Ezio, libretto, Parigi, Quillau, 1755

85Parte così, così mi lascia Enea?
 Che vuol dir quel silenzio? In che son rea?
 SELENE
 Ei pensa abbandonarti.
 Contrastano in quel core,
 né so chi vincerà, gloria ed amore.
 DIDONE
90È gloria abbandonarmi?
 OSMIDA
 (Si deluda). Regina,
 il cor d’Enea non penetrò Selene.
 Dalla reggia de’ Mori
 qui giunger dee l’ambasciatore Arbace.
 DIDONE
95Che perciò?
 OSMIDA
                         Le tue nozze
 chiederà il re superbo e teme Enea
 che tu ceda alla forza e a lui ti doni.
 Perciò così partendo
 fugge il dolor di rimirarti...
 DIDONE
                                                    Intendo.
100Vanne, amata germana,
 dal cor d’Enea sgombra i sospetti e digli
 che a lui non mi torrà se non la morte.
 SELENE
 (A questo ancor tu mi condanni, o sorte!)
 
    Dirò che fida sei,
105su la mia fé riposa;
 sarò per te pietosa,
 (per me crudel sarò).
 
    Sapranno i labbri miei
 scoprirgli il tuo desio.
110(Ma la mia pena oh dio!
 come nasconderò!) (Parte)
 
 SCENA IV
 
 DIDONE e OSMIDA
 
 DIDONE
 Venga Arbace qual vuole,
 supplice o minaccioso, ei viene invano.
 In faccia a lui, pria che tramonti il sole,
115ad Enea mi vedrà porger la mano.
 Solo quel cor mi piace;
 sappialo Iarba.
 OSMIDA
                               Ecco s’appressa Arbace.
 
 SCENA V
 
 IARBA sotto nome d’Arbace, ARASPE e detti
 
 Mentre al suono di barbari stromenti si vedono venire da lontano Iarba ed Araspe con seguito di mori e comparse che conducono tigri, leoni e portano altri doni da presentare alla regina, Didone servita da Osmida va sul trono, alla destra del quale rimane Osmida. Due cartaginesi portano fuori i cuscini per l’ambasciatore africano e li situano lontano ma in faccia al trono. Iarba e Araspe fermandosi sull’ingresso non intesi dicono:
 
 ARASPE
 Vedi, mio re...
 IARBA
                             T’accheta.
 Finché dura l’inganno,
120chiamami Arbace e non pensare al trono;