Didone abbandonata, libretto, Stoccarda, Cotta, 1763

                                            Infausto giorno!
 
 SCENA XIV
 
 OSMIDA e detti
 
 DIDONE
 Osmida.
 OSMIDA
                   Arde d’intorno...
 DIDONE
 Lo so, d’Enea ti chiedo.
 Che ottenesti da Enea?
 OSMIDA
                                             Partì l’ingrato.
1415Già lontano è dal porto; io giunsi appena
 a ravvisar le fuggitive antenne.
 DIDONE
 Ah stolta! Io stessa, io sono
 complice di sua fuga. Al primo istante
 arrestar lo dovea. Ritorna Osmida
1420corri, vola sul lido, aduna insieme
 armi, navi, guerrieri.
 Raggiungi l’infedele,
 lacera i lini suoi, sommergi i legni,
 portami fra catene
1425quel traditore avvinto;
 e se vivo non puoi, portalo estinto.
 OSMIDA
 Tu pensi a vendicarti e cresce intanto
 la sollecita fiamma.
 DIDONE
                                      È ver, corriamo.
 Io voglio... Ah no... Restate...
1430Ma la vostra dimora...
 Io mi confondo... E non partisti ancora?
 OSMIDA
 Eseguisco i tuoi cenni. (Parte)
 
 SCENA XV
 
 DIDONE, SELENE e ARASPE
 
 ARASPE
                                             Al tuo periglio
 pensa o Didone.
 SELENE
                                 E pensa
 a ripararne il danno.
 DIDONE
1435Non fo poco s’io vivo in tanto affanno.
 Va’ tu cara Selene;
 provedi, ordina, assisti in vece mia.
 Non lasciarmi, se m’ami, in abbandono.
 SELENE
 Ah che di te più sconsolata io sono. (Parte)
 
 SCENA XVI
 
 DIDONE ed ARASPE
 
 ARASPE
1440E tu qui resti ancor? Né ti spaventa
 l’incendio che s’avanza?
 DIDONE
 Ho perso ogni speranza,
 non conosco timor. Ne’ petti umani
 il timore e la speme
1445nascono in compagnia, muoiono insieme.
 ARASPE
 Il tuo scampo desio. Vederti esposta
 a tal rischio mi spiace.
 DIDONE
 Araspe per pietà lasciami in pace.
 ARASPE
 
    Già si desta la tempesta,
1450hai nemici i venti e l’onde,
 io ti chiamo su le sponde
 e tu resti in mezzo al mar.
 
    Ma se vinta alfin tu sei
 dal furor delle procelle,
1455non lagnarti delle stelle,
 degli dei non ti lagnar. (Parte)
 
 SCENA XVII
 
 DIDONE, poi OSMIDA
 
 DIDONE
 I miei casi infelici
 favolose memorie un dì saranno
 e forse diverranno
1460soggetti miserabili e dolenti
 alle tragiche scene i miei tormenti.
 OSMIDA
 È perduta ogni speme.
 DIDONE
 Così presto ritorni?
 OSMIDA
                                       Invano o dio
 tentai passar dal tuo soggiorno al lido.
1465Tutta del moro infido
 il minaccioso stuol Cartago inonda.
 Fra le strida e i tumulti
 agl’insulti degli empi
 son le vergini esposte, aperti i tempi.
1470Né più desta pietade
 o l’immatura o la cadente etade.
 DIDONE
 Dunque alla mia ruina
 più riparo non v’è? (Si comincia a vedere il fuoco nella reggia)
 
 SCENA XVIII
 
 SELENE e detti
 
 SELENE
                                       Fuggi o regina,
 son vinti i tuoi custodi,
1475non ci resta difesa.
 Dalla cittade accesa
 passan le fiamme alla tua reggia in seno
 e di fumo e faville è il ciel ripieno.
 DIDONE
 Andiam, si cerchi altrove
1480per noi qualche soccorso.
 OSMIDA
                                                E come?
 SELENE
                                                                  E dove?
 DIDONE
 Venite anime imbelli,
 se vi manca valore
 imparate da me come si muore.
 
 SCENA XIX
 
 IARBA con guardie e detti
 
 IARBA
 Fermati.
 DIDONE
                    (O dei!)
 IARBA
                                      Dove così smarrita?
1485Forse al fedel troiano
 corri a stringer la mano?
 Va’ pure, affretta il piede,
 che al talamo reale ardon le tede.
 DIDONE
 Lo so, questo è il momento
1490delle vendette tue; sfoga il tuo sdegno,
 or ch’ogni altro sostegno il ciel mi fura.
 IARBA
 Già ti difende Enea, tu sei sicura.
 DIDONE
 Alfin sarai contento.
 Mi volesti infelice, eccomi sola,
1495tradita, abbandonata,
 senz’Enea, senz’amici e senza regno.
 Timida mi volesti. Ecco Didone,
 già sì fastosa e fiera, a Iarba accanto
 alfin discesa alla viltà del pianto.
1500Vuoi di più? Via crudel passami il core,
 è rimedio la morte al mio dolore.
 IARBA
 (Cedono i sdegni miei).
 SELENE
 (Giusti numi pietà).
 OSMIDA
                                        (Soccorso o dei).
 IARBA
 E pur Didone, e pure
1505sì barbaro non son qual tu mi credi.
 Del tuo pianto ho pietà, meco ne vieni.
 L’offese io ti perdono
 e mia sposa ti guido al letto e al trono.
 DIDONE
 Io sposa d’un tiranno,
1510d’un empio, d’un crudel, d’un traditore
 che non sa che sia fede,
 non conosce dover, non cura onore!
 S’io fossi così vile
 saria giusto il mio pianto;
1515no, la disgrazia mia non giunse a tanto.
 IARBA