Didone abbandonata, libretto, Stoccarda, Cotta, 1763

 io sono il traditor, son io l’ingrato;
 tu sei quella fedele
 che per me perderebbe e vita e soglio
1105ma tanta fedeltà veder non voglio. (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 DIDONE e IARBA
 
 DIDONE
 Senti.
 IARBA
               Lascia che parta. (S’alza)
 DIDONE
                                                I sdegni suoi
 a me giova placar.
 IARBA
                                    Di che paventi?
 Dammi la destra e mia
 di vendicarti poi la cura sia.
 DIDONE
1110D’imenei non è tempo.
 IARBA
 Perché?
 DIDONE
                  Più non cercar.
 IARBA
                                                Saperlo io bramo.
 DIDONE
 Già che vuoi, tel dirò. Perché non t’amo,
 perché mai non piacesti agli occhi miei,
 perché odioso mi sei, perché mi piace
1115più che Iarba fedele Enea fallace.
 IARBA
 Dunque, perfida, io sono
 un oggetto di riso agli occhi tuoi?
 Ma sai chi Iarba sia?
 Sai con chi ti cimenti?
 DIDONE
1120So che un barbaro sei né mi spaventi.
 IARBA
 
    Chiamami pur così.
 Forse pentita un dì
 pietà mi chiederai
 ma non l’avrai da me.
 
1125   Quel barbaro che sprezzi
 non placheranno i vezzi;
 né soffrirà l’inganno
 quel barbaro da te. (Parte)
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE
 
 DIDONE
 E pure in mezzo all’ire
1130trova pace il mio cor. Iarba non temo,
 mi piace Enea sdegnato ed amo in lui
 com’effetti d’amor gli sdegni sui.
 Chi sa! Pietosi numi
 rammentatevi almeno
1135che foste amanti un dì come son io
 ed abbia il vostro cor pietà del mio.
 
    Va lusingando amore
 il credulo mio core,
 gli dice: «Sei felice»
1140ma non sarà così.