
 guidami a lui; fa’ ch’io lo vegga.
 DIRCEA
                                                            Affrena,
115signor, per ora il violento affetto.
 In custodita parte
 egli vive celato; e andarne a lui
 non è sempre sicuro. Oh quanta pena
 costa il nostro segreto!
 TIMANTE
                                           Ormai son stanco
120di finger più, di tremar sempre. Io voglio
 cercar oggi una via
 d’uscir di tante angustie.
 DIRCEA
                                                Oggi sovrasta
 altra angustia maggiore. Il giorno è questo
 dell’annuo sacrificio. Il nome mio
125sarà esposto alla sorte. Il re lo vuole,
 s’oppone il padre e della lor contesa
 temo più che del resto.
 TIMANTE
                                            È noto forse
 al padre tuo che sei mia sposa?
 DIRCEA
                                                           Il cielo
 nol voglia mai. Più non vivrei.
 TIMANTE
                                                         M’ascolta.
130Proporrò che di nuovo
 si consulti l’oracolo. Acquistiamo
 tempo a pensar.
 DIRCEA
                                 Questo è già fatto.
 TIMANTE
                                                                    E come
 rispose?
 DIRCEA
                   Oscuro e breve.
 «Con voi del ciel si placherà lo sdegno,
135quando noto a sé stesso
 fia l’innocente usurpator d’un regno».
 TIMANTE
 Che tenebre son queste!
 DIRCEA
                                               E se dall’urna
 esce il mio nome, io che farò? La morte
 mio spavento non è; Dircea saprebbe
140per la patria morir. Ma Febo chiede
 d’una vergine il sangue. Io moglie e madre
 come accostarmi all’ara? O parli o taccia
 colpevole mi rendo.
 Il ciel se taccio, il re, se parlo, offendo.
 TIMANTE
145Sposa, ne’ gran perigli
 gran coraggio bisogna. Al re conviene
 scoprir l’arcano.
 DIRCEA
                                E la funesta legge
 che a morir mi condanna?
 TIMANTE
                                                   Un re la scrisse,
 può rivocarla un re. Benché severo
150Demofoonte è padre ed io son figlio.
 Qual forza han questi nomi
 io lo so, tu lo sai. Non torno alfine
 senza merito a lui. La Scizia oppressa,
 il soggiogato Fasi
155son mie conquiste; e qualche cosa il padre
 può fare anche per me. Se ciò non basta
 saprò dinanzi a lui
 piangere, supplicar, piegarmi al suolo,
 abbracciargli le piante,
160domandargli pietà.
 DIRCEA
                                      Dubito... Oh dio.
 TIMANTE
 Non dubitar Dircea. Lascia la cura
 a me del tuo destin. Va’. Per tua pace