Didone abbandonata, libretto, Stoccarda, Cotta, 1763

1175viltà, non sofferenza il tuo ritegno.
 Per un momento il legno
 può rimaner sul lido,
 vieni, s’hai cor, meco a pugnar ti sfido.
 ENEA
 Vengo. Restate amici, (Alle sue genti)
1180che ad abbassar quel temerario orgoglio
 altri che il mio valor meco non voglio.
 Eccomi a te; che pensi?
 IARBA
 Penso che all’ira mia
 la tua morte sarà poca vendetta.
 ENEA
1185Per ora a contrastarmi
 non fai poco se pensi; all’armi.
 IARBA
                                                          All’armi. (Mentre si battono e Iarba va cedendo, i suoi mori vengono in aiuto di lui ed assalgono unitamente Enea)
 ENEA
 Venga tutto il tuo regno.
 IARBA
 Difenditi se puoi.
 ENEA
                                   Non temo indegno. (I compagni d’Enea in aiuto di lui scendono dalle navi ed attaccano i mori. Enea e Iarba combattendo entrano. Siegue zuffa fra troiani e mori. I mori fuggono e gli altri li sieguono. Escono di nuovo combattendo Enea e Iarba)
 Già cadesti e sei vinto. O tu mi cedi
1190o trafiggo quel core.
 IARBA
                                       Invan lo chiedi.
 ENEA
 Se al vincitor sdegnato
 non domandi pietà...
 IARBA
                                         Siegui il tuo fato.
 ENEA
 Sì mori. Ma che fo? Vivi, non voglio
 nel tuo sangue infedele (Lascia Iarba, quale sorge)
1195quest’acciaro macchiar.
 IARBA
                                              Sorte crudele!
 ENEA
 
    Vivi superbo e regna.
 Regna per gloria mia,
 vivi per tuo rossor.
 
    E la tua pena sia
1200il rammentar che in dono
 ti diè la vita e il trono
 pietoso il vincitor. (Parte)
 
 SCENA III
 
 IARBA
 
 IARBA
 Ed io son vinto ed io soffro una vita
 che d’un vile stranier due volte è dono?
1205No. Vendetta vendetta, e se non posso
 nel sangue d’un rivale
 tutto estinguer lo sdegno,
 opprimerà la mia caduta un regno.
 
    Su la pendice alpina
1210dura la quercia antica
 e la stagion nemica
 per lei fatal non è.
 
    Ma quando poi ruina
 di mille etadi a fronte,
1215gran parte fa del monte
 precipitar con sé. (Parte)
 
 SCENA IV
 
 Arborata tra la città e il porto.
 
 ARASPE e OSMIDA
 
 OSMIDA
 Già di Iarba in difesa
 lo stuol de’ mori a queste mura è giunto.
 ARASPE
 M’è noto.
 OSMIDA
                     Ad ogni impresa
1220al vostro avrete il mio valor congiunto.
 ARASPE
 Troppa follia sarebbe
 fidarsi a te.
 OSMIDA
                        Per qual cagione?
 ARASPE
                                                          Un core
 non può serbar mai fede
 se una volta a tradir perdé l’orrore.
 OSMIDA
1225A ragione infedele
 con Didone son io; così punisco
 l’ingiustizia di lei che mai non diede
 un premio alla mia fede.
 ARASPE
 È arbitrio di chi regna,